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Il piano di Franco Bernabè per risanare il terzo polo tv, La7

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Fonte: Repubblica Affari e Finanza

E
Economia

«Telecom ha utili superiori sia a Rai che a Mediaset e se decidesse di investire nelle televisioni, sarebbe il terzo grande protagonista». Le parole pronunciate da Silvio Berlusconi il 10 aprile scorso, in piena campagna elettorale, proprio dagli schermi de La7, appaiono oggi quantomeno datate.

Il progetto di terzo polo Tv risale all?estate del 2000. All?epoca Lorenzo Pellicioli, alla guida della Seat tornata da poco nell?orbita della Telecom appena scalata da Roberto Colaninno, si accordò con Vittorio Cecchi Gori per acquistare Tmc1 e Tmc2. L?idea del top manager della Seat, con un passato nel mondo dell?editoria e della pubblicità, era quella di investire pesantemente nel miglioramento del palinsesto anche acquistando volti noti in uscita dalla Rai e da Mediaset con l?obbiettivo di raggiungere una quota di share televisivo pari al 5%.

Un traguardo che avrebbe permesso di incrementare sensibilmente i ricavi pubblicitari andando a rosicchiare la torta che i duopolisti fino ad allora si erano spartiti tra di loro. Ed anche un progetto che dava fastidio a Berlusconi, come dimostrano le dichiarazioni dell?epoca e le piccate risposte di Colaninno. La frase «Il polo starnazza», rivolta dal presidente Telecom al capo del partito che di lì a poco sarebbe diventato presidente del Consiglio per la seconda volta, rappresentò il segno più tangibile che lo scontro nel mercato della Tv si stava facendo incandescente.

Invece, al contrario delle previsioni, nessuno scontro ebbe luogo negli anni successivi. Il progetto di terzo polo Tv di Pellicioli naufragò nell?estate 2001 al momento del passaggio di Telecom nelle mani di Marco Tronchetti Provera, il cui ultimo pensiero era quello di andare a scatenare una guerra contro gli interessi del premier in carica. Tronchetti ridimensionò le ambizioni de La7 chiudendo alcuni contratti milionari promossi nei pochi mesi di gestione Pellicioli, puntando a una gestione economica più equilibrata e meno ambiziosa: il 2,53% di share poteva bastare per non dar fastidio a Mediaset e nello stesso tempo tenere in vita due televisioni che comunque rappresentano una palestra importante per il pluralismo dell?informazione: autori, presentatori, nuovi format e sperimentazioni, personaggi di spicco hanno trovato ne La7 e Mtv un territorio neutro in cui far sentire la propria voce.

Senonché, anche il più pacato business model proposto da Tronchetti Provera si sta dimostrando un fallimento clamoroso sotto il profilo dei conti. I bilanci purtroppo parlano chiaro: dal 2001 al 2007 il gruppo editoriale che oggi è inquadrato sotto il cappello di Telecom Italia Media ha perso qualcosa come 770 milioni di euro.

Dunque, alla luce di questi numeri, le frasi di Berlusconi pronunciate in campagna elettorale suonano ancora più irriverenti: non solo il gruppo Telecom, che ha indubbiamente risorse finanziarie superiori a Rai e Mediaset, ha investito una montagna di soldi nella televisione, ma pur con questi sforzi così ingenti non è riuscito a creare qualcosa che assomigli lontanamente al terzo polo Tv e a scalfire quella torta pubblicitaria da 4,65 miliardi di euro che è ancora appannaggio di Sipra e Publitalia, le concessionarie di Rai e Mediaset.

Il terzo polo lo sta invece creando senza tanto rumore Rupert Murdoch attraverso la pay tv di Sky (nata dalla fusione delle ex Telepiù e Stream). Grazie a un?offerta di canali sempre più ampia e variegata Sky è riuscita a colpire un target di utenti molto appetito dagli inserzionisti pubblicitari e con circa 250 milioni di raccolta in proprio nel 2007 sta creando non pochi grattacapi sia al duopolio televisivo sia alla carta stampata.

Con queste premesse si comincia a capire come mai il polo Tv ereditato dalla nuova gestione della casa madre Telecom Italia sia più che mai in mezzo al guado. Non solo manca una visione strategica del business ma i conti sono in pesante rosso: nei suoi 22 anni di vita la ex Telemontecarlo e oggi La7 non ha mai visto l?utile di bilancio, solo grandi perdite. Il gruppo, a sentire gli analisti finanziari, è anche impreparato a cogliere le sfide del futuro, in particolare quella del digitale terrestre. Dopo un inizio promettente con l?acquisto di diritti tv in pay per view per le squadre di calcio minori è stato deciso che il gioco non valeva la candela e tutti i diritti sono stati rivenduti a Mediaset.

Con il risultato che se ora il passaggio al digitale terrestre fosse accelerato quantomeno perché Mediaset vi ha investito parecchi soldi e al governo si trova per la terza volta Berlusconi il gruppo di media che fa capo a Telecom si troverebbe quantomeno spiazzato.

Questo è il quadro che si trova di fronte il nuovo amministratore delegato del gruppo Franco Bernabè, il quale sta cercando di applicare alla controllata dei media lo stesso approccio adottato alla casa madre: prima di fare qualsiasi scelta strategica forte occorre far tornare i conti e rimettere in moto la macchina.

Nel caso di Ti Media tutto ciò per il momento si è tradotto nella nomina di un uomo di numeri, Giovanni Stella, come vicepresidente esecutivo del gruppo e di Eugenio Palmieri, ex direttore dell?Agi ai tempi dell?Eni, a capo della struttura di ApCom (agenzia di stampa). Come sempre succede in questi casi l?arrivo di una nuova struttura dirigenziale si scontra con la vecchia ed è facile prevedere una fuoriuscita di manager e direttori di testate che erano a vario titolo legati al sistema messo in piedi dagli uomini di Tronchetti Provera.

Le prime mosse di Stella saranno dirette proprio a ridimensionare la struttura di costi che gravita intorno a La7, ma che il compito non sia facile lo ha dimostrato il contratto messo sul tavolo da Antonio Campo Dall?Orto, l?ex amministratore delegato di Ti Media, al momento delle dimissioni: 5 milioni di euro di buonuscita per "cambio del controllo" nella controllante Telecom Italia.

Un contratto che è stato in parte ridimensionato ma che dimostra come il terreno su cui ci si muove sia cosparso di mine. Il rischio di un?operazione di disboscamento di questo tipo è infatti evidente: tagliando le produzioni, i costi dei palinsensti e dei programmi, il 3% di share faticosamente raggiunto in questi anni può essere messo in discussione con immediati riflessi negativi sui ricavi pubblicitari. La sfida del nuovo management l?uscita di Campo Dall?Orto dovrà essere compensata dalla nomina di un direttore di rete sarà proprio quella di dimostrare che può sopravvivere una struttura Tv con due canali, uno share intorno al 3% e costi in linea con i ricavi.

Dopodiché si potrà pensare al futuro in maniera più strategica, tenendo ovviamente in conto le scelte che andrà a compiere la casa madre. Per esempio, un avvicinamento tra Telecom e Mediaset di cui si parla da diverso tempo come ipotesi di scuola, potrebbe avere più probabilità di realizzarsi con Berlusconi di nuovo a capo del governo. Tuttavia un matrimonio a questi livelli implicherebbe la cessione a terzi di Telecom Italia Media, un polo che seppur traballante potrebbe far gola a qualche grande gruppo editoriale estero interessato a sbarcare in Italia.

Oppure le strategie future potrebbero portare a una crescente integrazione tra telecomunicazioni e Tv attraverso lo sviluppo dell?Iptv (la tv che arriva al televisore attraverso il cavo telefonico) e dei contenuti modificando alla radice il modello di business attuale di TI Media poco orientato alla produzione di contenuti. Insomma le strade sono tutte aperte ma la prima emergenza da affrontare è quella del ritorno a un minimo di equilibrio economico che negli anni passati non è mai stato perseguito con la dovuta determinazione.

E poi, come tutti sanno, sulle questioni televisive contano gli assetti di potere e la loro evoluzione: nel caso specifico quanto potrà contare la "corrente" berlusconiana all?interno di Mediobanca e se questa riuscirà a incidere anche sugli equilibri dell?altra grande partecipata, la Rcs Mediagroup. E come Mediobanca si interfaccerà con Intesa Sanpaolo, importante azionista sia di Telecom Italia che di Rcs.

Giovanni Pons
per "Repubblica Affari e Finanza"

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