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Paolo Romani: ''La Rai deve cambiare, meglio public company''

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Fonte: Il Sole 24 Ore

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Economia
«Il digitale? Una scommessa vinta dal Paese». Paolo Romani, 62 anni, è da giovedì il viceministro per le Comunicazioni dopo essere stato sottosegretario dello Sviluppo dalla nascita dell'attuale governo. Nella prima intervista nella nuova veste indica la transizione al digitale come grande occasione per il sistema Italia: La Rai «deve cambiare l'intera offerta».
 
Nella transizione al digitale non mancano le criticità, oltre alle potenzialità...
Il primo problema è di riassegnare non solo i canali ma di riorganizzare le postazioni. A Torino c'è chi utilizza persino i palazzi in città: non si possono conservare tutte le postazioni. Occorre poi rispettare il coordinamento internazionale: sono in corso trattative con la Francia (fondamentali per capire su quante frequenze contare nel Lazio, ndr) alle quali seguiranno quelle con gli altri paesi confinanti. Si è tollerata una situazione italiana per certi versi anomala dove, in analogico, l'Italia ha occupato tutte le frequenze e oltre. L'Italia occuperà più frequenze digitali dei paesi confinanti, con due grandi vantaggi.
 
Quali?
Primo: c'è un risparmio di frequenze ottimizzando l'uso dello spettro con l'isofrequenza (la stessa frequenza utilizzata dallo stesso soggetto, ndr). Secondo: c'è un drastico abbattimento dell'inquinamento elettromagnetico, che è un quarto di quello analogico.
 
Non c'è però il dividendo digitale alla banda larga mobile?
Ci sarà: nel 2015 i canali dal 61 al 69 (attualmente occupati dalle tv, ndr) dovranno obbligatoriamente andare ai servizi telefonici avanzati.
 
L'accordo raggiunto con la Ue sulle cinque frequenze in gara non rende più complesso il passaggio al digitale?
Il tavolo più che tecnico, dev'essere politico. Il meccanismo della transizione va condiviso. Cinque frequenze ci saranno liberate in tutte le regioni e saranno messe in gara secondo la delibera dell'Agcom. Chi ha investito e chi ha dignità di televisione avrà una frequenza digitale per ogni analogica. Questa è la logica ma, mi chiedo: è ragionevole pensare che anche la più piccola tv abbia la necessità di trasmettere cinque canali digitali? Non è meglio formare consorzi?
 
Si tratta poi di avere un decoder per ogni televisore...
Sarà un mercato da cento milioni di decoder. Gli aiuti, concordati con le Regioni, variano: in Piemonte spettano solo a chi ha più di 65 anni e un reddito inferiore ai 10mila euro. Sui decoder ci sarà la più rigorosa vigilanza sulla qualità dei materiali, spesso costruiti in Cina. In Sardegna, se qualcosa non ha funzionato, è per la scarsa qualità di alcuni decoder.
 
La procedura d'infrazione contro l'Italia è chiusa?
È stato un lavoro faticoso. A Bruxelles abbiamo trovato molti pregiudizi e siamo gli unici che non riusciamo a lavorare come sistema paese. Ciononostante, la procedura d'infrazione contro l'Italia sarà chiusa: il disciplinare di gara sarà come lo vuole la commissione Ue. Una legge primaria, richiesta anch'essa dalla Ue, legittimerà l'operazione (sarà la prossima legge comunitaria, ndr).
 
Cosa cambierà con il recepimento della nuova direttiva Ue sui servizi audiovisivi?
Vi sarà il product placement di marchi e prodotti aziendali nelle produzioni tv, come avviene nel cinema. Sarà un inserimento elaborato in sceneggiatura. Innescherà nuove risorse a vantaggio della qualità.
 
Capitolo Rai. Cosa va e cosa non va bene?
La Rai ha una nuova governance grazie a un modello che ha funzionato per l'Authority Tlc-Tv. Il servizio pubblico deve ripensare il proprio modo di fare televisione, non limitarsi ad aggiungere qualche offerta tematica alle tre reti generaliste. Queste ultime devono aprirsi agli approfondimenti tematici, scommettendo sui propri contenuti.
 
A livello internazionale?
Un limite per la Rai è la situazione all'estero. Ero a New York durante il terremoto in Abruzzo: mentre Cnn e Fox News davano tutte le ultime notizie sul sisma, il canale della Rai era fermo a diverse ore prima, senza aggiornamenti. Abbiamo nel mondo 174 ambasciate e 115 Istituti italiani di cultura. Ci sono 280mila giapponesi che parlano l'italiano. Sono oltre 30 milioni, dall'inizio del Novecento, i nostri concittadini emigrati, che vogliono vedere cose del loro paese d'origine. Noi gli diamo i pacchi di Affari tuoi?
 
Il pluralismo e l'indipendenza dell'informazione?
Va ricollocata la fascia informativa del servizio pubblico, che deve diventare equilibrata,
non faziosa o serva, ma investigativa e pungente.
 
A proposito delle nomine, è credibile che Augusto Minzolini vada a dirigere il Tgl, con Andrea Pamparana e Franco Bechis vicedirettori?
Le nomine vanno fatte sulla base di un progetto. Le direttrici sono chiare e rispetto a quelle si devono cambiare le persone, nella direzione indicata.
 
Rai public company: è un'utopia?
Sono da sempre d'accordo nel trasformare la Rai in una società della quale i cittadini diventino azionisti. Le priorità oggi sono altre, quelle che ho detto. La Rai è un'azienda sana, senza debiti, altro che Alitalia. Il bilancio soffre per la crisi della pubblicità ma non è drammatico. Ci sono ancora sprechi da cui ricavare risorse. C'è il problema del 30% dell'evasione del canone, che al Nord è un terzo del Sud. Stiamo studiando una modalità di riscossione che minimizzi l'evasione, nell'ottica del "pagare meno, pagare tutti".
 
La Rai tra Sky e Mediaset?
Va presa una decisione. Ci vogliono piattaforme alternative e concorrenza anche nel satellitare, non solo nel terrestre.
 
Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore"
(10/05/09)

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