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Il Fatto Quotidiano: ''Ben Ammar e la caccia a La7'', preoccupazioni dell'Asr

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Fonte: AGI / Il Fatto Quotidiano

E
Economia
«Che sta succedendo a La7? Qual è il futuro di quello che doveva essere il Terzo Polo televisivo?». Domande che si pone l?Associazione stampa romana sottolineando in una nota che si tratta di «domande che non sono mai passate di moda, anche perché nessuno ha mai dato una riposta convincente, ma che ora, alla luce dei rumors ricorrenti e dell?articolo di oggi su ?Il fatto quotidiano? (?Ben Ammar e la caccia a La7? - che si riporta di seguito, ndDS) diventano di grande attualità. Vi si segnala come siano sempre più concreti gli indizi di uno smembramento di Telecom Italia Media, con La7 destinata a finire nelle mani di Tarak Ben Ammar che è tra l?altro vicepresidente di Telecom e da sempre in ottimi rapporti con Mediaset».
 
L?Asr aggiunge che «nel risiko che il passaggio alla tecnologia digitale ha scatenato attorno alla torta televisiva, sembrava che La7, giudicata secondaria e non strategica dal suo stesso azionista di riferimento, ovvero Telecom, fosse destinata a una lenta agonia. L?ultimo colpo alla credibilità dell?emittente l?aveva assestato lo stato di crisi voluto dai vertici Telecom e risoltosi con un contratto di solidarietà tutto concentrato sulle professionalità del Tg. Un controsenso in una tv che fa dell?informazioneil suo fiore all?occhiello e che non è mai decollata certo non per colpa delle sue maestranze, giornalisti e tecnici. La voce a cui da? corpo l?articolo del quotidiano è circolata insistentemente da settimane, senza che i diretti interessati si siano sognati di smentirla. Ma quel che è preoccupante è lo scenario che si andrebbe delineando: un digitale terrestre privato tutto nelle mani di Mediaset, un digitale satellitare in duopolio: con la Rai a reggere la coda del Biscione nella piattaforma con Mediaset e, guarda caso, Telecom e dall?altro versante il magnate Murdoch con Sky. E la libera concorrenza? E il pluralismo? E i posti di lavoro di decine di giornalisti, tecnici e amministrativi? Domande alle quali adesso va data una risposta e subito».
 
L?Asr sollecita ?un?iniziativa forte della Fnsi, da estendere anche agli altri sindacati, magari un esposto alla Autorità Garante per la concorrenza, perché dopo non si dica che nessuno sapeva. E il contratto di solidarietà? Alla luce degli eventi assume tutt?altro significato e forse, viste anche le ripetute violazioni denunciate dal Cdr, sarebbeil caso di ridiscuterlo».



Nelle mani giuste. Se la vendita de La7 fosse un film, il suo titolo non potrebbe che essere quello dell'ultimo romanzo di Giancarlo De Cataldo, l'autore di "Romanzo criminale". Perché nell'Italia di oggi nessuno meglio del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, storico sodale di Silvio Berlusconi, sarebbe il personaggio più adatto per tenere tra le mani il corpicino rachitico della tv della Telecom: una creatura strozzata nella culla per non disturbare il vecchio duopolio RaiMediaset, ma che se oggi finisse a Rupert Murdoch in piena guerra Raiset-Sky, potrebbe davvero fare sfracelli. Prima politici e poi, magari, perfino di share e raccolta pubblicitaria.
 
E allora, mentre il governo e le banche giocano pesante sull'azionista Telecom, ecco che dietro le quinte si muove il fido Tarak. Già, perchè secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, il nipote dell'ex leader tunisino Bourghiba avrebbe perfino già allertato alcuni importanti "professionisti dell'informazione" per chiedere loro se prenderebbero in mano le redini manageriali e giornalistiche de La7. Nessuna conferma ufficiale, ma qualcosa si sta muovendo. Un primo segnale è arrivato il 26 settembre scorso, con la ripresa di "Ndp", il programma di Antonello Piroso. Piroso non è soltanto il direttore della testata giornalistica, ma da un anno a questa parte ha legato le sue sorti al management aziendale, mettendo firma e reputazione sulla pesante cura dimagrante imposta da Giovanni Stella, detto "Er canaro", capo azienda di Telecom Italia Media. Stella ha venduto l'agenzia Apcom a Luigi Abete, ha tagliato compensi e contratti alle star della rete (provocando la fuga dei vari Chiambretti e Bignardi in Raiset), ha quasi smantellato Mtv e ha ottenuto da Palazzo Chigi i contratti di solidarietà per i giornalisti de La7, dopo aver minacciato di licenziarne 25 su cento.
 
Bene, chi ha intervistato per primo, quest'autunno, il direttore-manager Piroso? Il prode Tarak, trattato con lo stesso spazio riservato a Berlusconi da Nessma, la tv tunisina (50% Mediaset, 50% Tarak Ben Ammar) alla quale il nostro premier ha regalato un indimenticabile show su Papi Silvio e le donne.
 
Si tratta certamente di una combinazione, ma non si può dire lo stesso di quello che invece è avvenuto giovedì scorso in Corso Italia, negli uffici di Franco Bernabè. L'ex "enfantprodige" dell'Eni post-Tangentopoli, ha tirato un sospiro di sollievo quando ha visto Intesa-Sanpaolo e Unicredit bocciare senza appello i Tremonti-Bond. Che c'entra con Telecom la disfida tra Passera, Profumo e Tremonti? E' presto detto: il 28 ottobre scade il patto di sindacato di Telco, il veicolo societario con il quale le maggiori banche italiane hanno assicurato la transizione dall'era Tronchetti a quella Bernabè.
 
Il socio spagnolo Telefonica, che ha il 42% delia Telco, piace poco alla Mediobanca di Cesare Geronzi e ancor meno al governo Berlusconi. Gli altri due grandi azionisti, Intesa e Unicredit, sono invece favorevoli al mantenimento dello "status quo" e sarebbero schierati con Bernabè. Ecco perché la loro scelta di marcare un'indipendenza totale da Palazzo Chigi ha fatto felice un Bernabè che fino al giorno prima sembrava nell'angolo, con voci sempre più insistenti di un ribaltone e il nome del più malleabile Stefano Parisi che girava pericolosamente per la poltrona di amministratore delegato di Telecom (con Bernabè "promosso" presidente o direttamente messo alla porta). Ora, proprio mentre Bernabè rientra in partita, prendono corpo le ombre di Tarak Ben Ammar. La7 sarebbe una merce di scambio perfetta e una delle tante armi che ha in mano il vertice Telecom, oltre al l'avvenuto miglioramento dei conti, per resistere sul ponte di comando.
 
La soluzione più diretta e ideale, per Silvio Berlusconi, sarebbe che Tarak si comprasse tutta Telecom Italia Media o almeno Telecom Italia Media Broadcasting, che detiene la "ciccia" vera della casa: le tre frequenze per il digitale terrestre. Stella e Bernabè le valutano 150 milioni l'una, ne vorrebbero vendere almeno un paio e ne hanno un disperato bisogno perché Telecom Italia Media ha 300 milioni di debiti e 100 di patrimonio (e in Borsa capitalizza a stento 400 milioni).
 
In questi giorni stanno trattando con vari fondi d'investimento e anche se pare che siano in vantaggio gli ex banchieri Lehman di Trilantic, il "rischio" che dietro altri gruppi interessati vi siano gli uomini dello "Squalo" Murdoch sono elevati. L'alternativa, per il padrone di Mediaset e di Palazzo Chigi, è sperare che Tarak si compri in Borsa l'intera baracca televisiva di Telecom, ma anche qui se si scatena la guerra dell'Opa (sarebbe obbligatoria, perché Telecom ne controlla il 60%) sarebbero dolori.
 
In entrambi gli scenari, il ruolo di Tarak finirebbe sotto i riflettori della Consob, perché il finanziere è anche vicepresidente di Telecom e consigliere di Mediobanca. Immaginate con quale terzietà la Telecom sarebbe chiamata a fissare il giusto prezzo trattando con una parte così strettamente "correlata", per usare il termine civilistico.
 
Per questa ragione, ecco che la soluzione che a Piazza Affari danno per più probabile (il titolo si sta muovendo parecchio da una settimana) è quella del "mini-spezzatino". Le frequenze verrebbero cedute al maggior prezzo possibile con la sola garanzia, da parte di Bernabè, che non finiscano agente che poi le gira a Murdoch, e Tarak rileverebbe per pochi soldi solo La7. Certo, da un punto di vista strettamente finanziario, per Tarak non sarebbe un grande affare comprare una tv che ha sempre perso centinaia di milioni perché tutti i suoi azionisti hanno sempre deciso che non debba puntare ad avere più del 3% di share. Ma Palazzo Chigi non può premere su Telecom perché riduca i debiti e magari si liberi di Telefonica, e poi impedirle di far cassa con Telecom Italia Media.
 
Quanto alla remunerazione di Tarak, basta ricordarsi la storia di Sportltalia e delle frequenze di Telepiù, strapagate per risolvere un problema di Antitrust al Biscione al momento della nascita di Sky. Anche quello sembrava un non-senso economico, per lui, ma dopo qualche anno rivendette una frequenza a Mediaset e fu ripagato ampiamente del "disturbo".
 
Quello del rapporto tra La7 e Mediaset è l'altro grande nodo della faccenda. Lo scorso anno, quando Stella cominciò a far la voce grossa sui tagli, il contratto pubblicitario con la Cairo Pubblicità era in scadenza e l'ex segretario di Berlusconi tirava sul prezzo del minimo garantito. Dopo qualche passaggio a Palazzo Grazioli e dintorni, si chiuse di nuovo a 120 milioni l'anno, ma il mix fu così ripartito: 114 milioni Cairo e 6 milioni Mediaset. La prova lampante del mega-inciucio è il clamoroso incidente accaduto il 24 marzo a una convention interna di Telecom, dove mentre Stella illustrava il contratto passò una slide che riportava quei "6 milioni Mediaset". Non a caso, in questi giorni La7 è invasa dagli spot dei Mediaset Premium che sono la prova di quel buffo modo di far tornare i budget pubblicitari in tempi di crisi.
 
Ultimo indizio che la vendita è vicina viene dalla grana dei dirigenti in esubero. In queste ore il "duro" Stella sta chiudendo con straordinaria generosità qualunque grana che potrebbe avere risvolti legali, in modo da non far scherzi al compratore. Che si presume amico. O amico degli amici.
 
Francesco Bonazzi
e Malcom Pagani
per "Il Fatto Quotidiano"

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