In un’epoca di cambiamenti e passaggi “epocaliâ€, come gli switch-off che sono ripresi da qualche settimana, sembra interessante focalizzare la nostra attenzione su come cambia il consumo e la fruzione di contenuti mediali da parte del pubblico. Anzi, facendo un passo indietro, dovremmo chiederci se ha ancora senso parlare di pubblico, ma anche di pubblici, target e via dicendo… Da questo interrogativo parte l’appuntamento di oggi con il VENERDÃŒTORIALE di Digital-Sat.
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Ma cosa vuol dire crossmedialità ? Prendiamo a prestito la definizione che ne dà la versione inglese di Wikipedia, riportata da Lucio D'Amelia: «Crossmedia rappresenta una proprietà dei media, un servizio, una storia o un'esperienza distribuiti su piattaforme tecnologiche che utilizzano diversi formati. Si riferisce al passaggio e ai collegamenti tra apparecchi e formati diversi e può essere presente in programmi di intrattenimento televisivo, nella pubblicità , nei giochi e nei formati basati sulla ricerca e nei formati basati sulla ricerca come ad esempio i giochi di realtà alternativa (Alternate Reality Games), in cui si stabiliscono dipendenze e rinvii tra i vari media fruiti attraverso i diversi apparecchi».
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Oltre alle attività crossmediali, previste dagli autori, esistono poi varie e disparate tipologie di contenuti prodotti direttamente dai fruitori, nella logica conosciuta sempre di più con il termine prosumer: sempre per rimanere in tema di Lost un esempio è la Lostpedia, enciclopedia collettiva dedicata a questa serie, o tutta la serie di finali alternativi di matrice fan, diffusi su Youtube o altri social network.
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Innanzitutto la causa di questa trasformazione, dovuta ad una radicale evoluzione del consumo mediale: i pubblici di oggi sono più attivi che mai (e lo abbiamo visto con gli esempi sopra riportati), sono altresì nomadi, accedendo ai contenuti tramite device diversi e in contesti diversi. Sono anche diffusi, connessi e soprattutto consapevoli. Tutte novità del mondo “digitaleâ€, sconosciute ai cosiddetti “immigrati digitaliâ€, che necessitano di adeguamenti più intensi rispetto ai “nativi digitaliâ€.
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In quest’ottica le curatrici, Francesca Pasquali, Barbara Scifo e Nicoletta Vittadini, suggeriscono vari aspetti da tenere presenti per ripensare la ricerca intorno ai “pubblici digitaliâ€, tra cui i nuovi modelli distributivi e di piattaforma, l’esistenza di prodotti immateriali per l’attribuzione di significato simbolico agli stessi device o di prodotti di culto, snodo centrale degli scambi delle moderne reti sociali. Ecco che dunque andrebbe ridefinito l’appropriazione dello scenario digitale, pervaso oggi da una rinnovata sensibilità tecnosociale, che non mette in discussione il “vecchio mediumâ€, ma lo reintegra in un nuovo sistema basato sulla rete, sviluppando inoltre economie morali che valorizzano non solo i prodotti mediali ma anche le relazioni.
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Un approccio che, partendo dalla ricerca, sarebbe utile importare anche nei broadcaster, stimolando una nuova mentalità sin dalla fase produttiva (o ancor prima) dei prodotti mediali, in modo tale che essi stessi, in nuce, racchiudano semi di interazione con il proprio fruitore. Qualcosa che la televisione pian piano sta cercando di sperimentare, come vedremo - con un altro testo - venerdì prossimo…
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Giorgio Scorsone
per “Digital-Sat.itâ€
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