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Tv Digitale, corsa contro il tempo

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Fonte: Il Sole 24 Ore

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Digitale Terrestre
  sabato, 14 luglio 2007
 00:00

Il digitale terrestre in Italia è troppo analogico e troppo a pagamento. Rischia di essere un'occasione mancata: i prossimi otto-nove mesi saranno decisivi per il suo futuro.

Nel frattempo, il calo nella quota di ascolto delle televisioni generaliste analogiche è in gran parte recuperato dall'ascolto di Rai e Mediaset sulle due piattaforme digitali.

Il duopolio, a livello di penetrazione informativa sull'opinione pubblica — meno a livello di risorse — è vivo e vegeto anche se per gli introiti pubblicitari non riesce a recuperare sul digitale i bassi incrementi, quando non le perdite, delle tv analogiche.

La pubblicità tende a spostarsi verso la Rete e, non a caso, Rai va su You Tube, dopo aver lanciato il portale Rai.tv, e Mediaset, a sua volta, lancia un servizio di video on demand e crea nuovi spazi per i contenuti autoprodotti dai propri utenti-spettatori.

La transizione al digitale, in Italia, presenta una difficoltà sconosciuta negli altri Paesi europei: non vi è un altro mercato al mondo dove cinque-sei emittenti trasmettano sulla stessa frequenza in una sola regione.

Non vi è, in altre parole, alcun Paese dove lo Stato non ha il "governo" dell'etere radiotelevisivo e non può, quindi, assegnare l'uso delle frequenze ai vecchi e ai nuovi editori televisivi. Com'è accaduto in Francia, con un significativo successo di audience.

Si pagano gli errori del passato e la continuità con l'assetto del sistema analogico.
«La tv non è stata una protagonista della convergenza multimediale. Forte di un consolidato rapporto con il pubblico, di altrettanti stretti legami con la classe politica, in possesso di una tecnologia affidabile e diffusa in tutte le case, ha guardato con cauta attenzione ai processi di convergenza» così Enrico Menduni, nel libro "I media digitali. Tecnologie, linguaggi, usi sociali", inquadra il problema del rapporto innovazione-televisione.

«La digitalizzazione è comparsa all'orizzonte quando si è constatato che essa offriva ai sistemi televisivi non tanto un'immagine particolarmente nitida, ma un mezzo per moltiplicare il numero di canali da trasmettere e per far pagare alle famiglie il processo di produzione e diffusione dei contenuti» spiega Menduni.

Le risorse di cui dispone la tv, pubblicità e canone, infatti, non riescono più a seguire l'aumento dei costi: e questo è un problema per Rai più che per Mediaset, avendo la televisione pubblica un contratto di servizio che comporta vincoli, rigidità e oneri.

Il digitale terrestre è quindi troppo analogico nell'offerta e nell'assetto verticale integrato dei principali operatori. Non si è realizzata, infatti, quella separazione proprietaria tra il gestore della rete e l'editore di contenuti, magari con al centro un gestore autonomo del multiplex, lo strumento che veicola più programmi e servizi digitali su un'unica frequenza.

Quanto all'offerta, Francesco Siliato, nel suo "Televisione digitale" effettua diverse analisi sugli effetti dell'avvento della nuova tecnologia all'interno dell'attuale assetto.

Un primo dato: dall'agosto 2006 «il tempo dedicato alla tv dalle italiane e dagli italiani con almeno quattro anni d'età è ogni mese più basso del tempo televisivo dello stesso mese dell'anno precedente». Nei primi mesi del 2007 il fenomeno è cresciuto. Effetto serra?

Il caldo tiene gli italiani di più all'aperto? Certo, consuma meno tv chi ha tra i 15 e i 34 anni. Però, tra il 2000 e il 2006, sottolinea Siliato nel suo libro, «mentre la tv generalista analogica vede calare il suo ascolto medio annuo in prima serata (ore 20,30-22,30) di quasi due milioni di individui, la tv digitale satellitare cresce di un milione e mezzo di persone». Il tempo dedicato alla tv, allora, diminuisce ma non troppo: 256 minuti medi nel 2000 contro i 254 del 2006 nell'intero giorno.

Le tv analogiche, a livello di quota di ascolto sui televisori accesi, recuperano parte degli ascolti nersi in analogico sulle piattaforme digitali

«La questione italiana — rileva Siliato — è tutta nello 0,68% di share dei canali trasmessi esclusivamente in digitale terrestre, dopo sei anni di trasmissione». La mancanza di investimenti sui contenuti ne è la principale spiegazione, insieme a decoder acquistati a basso prezzo, grazie agli incentivi del passato e spesso inutilizzati del tutto o rispolverati per vedere un evento a pagamento, calcio in testa. Tv troppo analogica e poco gratuita, quella digitale terrestre nazionale.

Ora si deve, o si dovrebbe, cambiare passo: la Rai ha lanciato un nuovo canale per bambini e ne prepara un altro. Mediaset sta per lanciare due canali in chiaro, "ricchi" nelle intenzioni, quello sulla fiction e quello di all news, probabilmente all'inizio del 2008.

La7, dopo la chiusura ad aprile del canale sportivo lanciato da Aldo Biscardi sembra orientata a ospitare sulle reti digitali canali di editori terzi, nazionali e locali, e non autoprodotti.

Dove si sono spente in anticipo due emittenti come Rai2 e Rete4, in ogni caso, come a Cagliari e in 120 comuni della Sardegna meridionale, si è visto che il maggior traino nell'uso del decoder digitale per vedere la tv sono proprio le tv (ex) analogiche.

Un piano temporale condiviso sullo spegnimento regione per regione, che dia certezze sui tempi della transizione, potrebbe incentivare gli investimenti in nuovi canali anche quelli di editori esteri

Qui, però, emerge il problema che rischia di rallentare e complicare la transizione al digitale: la concentrazione, la ridondanza e lo spreco nell'utilizzo della capacità trasmissiva terrestre.

Gli operatori nazionali sembrano ormai convinti, e non è stato un processo indolore, dell'impossibilità di passare dall'analogico al digitale convertendo ciascun impianto sulla relativa frequenza utilizzata oggi. Quelli locali, un po' meno.

La Conferenza intemazionale di Ginevra (giugno 2006, le sue decisioni sono in vigore dal giugno di quest'anno) ha disposto una nuova pianificazione, secondo la quale i Paesi confinanti con l'Italia possono, e stanno già cominciando a farlo — ad esempio nelle regioni adriatiche — a trasmettere segnali digitali su frequenze utilizzate dalle tv italiane, in particolare da quelle locali. Frequenze non assegnate al nostro Paese da Ginevra.

A fronte di tale rischio, si chiede ora all'Autorità per le comunicazioni, un po' in ritardo, di rivedere il Piano di assegnazione digitale in base alle conclusioni di Ginevra e di approntarne uno a tempo di record per "spegnere" la tv analogica in Sardegna nel marzo 2008; quindi, entro l'anno in corso.

Si tratta, inoltre, di avere risorse a disposizione per dare incentivi - permessi dalla Ue a favore di apparecchi in grado di ricevere la tv digitale, da qualsiasi piattaforma —alle province sarde, in modo da avere una diffusione dei decoder nonpenalizzante per le tv analogiche, in particolare per Rai 2 e Rete4, che dovrebbero spegnere qualche mese prima del marzo 2008.

In autunno, una nuova Conferenza nazionale sul digitale terrestre, con ogni probabilità a Torino, dovrà rappresentare il trampolino di lancio per definire un nuovo impegno dello Stato e degli operatori, Eai in testa, per rilanciare il processo. A partire da regioni come il Piemonte, la cui situazione di assetto delle frequenze è ben più complessa di quelle della Sardegna e della Val d'Aosta.

E l'interattività, che è stato lungo spacciata come "piatto forte" del digitale terrestre? Rispetto al connubio pc-intemet, «la tv ne esce un po' con le ossa rotte» scrive Menduni, anche se può sempre giovarsi di una diffusione in tutte le famiglie.

«Non vi è dubbio che, disponendo di entrambi i mezzi, il consumatore si rivolga a internet e non alla tv interattiva, Questa considerazione riduce di molto la portata sociale della tv interattiva» aggiunge Menduni.

In ogni caso, secondo il libro di Siliato, «la televisione è oggi un oggetto in trasformazione e anche le modalità in cui viene consumata lo sono, e lo saranno anche quelle in cui viene progettata. Prima gli editori di tv generalista, pubblica e privata, acquisiranno pienamente tale consapevolezza, meglio sarà per lo sviluppo del sistema della comunicazione, dell'informazione e deirintrattenimento».

Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore"

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