Del rapporto tra Internet e la televisione ci siamo occupati più volte, specie nell'ottica di una convergenza tecnologica sempre più marcata. Oggi - in questo VENERDÌTORIALE -, ispirati dalle parole di Lawrence Lessig intervistato dall'Unità, ne parliamo sotto l'aspetto politico e sociale, riflettendo ai cambiamenti che la rivoluzione digitale potrà avere sul pubblico, oggi in maggioranza sul piccolo schermo.
«La rete sta diventando la chiave per difendere e allargare la democrazia: non lo dice un povero docente americano, lo dicono i fatti». Così inizia l'intervista di Luca Landò a Lawrence Lessig pubblicata sull'Unità di lunedì scorso, in occasione della prima del nuovo inserto mensile Unitag sulle tematiche del web e dei nuovi media. Una frase forte, indubbiamente, che ma nasconde sicuramente qualcosa di molto vero, e lo abbiamo visto con le rivolte nei paesi mediorientali.
Nonostante il divario digitale non ancora colmato, Internet è già in grado di stimolare un'ampia fetta di popolazione a scendere in piazza per "cambiare le cose", un atteggiamento proattivo che ha stupito tutti, anche se qualche avvisaglia - a partire dall'effetto Assange / Wikileaks - era nell'aria. Per Lessig «la trasparenza è assai più efficace della guerra per esportare la democrazia».
Ma è sui mezzi di comunicazione di massa e in particolare sulla televisione che la riflessione si fa interessante: «Il termine mass media va aggiornato. Oggi settori sempre più ampi di persone possono mettersi in collegamento con settori altrettanto ampi di altre persone. Sta cambiando il concetto di comunicazione mediatica: prima si ascoltava, oggi si parla; prima si subiva, oggi si agisce. Internet moltiplica all'ennesima potenza il concetto di libertà di scelta. E sono io che decido».
Alla domanda se esista un conflitto di interessi tra tv e internet, Lessig risponde così: «Sono due mondi destinati a entrare in collisione. In Italia, in particolare, esiste un conflitto di interessi tra come è impostato l'attuale business televisivo e le esigenze di sviluppo e crescita di internet. Da una parte c'è un modello che massimizza i profitti portando pochi programmi a tantissime persone, dall'altra c'è internet che fa esattamente l'opposto: tantissime proposte a ogni singola persona. Non mi sorprende che nei Paesi dove poche mani controllano la tv, internet sia cresciuto lentamente. Temo che in Italia siate in questa situazione».
Nonostante la convergenza che rende inevitabile l'influenza pian piano crescente del web (e della sua filosofia partecipativa) sulla televisione, il timore di Lessig sembra essere più politico-economico che tecnico-sociale: il modello di business della tv tradizionale, a maggior ragione quella generalista, è ormai consolidato e il digitale starebbe per metterlo in crisi. Così i grossi broadcaster (quelli del famoso e tanto chiacchierato duopolio) corrono ai ripari ampliando il numero di canali così ad arginare l'inevitabile morìa di ascolti dai canali generalisti. E gli altri, salvo rari casi, arrancano.
Anche la tv connessa non se la passa benissimo: la ‘vera' banda larga, necessaria per sviluppare progetti di questo tipo, è ancora un miraggio e l'attuale Adsl domestica può garantire solo la presenza di servizi Over-The-Top ancora troppo sbilanciati nell'ottica broadcaster, nonostante l'emergere di alcuni progetti 'open' come, ad esempio, l'Hybrid BlobBox. Ancora assente quasi del tutto in Italia la "social tv" (di cui ha parlato questa settimana anche il settimanale L'Espresso), ma il rischio che anche questa diventi un «marketing virale pilotato dall'alto», come giudica scetticamente il professor Edoardo Fleishner, è molto alto. Sebbene il web - nella sua essenza - resti ancora oggi lo strumento più democratico nelle mani dei cittadini di tutto il mondo. Il problema è solo riuscire ad usarlo per il meglio.
per "Digital-Sat.it"
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