Il panorama televisivo italiano e europeo, con un focus su Mediaset e le sue prospettive future. Pier Silvio Berlusconi, alla guida di Mediaset, sottolinea nell'intervista pubblicata oggi sul "Corriere della Sera" a firma Daniele Manca che nonostante le sfide del settore, la televisione generalista può difendersi e crescere con gli investimenti adeguati. Nonostante le difficoltà nel mercato pubblicitario e la concorrenza degli OTT come Google e Netflix, Mediaset sta continuando a investire e assumere personale, specialmente giovani e donne, per rimanere competitiva.
Berlusconi discute anche della situazione di ProsiebenSat, sottolineando la necessità di un cambio di rotta e un ritorno al core business da parte della compagnia tedesca. Mediaset, che detiene una quota del 30% in ProsiebenSat, sta cercando di influenzare positivamente la strategia aziendale per massimizzare il valore per gli azionisti.
Il progetto di MediaFor Europe mira a creare un grande broadcaster europeo, sfruttando sinergie tra diverse piattaforme televisive nazionali. Berlusconi sottolinea l'importanza di adattare i contenuti televisivi alle esigenze del pubblico locale e critica la tassazione favorevole agli OTT rispetto agli editori nazionali. Infine, Berlusconi chiarisce che, nonostante le speculazioni, al momento non ha intenzione di tornare attivamente in politica, concentrandosi invece sul ruolo di editore e sul progetto europeo di Mediaset.
La tv a pagamento, dopo l’esperienza tramontata di Mediaset Premium, vede solo Sky e Dazn.
«Ma la televisione generalista se fatta bene, mantenuta viva e moderna, si difende alla grande. E nel nostro caso continua a dare soddisfazioni», dice da Cologno Monzese Pier Silvio Berlusconi.
Ma ne è sicuro? Tra attacco al mercato pubblicitario da parte dei vari Google, Facebook e compagni e una tv di Stato che assorbe canone e pubblicità la strada è tutt’altro che facile…
«Non ho detto che sia facile. L’opposto: è tostissima. Ma con il giusto mix di esperienza e investimenti si può addirittura crescere».
Ma da Amazon a Paramount, da Netflix a Disney si sente più che altro parlare di licenziamenti. Perché?
«Bisognerebbe chiederlo a loro. Certo, il mondo dell’offerta dei contenuti è diventato super competitivo, forse anche sovraffollato. Quello che so però è che noi, in controtendenza, assumiamo. E assumiamo per metà under 30 e per il 50% donne. Abbiamo già iniziato lo scorso anno con 250 ingressi e intendiamo andare avanti per altri tre con un complessivo di mille nuove assunzioni».
Sì, assumete, ma perché ci saranno anche tante uscite…
«Solo in parte. E comunque avremmo potuto stringere la cinghia, “fare economie”, “fare efficienza” come si dice in gergo aziendale e come fanno le grandi multinazionali. Invece abbiamo preferito puntare sullo sviluppo con orgoglio. E con un po’ di coraggio farlo mentre il settore dei media va in direzione opposta».
D’accordo, ma sia schietto, il saldo tra chi entra e chi esce è positivo o negativo?
«Assolutamente positivo. Il nostro organico sta crescendo. E le dirò di più. Non assumiamo solo data scientist o digital oriented già formati che hanno un loro ruolo già definito in azienda, ma anche giovani che formiamo singolarmente e che seguiremo nel corso della loro carriera. Tra loro ci sono i nostri manager del futuro».
Se il mondo cambia è chiaro che si devono assumere giovani e professioni adatte al momento. La notizia sarebbe che non lo faceste, l’opposto …
«E anche poco etico dal punto di vista imprenditoriale. Tanto più che i conti ci danno ragione. E presto per dirlo e ci vuole cautela. Ma contrariamente alle previsioni degli analisti, il mercato sembra tonico. La nostra raccolta pubblicitaria di Gruppo in Italia e Spagna nel primo trimestre del 2024 ci fa vedere un +5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Con due guerre, i tassi di interesse alle stelle, l’inflazione, il caro energia e via dicendo anche il 2023 lo vedevamo durissimo. Eppure, stiamo per chiudere il bilancio con un utile superiore ai 217 milioni del 2022. E senza l’effetto contabile dei dividendi della Germania».
In che senso anche senza l’effetto contabile della Germania. In Germania la tv dove siete presenti, ProsiebenSat, è in perdita.
«Semplice: nel 2022 ci fu il contributo di 40 milioni da ProsiebenSat per la nostra quota».
Mentre quest’anno ProsiebenSat perde 134 milioni…
«Azzerando praticamente il contributo. E mandando a casa 500 persone. Lo so bene. Per questo ora è importante che Prosieben cambi rotta e torni a investire sulla televisione».
Ma avete il 30%, qualcosa conterete…
«A oggi non abbiamo toccato palla. Ma il danno non è figlio di ciò che hanno fatto i manager di oggi, viene da lontano. Però devono capire che c’è un socio quasi al 30% che è del mestiere. Noi non abbiamo voglia di conquistare per conquistare, ma vogliamo aiutare a crescere».
Ma cosa vorreste che facessero?
«ProsiebenSat deve tornare al core business. La prima mossa dovrebbe essere separare le attività di “dating” e di “e-commerce”, valorizzandole. È la strada che ha seguito anche Vivendi per dare più valore ai singoli asset, giusto per fare un esempio».
Che significa metter in vendita. Quando siete entrati avete preso il 10% pagandolo il doppio circa della quotazione attuale, capisco l’insoddisfazione.
«Non si tratta di insoddisfazione. Si tratta di fare il meglio per una importante media company europea e per tutti gli azionisti. Assumendo una strategia chiara e concreta».
Un’Opa è all’ordine del giorno?
«Un’Opa anche su dei business di cui sappiamo poco? E che poco c'entrano con il nostro ambito d’attività?».
E allora come volete convincere i manager di ProsiebenSat?
«Penso che inizino a capire che abbiamo esperienza e che vogliamo il bene di Prosieben. Il progetto di MFE (MediaFor Europe) per creare un grande broadcaster europeo non significa fare una tv italiana in Germania con prodotti congelati tipo quelli delle piattaforme, senz’anima. Ogni nazione deve farsi una tv adatta al proprio pubblico. Calda, locale, in diretta, prodotta al momento e consumata nell’immediato e in questo caso assolutamente tedesca. Noi persino in Italia stiamo aumentando il prodotto italiano, lo stiamo facendo in Spagna dando vita a una tv moderata, familiare e moderna. Ed è quello che vorremmo si facesse e sarebbe giusto fare in Germania. Anche investendo di più e creando nuova occupazione».
Ma perché mettere assieme tre tv nelle quali ognuno fa una cosa diversa?
«Perché grazie ai potenziali risultati economici creeremmo nuovo sviluppo. Le nuove dimensioni porterebbero aumenti di ricavi e sinergie. Il progetto ha al centro anche la tecnologia: una piattaforma comune di distribuzione di contenuti e di raccolta pubblicitaria capace di resistere e fronteggiare i colossi d’oltreoceano. La Germania vive un momento economico difficile, ma inizierà a riprendersi e noi dobbiamo essere pronti. Se poi l’Europa ci desse una mano».
Che c’entra l’Europa?
«Gli over the top come Google, Amazon e via dicendo pagano aliquote fiscali intorno al 5%. Noi siamo al 27%. Loro sfruttano agevolazioni e impiegano pochissime persone in Europa, drenando risorse pubblicitarie. La quota di mercato pubblicitario degli OTT è cresciuta in maniera esponenziale, creando serie difficoltà agli editori nazionali. Ma ci conforta che in questi anni il mercato pubblicitario televisivo abbia resistito meglio di tutti gli altri mezzi».
Anche se alcune scelte di palinsesto non vi hanno premiato, alcuni arrivi…
«La linea editoriale che stiamo seguendo ha un obiettivo a medio e lungo termine».
Sì, ma gli ascolti?
«Al di là degli ascolti, che comunque nel complesso sono positivi, vogliamo offrire al pubblico un prodotto più moderno, familiare e a 360 gradi, che parli a tutta la popolazione. E me lo lasci dire, ci stiamo riuscendo».