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Sulla tv generalista io dissento: ha bisogno di idee, ma vivissima

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Fonte: Il Corriere della Sera

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Televisione
  lunedì, 19 febbraio 2007

Un grande vuoto. Un insistito scanalare alla disperata ricerca di qualcosa da vedere. E, infine, la resa, la fuga. O il ripiego. C'è un crescente senso di frustrazione nel telespettatore italiano, la percezione di un'insoddisfazione nei confronti del mezzo che, nonostante tutto, continua ad amare di più, la televisione. Un dato importante, finora, è poco entrato nelle analisi sulle mutazioni del sistema. Esso è così semplice che si riassume in una riga: per la prima volta, dopo diversi anni, gli italiani guardano meno televisione.

Lasciamo stare, per una volta, i molti discorsi spesi sul riequilibrio del sistema Tv, con l'erosione di popolarità della televisione generalista e la progressiva crescita del satellite. Qui non stiamo parlando di share guadagnati o persi, una misura che resta, per dir così, «interna» agli spettatori televisivi, e non valuta invece chi la Tv l'abbandona. Ebbene, nella stagione corrente, per ia prima volta, si inverte una tendenza: la fruizione di Tv cala di una decina di minuti giornalieri rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, toccando il minimo di 247 minuti. Nelle stagioni precedenti era sempre cresciuta. Ora si scende sotto i livelli del 2001.

Come si capisce, sono numeri ancora piccoli, e la Tv è tuttora il mezzo ampiamente più seguito; ma senza dubbio sono dati indicativi di una tendenza, resa evidente soprattutto in questa stagione. Un altro parametro significativo è quello che potremmo chiamare «livellamento degli hit». La Tv ha il potere di generare grossi pubblici attorno ad alcuni programmi, o «hit». Basta confrontare la top ten delle ultime stagioni per farsi un'idea di quanto sta accadendo: mentre lo scorso anno la lista è riempita dai classici «generi forti Tv» — la fiction, il varietà, i reality — quest'anno dominano «eventi extra-televisivi» (i campionati mondiali di calcio) e «programmi cuscinetto» di breve durata («Striscia», «Affari tuoi»).

Come interpretare questi dati? Sono sufficienti per parlare di crisi della televisione? Le cose sono un po' più complesse. La Tv resta infatti il principale, e preferito, punto di riferimento sia per l'intrattenimento sia per l'informazione. Ma il pubblico ne percepisce una crisi di creatività, una progressiva stanchezza, la mera ripetizione di formule logore (per esempio nel reality, che ha perso la sua spinta propulsiva e si limita a rimestare gli stessi ingredienti, identici da sette anni). Chi può s'avventura sull'unica alterativa effettiva: la multicanalità del satellite a pagamento. Ma, come anche a Sky sanno bene, il pubblico «pregiato» è, e resterà, una minoranza, specie in un Paese che ha il culto della gratuità.

E dunque? A ben vedere quel grande vuoto può trasformarsi in una straordinaria opportunità. C'è un ampio spazio per contenuti popolari distribuiti, anche su nuove piattaforme, ma secondo il consolidato modello della «pubblicità in cambio di gratuità». I nuovi attori — le «telcos», le società di telecomunicazioni — ribadiscono il loro ruolo di vettori poco interessati ai contenuti. I vecchi attori — i broadcaster, come Rai e Mediaset — sembrano incapaci di innovare minimamente il prodotto, o di sfruttare appieno i loro tesori nascosti, ovvero gli archivi. Intanto il digitale terrestre è ancora al palo proprio per assenza di contenuti. Ma c'è qualcuno, in Italia, in grado di vedere questo grande vuoto che va allargandosi e di provare a colmarlo?

Massimo Scaglioni
per "Il Corriere della Sera"

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