Mediaset e Vivendi hanno ancora 6 mesi di tempo per ricucire lo strappo su Premium senza arrivare in aula davanti al giudice. L'udienza, una sola per entrambe le cause quella di Mediaset e quella di Fininvest, è infatti fissata al prossimo 21 marzo. Vincenzo Perozziello, della Sezione specializzata in materia d'impresa del Tribunale di Milano deve valutare la richiesta di danni che complessivamente ammonta a 620 milioni di euro, ma che potrebbe lievitare oltre i 2 miliardi di euro. Nè i francesi nè le società del Biscione vorrebbero abbandonare l'ambizioso progetto di costituire un polo europeo della tv che sfidi gli 'over the top' americani, ma le divergenze sulla valutazione della pay tv si sono trasformate in un braccio di ferro che le diplomazie non sono ancora riuscite a ricomporre. Vivendi minimizza, studia proposte di compromesso e cerca, secondo le indiscrezioni circolate nelle scorse settimane, un nuovo partner che possa acquistare una quota della pay tv italiana così da evitare di doverla consolidare.
Torna a circolare il nome di Sky tra i possibili pretendenti, ma qualche giorno fa l'a.d Andrea Zappia torna a smentire le voci: nessun interesse per Premium. Mediaset non lascia spazio alle trattative e fa parlare gli avvocati che chiedono «l'effettiva esecuzione del contratto vincolante concluso tra le parti l'8 aprile 2016». Oltre al risarcimento dei danni sin qui subiti stimati in 50 milioni per ogni mese di ritardo a partire dal 25 luglio. Il conto alla fine potrebbe arrivare a superare il miliardo e mezzo di euro. Fininvest ha invece chiesto «il risarcimento dei gravi danni già subiti» che «ammontano ad una cifra non inferiore a 570 milioni di euro, correlati fra l'altro alla diminuzione di valore delle azioni Mediaset in conseguenza dell'accaduto, al mancato apprezzamento delle stesse ove si fosse dato corso all'esecuzione del contratto, nonché all'evidentissimo danno di immagine». E per trovare ragione gli italiani si sono rivolti anche alla Consob francese, Amf sollecitandolo a ordinare a Vivendi di correggere dichiarazioni pubbliche che aveva fatto sulla vicenda.