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La proposta dell'esperto - Rai, canali a pagamento: perché no?

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Fonte: L'Unità

E
Economia
Pubblichiamo integralmente l'articolo, firmato da Renato Parascandolo, già direttore di Rai Educational nonché docente universitario, apparso questa mattina sull'Unità: l'intento di questo testo - come spiegato sul quotidiano - è quello di suggerire possibili mosse per salvaguardare il destino della Rai.
 
 
Pur avendo la medesima finalità - il perseguimento del profitto - Mediaset e Sky presentano un tratto distintivo profondo che attiene al loro modello di business: televisione commerciale la prima, televisione a pagamento la seconda. La differenza non è di poco conto. Infatti, la Tv commerciale ha come sua finalità non già la produzione di programmi, bensì quella di produrre telespettatori da vendere alle agenzie di pubblicità dopo averli contati, grazie all'Auditel, minuto per minuto. In questo mercato l'oggetto della contrattazione e dello scambio, cioè la "merce", è il telespettatore non il programma televisivo; quest'ultimo è solo l'esca per catturare il maggior numero di pesci. Qualità e quantità per la Tv commerciale, sono la stessa cosa. È da questa condizione in cui viene a trovarsi il cittadino-merce che trae la sua più profonda legittimazione l'esistenza di un servizio pubblico televisivo inteso come strumento che tempera gli eccessi a cui è inevitabilmente esposto un modello di Tv che trascura i contenuti in favore dell'audience.
 
Altra cosa è la Tv a pagamento. Qui rientriamo nella fisiologia di un'economia di mercato. Vi è da una parte il produttore e distributore della merce (i programmi), dall'altra il consumatore che decide liberamente di abbonarsi a quella emittente oppure di acquistarne singole trasmissioni. In questo caso il rapporto è trasparente: il consumatore paga per vedere; se il prodotto non è allettante o è troppo costoso, non pagherà più. A differenza del pubblico mercificato della Tv commerciale e senza infingimenti sulla presunta gratuità dell'offerta, qui la sua dignità è preservata. Queste osservazioni potrebbero apparire accademiche se non avessero un'incidenza pratica sui problemi che stiamo affrontando. Ad esempio, per quale motivo (etico?) la Rai dovrebbe essere esclusa dalla Tv a pagamento se al tempo stesso le è concesso di finanziare con la pubblicità proprio quei canali generalisti dove più alto dovrebbe essere l'impegno di servizio pubblico?
 
Un modello integrato di offerta consentirebbe di finanziare nuovi canali facendo ricorso a soluzioni originali. Ad esempio, si potrebbero affiancare, sul digitale terrestre, ai canali in chiaro finanziati dal canone, dei canali tematici pay - a partire da quelli attualmente inseriti nel bouquet di Sky (RaiSat, ndr) - il cui costo aggiuntivo, facoltativo rispetto al canone, sarebbe di modesta entità, in considerazione dell'alto numero di abbonati alla Rai. In altre parole con una cifra oscillante tra i 30 e i 40 euro, non al mese, ma all'anno, l'utente potrebbe disporre di almeno una dozzina di canali tematici che andrebbero a integrare l'offerta in chiaro. A questi canali, come suggerisce Rognoni, se ne potrebbero aggiungere altri, sempre a pagamento, ma in pay per view: canali premium di teatro, lirica, cinema, ecc. che privilegino la produzione-distribuzione di prodotti italiani ed europei.
 
Questo modello di business porrebbe su basi nuove - e più accettabili per gli utenti - il problema dell'aumento del canone, attualmente possibile solo col contagocce, poiché difficile da motivare. Infatti, assegnando agli utenti che la richiedessero, una card per visionare i canali supplementari a pagamento, il canone non verrebbe più percepito, a differenza di quanto oggi accade, come una tassa, bensì come un abbonamento basic integrabile, a basso costo, con un ricco campionario di canali aggiuntivi. In terzo luogo si risolverebbe, grazie alla varietà dell'offerta tematica, l'annosa questione del servizio pubblico che trascura, nelle ore di grande ascolto, il pubblico più esigente.
 
Renato Parascandolo
per "L'Unità"

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