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L'orologio dei media rimpiazzer l'Auditel?

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Fonte: Il Sole 24 Ore

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Televisione
Un video, due ragazzi. Il primo lancia un paio di occhiali da sole - di volta in volta da un viadotto, da uno skateboard in corsa, dal tetto di una casa - e l'altro riesce sempre a infilarseli al volo giusti sul naso. Su YouTube, l'hanno visto, sghignazzando, due milioni e 300mila persone. È molto? Non è facile rispondere: due milioni e 300mila sono più o meno le persone che in media hanno guardato RaiDue nell'aprile scorso. E in tutta la programmazione di Sky e Fox Italia, nello stesso mese di aprile, non c'è nessun programma che sia stato visto da due milioni e 300mila persone, anzi la prima serata è rimasta in media al di sotto della metà di quella cifra. Si dirà, con ragione, che i dati Auditel non sono confrontabili con i conteggi di YouTube. Eppure, come non vedere che quel piccolo, simpatico video di un minuto e mezzo, insieme ai milioni di altri video simili che girano in rete, contribuisce in modo consistente allo stillicidio di distrazioni che erode l'audience delle tv commerciali?
 
Non è più l'epoca dei media di massa che controllavano tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, costuiti per tenere il più a lungo possibile la famiglia media seduta sul divano di casa. Oggi, la moltiplicazione dei media digitali rivaluta la funzione del pubblico, che diventa attivo, che cambia, produce, trasmette agli amici, critica ed esplora. Il pubblico sceglie sempre più consapevolmente il contenuto e sempre meno il medium: e, corrispondentemente, i grandi o piccoli generatori di senso, dalle testate giornalistiche ai programmi televisivi, dagli autori agli artisti, tendono a cercare il contatto diretto con il pubblico usando ogni mezzo di comunicazione disponibile. È la crossmedialità. Ma qual è il vero impatto di questo fenomeno? Come si misura? Come si registrano i percorsi crossmediali, tra una tv della via Emilia e il web, passando per un podcast che si ascolta sull'iPod in metropolitana? Come si paragona l'audience della radio via etere, che si ascolta in auto, a quella della radio online, che si ascolta sul posto di lavoro, o a Last.fm, cui non solo si presta ascolto ma si contribuisce? Senza dati che diano conto di ciò che avviene in un mondo crossmediale, editori e professionisti non sanno come reagire al cambiamento.
 
E le conseguenze possono essere importanti: secondo Francesco Caio, gran lupo di mare delle telecomunicazioni e oggi alla Lehman Brothers, «con i costi fissi che hanno, i vecchi media rischiano grosso, anche di fronte a piccole perdite percentuali di audience: perché queste prima o poi le conducono a passare dall'utile alla perdita». Ma chi si occupa di costruire i dati necessari?
 
È il tema del momento. Se n'è parlato, per esempio, lunedì e martedì scorso, a Interact, manifestazione organizzata dallo Iab Europe a Bruxelles, che ha riunito esperti di marketing, pubblicità, tendenze economiche e imprenditoriali della rete. E i motivi di attualità non mancavano. Come l'acquisizione di FeedBurner da parte di Google: il gigante ha comprato - si dice per 100 milioni di dollari - il sistema più usato per distribuire e conteggiare i cosiddetti feed rss che avvertono i sottoscrittori di tutte le novità prodotte da blog e siti di notizie. Un'acquisizione esplicitamente voluta per aumentare la capacità di Google di raccogliere statistiche sul comportamento del pubblico. È l'ultima di una serie incalzante di operazioni accomunate da un fatto: la misurazione dei media è in piena ebollizione. Nell'ultimo mese e mezzo, Google, Microsoft e Wpp hanno speso complessivamente 10,5 miliardi di dollari per comprare aziende dotate delle tecnologie necessarie a gestire la pubblicità online: le hanno pagate tanto perché consentivano, soprattutto, di entrare in possesso delle piattaforme più avanzate per registrare informazioni sul comportamento degli utenti.
 
Conoscere il pubblico è ovviamente strategico, in un sistema mediatico sempre più finanziato dalla pubblicità. La competizione per i sistemi necessari a costruire statistiche affidabili è sempre più accesa. Del resto, a nessuno piacerebbe che l'informazione fosse raccolta solo dai protagonisti dei motori di ricerca. E non a caso, molti storici operatori italiani hanno deciso di rilanciare l'Audiweb, un sistema di rilevazione dell'equivalente internettiano dell'audience. Nielsen/NetRatings, Eurisko, Comscore ci stanno lavorando.
 
Ma è solo l'inizio. La complessità della competizione nei nuovi media digitali non consente di fermarsi a una lettura monomediatica della realtà. La riflessione in materia sta diventando un bisogno impellente. Lo dimostra la fioritura di pubblicazioni in materia. Come i libri di Augusto Preta, autore di "Economia dei contenuti" (Vita e Pensiero) e Enrico Menduni, che ha scritto "I media digitali" (Laterza). E soprattutto come attesta il successo di Yochai Benkler, autore del fondamentale "La ricchezza della rete" (Università Bocconi Editore).
 
Chi si occupa del marketing nelle case editrici di quotidiani si domanda come paragonare i lettori del giornale in versione cartacea e online, tenendo conto che ormai i secondi sono più numerosi dei primi e che però - a giudicare dai pochi dati disponibili - passano meno tempo sulle pagine della testata. E chi studia il valore di uno show crossmediale e internazionale, come il Grande Fratello, non può che domandarsi quale ne sia il pubblico: solo gli spettatori delle sue trasmissioni, oppure la somma di ogni persona della quale conquista l'attenzione, anche attraverso il gossip che alimenta sui giornali e le pagine viste dei siti che ne parlano? E contro chi compete a livello internazionale: contro altri reality show o contro la fiction, visto che in alcuni paesi mantiene la sua natura originale mentre in Olanda usa veri attori per ottenere l'effetto narrativo desiderato?
 
Già: il pubblico internazionale è a sua un problema. Si è detto che la finale di Champions ha avuto in tutto il mondo circa un miliardo e mezzo di spettatori: ma ha senso sommare italiani e giapponesi, cinesi e brasiliani? E perché escludere dal conteggio coloro che hanno seguito la partita col telefonino, o via web?
 
Nei media digitali non si ragiona più con la logica delle filiere verticali che hanno fatto la fortuna statistica ? e politica ? di sistemi come Auditel, Audiradio, Audipress e forse Audiweb. La musica, l'informazione, lo spettacolo, televisivo e cinematografico, sono investite da un vero terremoto culturale e organizzativo. Internet ha sulle prime sconvolto le abitudini, poi creato nuove tendenze. Ora le compagnie media tradizionali stanno reagendo. Ma vanno confortate da un nuovo approccio teorico e pratico.
 
Dopo un primo periodo di sbandamento, i produttori di contenuti tradizionali tentano di imparare a cavalcare le nuove piattaforme. La strada maestra è in quella parola, tanto ripetuta quanto ancora vagamente oscura: crossmedialità. Un concetto che parte dal pubblico e arriva ai contenuti, trasformando i media in semplici piattaforme.
 
Ma il concetto implica una nuova misura dell'audience. Anzi, questo è l'anello mancante, il desiderio fondamentale degli innovatori, il maggior timore dei conservatori, il tema sul quale si fonda il valore pubblicitario della crossmedialità. Eurisko, Swg, Nielsen e altri stanno lavorando alla creazione di un sistema di rilevazione capace di tener conto del tempo che la gente destina ai vari contenuti e ai diversi media.
 
Può essere difficile. La Nielsen rileva, con un panel di 15mila persone, i percorsi di navigazione online degli italiani e scopre che il pubblico passa una mezz'ora al mese sui siti dei giornali. Ma la stessa Nielsen raccoglie dati attraverso software installati sui server dei siti web e in questo modo trova che le visite ai giornali online sono molto più lunghe. La contraddizione non fa che dimostrare la necessità di nuovi sistemi di misurazione.
 
Il tempo è un buon metro di paragone. E l'orologio dei media sta cambiando. La crossmedialità rende obsoleto ogni sistema di misurazione che faccia a fette gli utenti. C'è bisogno di sistemi per conoscere i comportamenti, i valori, le preferenze, dei consumatori e dei cittadini. Sistemi che li trattino non più da spettatori, ascoltatori, lettori o navigatori: ma da persone.
 
Luca De Biase
per "Il Sole 24 Ore"

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