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Milly Carlucci: 'Troppa volgarit in tv e per strada'

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Fonte: La Stampa

T
Televisione

Milly Carlucci da. "L'altra domenica" di Arbore su una Raidue allora alternativissima a Notti sul ghiaccio oggi (da sabato) su una Raiuno molto per famiglie con nonni e pupi.

Milly Carlucci con Paolo BelliSono passati trent'anni. Da Arbore, lei che studiava architettura, c'era arivata attraverso Gbr, una delle prime tv libere romane. Faceva l'inviata speciale con Isabella Rossellini e Michel Pergolani mentre Roberto Benigni si esibiva come stralunato critico tv accanto a una lampada parlante assai futuribile.

«Mi inviavano nei posti più strani. Mi ricordo una sagra della mucca in Val d'Aosta e un palio degli asini da qualche altra parte. Ma lavoravo nel programma più di culto del momento. Una occasione rarissima perché, di solito, si scopre di esser stati di culto quand'è finito. Non ero una valletta muta: avevo diritto di parola e l'usavo. Se penso alle divette di oggi sento di esser stata fortunatissima».

Allora, però, i canali erano due: bastava comparire su uno o sull'altro perché la gente per strada ti fermasse.

Altri tempi. E infatti quella di Milly Carlucci è una carriera d'altri tempi. Subito Giochi senza frontiere. Poi un tentativo a Mèdiaset, nell'88, per Risatìssi-ma con Banfi, Boldi, Rie e Gian e Berlusconi che controllava ogni puntata, concentratissimo nella costruzione del suo impero mediatico.

Differenze tra quella Rai e quella Mediaset di ieri?
«Enormi. La Rai nasceva da lontano aveva figure professionali capaci, tanta burocrazia e molti filtri prima di arrivare al gran capo. A Mediaset ci sì arrangiava con l'entusiasmo e l'improvvisazione ma sentivi che il gran capo era là. Anche lo stile fa subito diverso. Mediaset proponeva Drive-in rompendo ogni schema, la Rai si dipingeva come la Casa degli italiani».

Oggi le differenze sembrano quasi annullate.
«Magari servirebbe una sola rete sovvenzionata dal canone come una isola franca, libera dall'Auditel».

Indiscussa signora del piccolo schermo Milly Carlucci non è diventata una icona come Raffaela Carrà, Simona Ventura, Maria De Filippi: come mai?
«Mi piace adattarmi alle cose che faccio e non viceversa. E poi non seguo le tendenze. Non ho mai voluto fare un reality. Li detesto, E li detesto da prima che arrivassero da noi. Ne vidi uno in Germania dove un gruppo di persone s'annoiava a morte. Misero nella casa una spogliarellista che faceva la doccia nuda e il pubblico arrivò. Non sono moralista. Ma se si vuole conquistare l'attenzione così, basta mandare in chiaro qualche filmetto pornografico».

E' vero che la tv di oggi è più volgare?
«Siamo noi più volgari, più aggressivi, più violenti. Abbiamo paura che la globalizzazione ci faccia perdere il lavoro. Detestiamo ogni rivale. Abbiamo smarrito là cortesia: per la strada e in tv. Per di più abbiamo proibito ai ragazzi di coltivare i loro sogni. Però, quand'ero bambina, mi ricordo le critiche che piovvero addosso a Peppino De Filippo che faceva dire al suo Pappagone: "Ecque qua", un giochino di parole che oggi ci lascia esilarati».

Quando ha cominciato, Vallettopoli esisteva?
«Se c'era si praticava con stile. Del resto la stessa Marilyn s'è sorbita molti divani di produttori».

Cosa c'è per lei dietro l'angolo?
«La speranza di uno spazio mio dove parlare con le persone. Mi piace progettare e so di essere comunicativa. Vorrei ascoltare storie di gente normale».

Simonetta Robiony
per "La Stampa"

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