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Storie di Matteo Marani su Sky Sport «1984, Ho visto Maradona»

News inserita da: Simone Rossi (Satred)

Fonte: Digital-News (com.stampa)

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Sky Italia
venerdì, 05 luglio 2019 | Ore: 06:00

Storie di Matteo Marani su Sky Sport «1984, Ho visto Maradona»Dopo le produzioni Sky Original ''1964, Il Bologna Paradiso'' e ''1945, Checkpoint Trieste'' torna su Sky Soort “Storie” di Matteo Marani con un nuovo appuntamento dedicato a uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.

Il docufilm “1984, Ho visto Maradona” andrà in onda, venerdì 5 luglio alle ore 21 su Sky Sport Football (canale 203), in replica alle 24 su Sky Sport Mondiali, e poi nei successivi passaggi sabato 6 luglio (alle 16 su Sky Sport Mondiali e a mezzanotte su Sky Sport Football) e domenica 7 luglio (alle 15 e alle 19 su Sky Sport Mondiali e alle 23 su Sky Sport Football).

La trattativa più lunga, sofferta e complessa nell’intera storia del calcio italiano. Questo fu, 35 anni fa, il trasferimento dal Barcellona al Napoli di Diego Armando Maradona, il più grande calciatore dell’epoca e forse di ogni tempo. Una pagina scolpita nella memoria di ogni napoletano e degli appassionati di calcio, con i famosi palleggi sul campo del San Paolo, il 5 luglio 1984.

Per la prima volta, con un lavoro di inchiesta e di approfondimento a cura di Matteo Marani, Sky ricostruisce nel dettaglio la vicenda, offrendo documenti esclusivi, immagini d’archivio e le testimonianze dei protagonisti. Dal Presidente del Napoli di allora, Corrado Ferlaino, al compagno di squadra Ciro Ferrara, dal “rivale” milanese Adriano Galliani allo storico Marco Gervasoni.

Era l’epoca d’oro del calcio italiano. Platini alla Juve, Falcao alla Roma, Zico all’Udinese. Nell’estate in cui Maradona sbarcava nel campionato più bello del mondo, il Torino acquistava Junior, l’Inter Rummenigge, la Fiorentina Socrates. Anni d’oro, anche per il Paese, che usciva dalla stagione del terrorismo con una sorta di secondo boom. Era la stagione dei “paninari”, dei fast food, degli stilisti milanesi, della politica, che vedeva al centro la figura di Bettino Craxi, la morte di Enrico Berlinguer e la Democrazia Cristiana, che proprio a Napoli – attraverso la costruzione del nuovo centro direzionale – comandava la Prima Repubblica.

“Storie” di Matteo Marani torna per raccontare i giorni che sconvolsero e resero felice l’Italia del calcio. E, come abitudine del programma, uno spaccato più ampio del Paese. Fu il momento più bello nella storia del Napoli e nella vita del Pibe de Oro. Ma anche di una città che da allora poté dire: “Ho visto Maradona”.


 #SkyStoriediMatteoMarani - 1984, HO VISTO MARADONA

Erano trascorsi 123 anni, 3 mesi e 22 giorni dalla caduta dell’ultimo Re: Francesco II di Borbone, detto Franceschiello. Da allora nessuno aveva più dominato su Napoli. Non Vittorio Emanuele II, non Umberto I, non Vittorio Emanuele III, non Umberto II. E tanto meno la Repubblica, mai amata per davvero nella città più monarchica d’Italia. Toccò perciò a un nuovo sovrano, anche lui di discendenza spagnola come l’ultimo Borbone, colmare il vuoto e occupare quel trono.

Il 5 luglio 1984, 70mila persone si diedero appuntamento al San Paolo per lui. In quel pomeriggio di sole, immerso in un’estate calda e piena di speranza, sul campo non c’era il concerto di una rock-star come Michael Jackson e nemmeno Papa Karol Woytila, il pontefice che riempiva gli stadi come artefice del cambiamento politico in atto nel mondo. Quel giorno, a volere essere precisi, non c’era neppure una partita di calcio. C’era solo un uomo. Il suo nome era Diego Armando Maradona.

Erano serviti 54 giorni per portarlo sin lì, a palleggiare davanti ai tifosi che avevano pagato 1.000 lire per le curve, 2.000 lire per i distinti e 3.000 lire per la tribuna. Sei settimane che erano state le più incredibili, eccitanti, straordinarie, assurde e indimenticabili nella storia del Napoli. Erano il frutto di una trattativa altrettanto complessa, fatta di intrecci e di aperture, di accelerazioni e paure, di slanci e frenate. Che qui vogliamo raccontarvi per intero.

Tre anni più tardi, in un altro pomeriggio caldo, il 10 maggio 1987, su questo stesso terreno di gioco il Napoli avrebbe festeggiato - con Maradona capitano - il primo scudetto della storia. Un successo che avrebbe rappresentato il riscatto di un popolo umiliato nei secoli, la rivincita sul Nord sentito sempre come oppressore. Ma tutto quanto avvenne dopo, compresi la Coppa Uefa dell’89 e l’altro scudetto del ‘90, non sarebbe esistito senza quel 5 luglio, quando l’impossibile accadde.

Nel 1984, nonostante in realtà non abbia ancora vinto nulla di davvero importante, Diego Armando Maradona è ritenuto il più grande calciatore del mondo. A 16 anni ha debuttato nell’Argentinos Juniors, dopo essere passato dalle giovanili – le cebollitas, le cipolline – su segnalazione di Francisco Cornejo, il primo a scoprirlo a Villa Fiorito.

Diego è nato in questo punto dell’estrema periferia di Buenos Aires il 30 ottobre 1960, tra le baracche, il sudicio e il mito del calcio di ogni argentino. È il quinto degli otto figli di Delma e Diego Maradona senior, umile falegname. Il talento smisurato lo allontana dalla fame.

Dopo la prima convocazione di Menotti con l’Argentina 1977, seguita dalla dolorosa esclusione nel Mondiale giocato in casa, nel 1979 Diego ha vinto il Mondiale Under 20. Nel 1980 viene acquistato dal Boca per 6 miliardi di lire. Due anni con la sua squadra del cuore ed ecco l’Europa, ecco il Barcellona, per 14 miliardi. La Catalogna sarà avara con lui.

Il Regno che lo aspetta non è quello di Aragona, bensì di Napoli.

Il bambino che palleggiava nella miseria delle favelas, grezzo e sublime come un diamante affiorato dalle rocce, nel 1984 ha già affrontato parecchie salite, compresa la rottura della caviglia, tuttavia è ormai un punto fisso della Nazionale argentina. Ha giocato il Mondiale del 1982, dove ha sbattuto contro Claudio Gentile. Al Sarrià, nella gara che ha inaugurato la cavalcata azzurra verso il mundial che per noi italiani resterà quello di Paolo Rossi, di Bearzot e del presidentissimo Pertini, per Diego le soddisfazioni sono state poche. Medita la vendetta, che si prenderà nel 1986, quando da solo vincerà il Mondiale in Messico, consacrandosi agli occhi del pianeta come il più grande calciatore del decennio.

Gli Anni 80 e Maradona sono in effetti fatti per trovarsi e per piacersi. Amano entrambi gli eccessi, la moda, l’edonismo, l’ostentazione sfrenata e la lussuria, che troverà - come unico avversario - la crescente paura dell’Aids. È l’epoca delle provocazioni musicali di Madonna con Like a Virgin, dei graffiti di Haring sui muri di newyorkesi, dei libri di Bret Easton Ellis, fra cui spicca la società schizzata di American Psycho. Dall’America arrivano altri testi: il Falò delle vanità di Tom Wolfe e Le mille luci di New York, affresco di una città che non dorme mai e che costruisce il mito di Wall Street attraverso Michal Douglas nei panni di Gordon Gekko.

In Italia, la dimensione è più strapaesana che metropolitana. Se i racconti dello straordinario Pier Vittorio Tondelli hanno il merito di portare in luce la vita dei nuovi giovani della provincia, dove “Altri libertini” diviene un manifesto generazionale, a Sanremo vincono Al Bano e Romina Power con “Ci sarà”, sebbene il vero trionfatore sia Eros Ramazzotti con Terra Promessa, primo fra i giovani. È l’Italia che guarda la Carrà all’ora di pranzo, Baudo la domenica pomeriggio e che balla il sabato sera con Fantastico e con Heather Parisi, una delle prime conquiste femminili di Maradona una volta giunto in Italia.

È una società che costruisce anche dei nuovi modelli di consumo. Molti sono importati dall’estero, come le Timberland, il Rolex, il Monclair, status symbol di una moda che si diffonde soprattutto nelle città del Nord. Li chiamano Paninari, perché il nucleo iniziale si è ritrovato a Milano davanti al bar “Al Panino” e da lì si è poi trasferito al Burghy di piazza San Babila. I fast food, esaltazione dello stile di vita americano imposto dall’ideologia imperialista di Ronald Reagan, non lasciano estraneo neanche Maradona. Per la prima volta gli sportivi diventano attori negli spot e l’argentino viene scelto come testimonial da McDonalds, che nel 1986 aprirà il primo spazio italiano a Roma.

Maradona è il nome dei sogni e non può mancare al campionato più bello del mondo. Negli Anni 80, mentre l’Italia vive un miracolo economico più effimero di quello di vent’anni prima, il calcio tricolore è ricco, felice, in espansione come i suoi stadi, presto divorati dalla mangiatoia di Italia 90. L’inversione è avvenuta nel 1980, con la comparsa degli sponsor sulle maglie, i primi diritti tv e la riapertura delle frontiere agli stranieri, chiuse nel 1966 dopo la sconfitta contro la Corea. Falcao alla Roma, Brady alla Juventus, Prohaska all’Inter, Bertoni alla Fiorentina. Sarà l’argentino, campione del mondo del 1978, a segnare il primo gol straniero dopo la riapertura e sarà lui il compagno del primo Maradona nel Napoli 1984-85. All’ondata iniziale, dentro alla quale sono finiti parecchi bidoni, si sono aggiunte via via tutte le stelle del pianeta. Nell’82, all’indomani del Mondiale, la Juventus ha acquistato Michel Platini, tre volte dominatore dei marcatori in Serie A e vincitore, sempre per tre volte, del Pallone d’Oro. Platini è anche il grande protagonista dell’estate ‘84, visto che ha appena vinto il secondo scudetto bianconero di fila e ha conquistato – da capitano, leader e simbolo – l’Europeo con la Francia. È lui a invitare Maradona in Italia: ormai manca solo Diego. (lunedì 14 maggio).

Nell’estate 1984 si completa l’album dei campioni con l’arrivo di Leo Junior al Torino, di Socrates alla Fiorentina, di Rummenigge all’Inter, di Briegel ed Elkjaer al Verona, squadra che nove mesi più tardi Bagnoli condurrà allo scudetto. Il più famoso è arrivato un anno prima, nel 1983, e la storia che stiamo per raccontarvi - relativa a Maradona - passa proprio da lui. Il suo nome è Arthur Antunes Coimbra, ma basta dire Zico. L’ha acquistato a sorpresa la piccola Udinese del presidente Mazza e del Ds Dal Cin. Si è schierata una comunità dinanzi ai limiti imposti dalla Federcalcio. “O Zico o Austria” hanno scritto i friulani sui cartelli esposti in piazza. Il Galinho alla fine è arrivato, segnando 19 gol in 24 partite al primo anno. Alla fine della stagione, l’Udinese ha deciso di mettere il campione brasiliano contro il Re argentino. Zico contro Maradona.

L’amichevole è fissata per il 7 maggio. Maradona, coinvolto in una furibonda rissa contro l’Athletic Bilbao, residuo di un fallo criminale subìto l’anno prima da Goichoetchea, a Udine non si presenta. Ci sono però il Barcellona e l’allenatore Menotti, una sorta di secondo padre. Fa capire che Diego non è felice in Spagna, preso di mira dagli avversari in campo e dai giornali, i quali continuano a scrivere della vita dissoluta che fa, delle zuffe in discoteca del suo clan, della scarsa professionalità. In aggiunta, c’è stata l’epatite contratta negli ultimi mesi. Menotti, attraverso i giornalisti italiani, informa anche Luis Minguella, agente che lavora a contatto con il Barcellona, e Ricardo Fujca, il quale vanta eccellenti relazioni con i club italiani. Fra questi, c’è l’Avellino del giovane Pierpaolo Marino, futuro Direttore generale del Napoli

Maradona è ufficialmente sul mercato. Il suo nome era stato accostato al Napoli già 6 anni prima. A farlo era stato l’allenatore Gianni Di Marzio. Aveva visto il talento a Buenos Aires, gli aveva fatto un provino privato il giorno successivo alla fine del Mondiale ‘78, ma lo sforzo era stato del tutto inutile poiché le frontiere erano chiuse.

Ora non è più così, tutto è cambiato. Anche la Napoli del 1984 è diversa da quella degli Anni 70. Sempre splendida, incantevole, struggente nella luce del lungomare e nel buio dei vicoli, i celebri bassi affrescati un secolo prima da Matilde Serao. Napoli non è più la città lambita dal terrorismo, e non è più la città del terremoto, bensì è quella della ricostruzione. Dopo il sisma del 1980, si stima che 50mila miliardi di lire siano giunti in Campania, in gran parte fra queste strade e queste piazze. Come dirà con macabra ironia il leader della Democrazia Cristiana e irpino doc Ciriaco De Mita: "Napoli ci ha portato via il terremoto".

I soldi della ricostruzione gonfiano l’economia sommersa, gli appalti truccati, la corruzione. È la malavita dei colletti bianchi, che ha il suo ritrovo alla Sacrestia, il ristorante più vista della città, frequentato anche da Maradona.

Nel 1984 chiude la Cassa per il Mezzogiorno e non è più l’epoca dell’Italsider, la fabbrica che ha dato lavoro a migliaia di napoletani. Comandano commercialisti, assessori, avvocati, mazzette, soldi sporchi, ma anche droga, la cocaina che viaggia veloce. Pure in questo Maradona è figlio degli Anni 80. Mentre nel 1984 si registrano 389 decessi per eroina, 132 in più dell’anno prima, ovunque aumenta la droga dei ricchi.

A Napoli la spaccia la Camorra, sconvolta da una stagione di scontro a fuoco. Non si uccide solo a Palermo nella guerra tra Corleonesi e vecchia mafia. Da una parte di Napoli c’è la nuova Camorra organizzata di Raffaele Cutolo, dall’altra la Nuova Famiglia di Carmine Alfieri.

La prima perderà con gli 800 arresti del 1983. Ma perderà soprattutto la giustizia, perché tra quegli arresti ci sarà anche quello di Enzo Tortora, l’amico di Portobello e degli italiani.

Anche la Camorra ha cambiato abiti e abitudini. La Nuova Famiglia ha un’importante alleata nei fratelli Giuliano di Forcella. Il boss è Luigi Giuliano, detto o Re. Occhi azzurri, forte carisma, ha vestiti firmati, porta orologi d’oro al polso, ed è amante delle belle auto e dello sfarzo, dunque è molto lontano dal rigore del vecchio Cutolo. Con lui ci sono Carmine Giugliano, detto O lione, e gli altri fratelli. Hanno bisogno di mostrare il loro potere alla città e il modo migliore per farlo, a breve, sarà ostentare la frequentazione con l’emblema più famoso di Napoli, Diego Armando Maradona, seduto nella vasca da bagno di casa loro.

I soldi del terremoto li amministra soprattutto la politica. La Democrazia Cristiana napoletana comanda pure a livello nazionale. Da qui arrivano tre ministri potenti: Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Gava e Vincenzo Scotti, l’uomo che da sindaco sta per diventare decisivo nella trattativa Maradona. Oltre al calcio, con la nomenclatura democristiana presente nella tribuna del San Paolo, la Balena Bianca locale ha messo occhi e mani sul Centro direzionale. In costruzione a poca distanza dalla stazione Centrale, il luogo è il simbolo degli Anni 80 napoletani, almeno quanto lo è Maradona. Grattacieli, negozi, uffici, nei quali vanno a collocarsi la sede della Regione e molti altri uffici pubblici. Con il passare degli anni, il Centro Direzionale perderà progressivamente la sua importanza, lasciando spazio al degrado odierno, ma l’area edilizia progettata dall’architetto giapponese Kenzo Tange – mentre il Novecento va chiudendosi - è la via alla modernità intrapresa dalla città, che dalla sommità di quelle torri scruta l’Europa all’orizzonte. Milioni di metri cubi di cemento, vetro e metallo che creano un clamoroso contrasto con il resto degli edifici, facendone oggi una sorta di monumento dell’antica ambizione, come avviene allo stesso modo con i murales di Maradona lungo i vicoli della città.

A proposito di Diego, la trattativa parte ufficialmente il 22 maggio, quando Jorge Cysterpiller, agente di Maradona, invita a Barcellona Antonio Juliano, direttore sportivo del Napoli. È il primo atto sostanziale. Totonno, come lo chiamano con affetto i napoletani, è stata una grande bandiera. Ha vestito la maglia del Napoli per 16 anni e ben 394 gare. Una fedeltà eccezionale, sulla quale fa affidamento Corrado Ferlaino. Dal 1969 l’ingegnere è il presidente del Napoli.

Il grande sogno Maradona richiede mezzi enormi. Ma Ferlaino non possiede la ricchezza dei club del nord. L’anno prima ha chiuso al dodicesimo posto. Eppure a Napoli basta poco per accendere i sogni e iniziano a crederci tutti dopo le prime voci. La città si mobilita, la trattativa diventa quella di ciascun tifoso. I capannelli davanti alla sede del club, in piazza dei Martiri, si incrociano con le file all’edicola della Riviera di Chiaia per i giornali della notte, assieme ai caroselli in auto davanti alla case di Ferlaino e Juliano. I due non sono più emissari di un club, ma ambasciatori di una città. Solo per Omar Sivori, genio argentino con la maglia numero 10, estroverso come Diego, la Napoli dalle passioni travolgenti aveva vissuto qualcosa di simile.

Il 25 maggio il Consiglio direttivo del Barcellona si riunisce e vota: 15 voti favorevoli alla cessione, 4 contrari. L’operazione sembra fatta, ma è appena l’antipasto. Ecco in rapida sequenza cosa accade nei giorni seguenti: il 27 maggio l’affare è dato per concluso e il giorno successivo Diego professa il suo amore per quella che diventerà in effetti l’altra città della sua vita assieme a Buenos Aires. Ma il 30 maggio, nelle ore in cui Ferlaino ha ottenuto l’appoggio del presidente della Federcalcio Sordillo, arriva la nuova frenata del Barcellona. Che diventa cocente delusione il 6 giugno, quando la giunta esecutiva boccia il passaggio e getta nello sconforto Napoli.

Nel frattempo, altri tasselli vanno a comporre un rompicapo complicatissimo. Maradona, da New York, dove si trova per una serie di amichevoli con l’Argentina, accusa i dirigenti del Barça. Il 6 giugno si sfoga: Questa attesa mi sta uccidendo”. Il 9 rincara la dose. Vuole il Napoli e questo fornisce l’innesco per un’iniziativa del Guerin Sportivo, che invia all’hotel Sheraton, nel ritiro del New Jersey, una maglia azzurra. Maradona la mostra compiaciuto sulla copertina del settimanale che fu bolognese. È l’immagine evidente della volontà del giocatore.

Mentre la città vive con il fiato sospeso e mentre Juliano e Celentano sono costantemente in volo tra Napoli e la Spagna, faticando a seminare i cronisti, il Barcellona chiede garanzie economiche per portare avanti l’operazione. Le pretende soprattutto il tesoriere, il quale fa capire a Cysterpiller e a Ferlaino che la certezza dei soldi può sbloccare tutto. Non è un passaggio facile: la legge vieta il trasferimento di valuta all’estero in assenza di un contratto. E qui non c’è nulla di firmato. Il primo miliardo diretto alla Banca Mas Sardà del Banco di Bilbao, sul cui conto lavora il Barcellona, arriva dal Banco di Roma, che ha uno sportello in Catalogna. I successivi 4 miliardi, dei 13 e mezzo totali richiesti dal club blaugrana, vengono messi a disposizione dalla Banca della Provincia. Manca però la fetta principale, gli oltre 7 miliardi che può sborsare esclusivamente il Banco di Napoli.

È l’istituto di credito più antico, influente, ascoltato e importante della città. A guidarlo è un grande esponente del mondo bancario italiano, Ferdinando Ventriglia, prima direttore e poi presidente. Entro poco sarà lui a sbloccare la situazione con il bonifico finale che porterà Maradona a Napoli. Ha legami forti con la politica, un po’ come tutta l’economia e la finanza del nostro Paese, un antico vizio. Celebre una frase di Ventriglia: "Per chiedermi aiuti, mi chiamano persino quando sto al cesso".

Negli uffici del Banco di Napoli, nella centralissima via Toledo, arriva in pratico quello che suona molto come un ordine del sindaco Vincenzo Scotti, a capo della giunta dei cento giorni. L’hanno chiamata così perché è il tempo che si è data come durata del mandato, la cui scadenza è prevista per i primi di luglio. Il garante dell’accordo è stato Enrico Berlinguer, il quale muore l’11 giugno, mentre la trattativa Maradona è in pieno svolgimento. L’Italia si ferma per rendere omaggio al leader del Partito comunista, vittima di un’emorragia cerebrale durante un comizio a Padova. A Roma, un milione di militanti partecipa al funerale, anticipando il sorpasso elettorale del PCI sulla DC alle elezioni europee, unica volta nella storia repubblicana.

La tragica scomparsa di Berlinguer mette fine alla rivalità tra lui e Bettino Craxi, forse il maggiore protagonista politico degli Anni 80, l’uomo che un anno più tardi si opporrà in modo temerario agli Stati Uniti sul caso Sigonella. La sinistra si è spaccata fra la questione morale cara a Berlinguer e l’esigenza di modernità di Craxi. Salito al comando del PSI nel 1976, il leader socialista è colui che prima e più di tutti intercetta il bisogno di novità che emerge dalla società. Rompe coi sindacati sulla scala mobile, sfidandoli come ha fatto Margaret Thatcher in Inghilterra.

Al Congresso di Verona, nel 1984, in prima fila compaiono Armani e Trussardi, gli stilisti che stanno esportando il Made in Italy nel mondo. Moda, pubblicità, comunicazione, design. È la Milano che prova a imitare New York e a non dormire mai. La Milano da bere, come recita una pubblicità, che produce, che corre, che vede il boom del terziario e che alla sera torna a casa presto per vedere la tv commerciale.

Nel 1984 Silvio Berlusconi acquista Rete 4 dalla Mondadori. È il terzo canale dopo Canale 5 e Italia 1: l’imprenditore partito dalla case dell’Eldinord, in una scalata inarrestabile, ha completato il polo privato concorrente della tv pubblica. Berlusconi è socialista e amico di Craxi. Toccherà a Bettino, sempre nel 1984, intervenire affinché lo spegnimento dei canali Fininvest, imposto in ottobre dai pretori, venga cancellato dal governo. Una posizione liberista che Craxi esprimeva in realtà sin dal 1973, non ancora segretario del partito, come dimostra l’eccezionale documento proveniente dall’omonima Fondazione e che contiene la sua protesta per la chiusura di Telebiella, la prima tv privata italiana.

Mancano meno di due anni all’ingresso di Berlusconi nel Milan, datato marzo 1986. Il suo Diavolo sarà il rivale più diretto del Napoli di Maradona, una sfida piena di significati, culminata nella sfida persa nel 1988 al San Paolo e quella invece vinta nello scudetto del 1990. Molto di quanto è stato sperimentato negli studi televisivi, compresa una certa estetica, sarà trasferito da Berlusconi nel calcio. Le tv del Biscione introducono infatti i telefilm americani, serie come Dallas e Uccelli di Rovo campioni di ascolti, ed eventi sportivi come il Mundialito per club disputato a San Siro. Si capisce che c’è uno spazio enorme lasciato libero dalla paludata Rai. Il simbolo diviene il Drive In. Dentro ci sono sketch, maschere come il Paninaro, ma ci sono soprattutto la leggerezza e il riflusso di quella stagione storica, dove l’impegno è cancellato. L’aspetto più innovativo riguarda la vendita di pubblicità. Berlusconi ha capito che molte aziende medie o addirittura famigliari ricercano una visibilità nazionale e lui l’assicura con spot martellanti, insieme con le prime televendite dentro ai programmi. È l’epoca in cui i consumi delle famiglie aumentano, guidate dai brand, famiglie che a loro volta vanno cambiando. Il numero di figli è diminuito da due a uno, i matrimoni sono quasi dimezzati: dai 400mila del 1965 ai 250mila del 1985.

In tutto questo, il matrimonio più importante da celebrare rimane quello fra il Napoli e Maradona.

Il più fiero oppositore, il nostro don Rodrigo, è Juan Gaspart, vicepresidente del Barcellona, editore dell’influente quotidiano catalano Sport. Vuole sfidare il presidente Nunez alle imminenti elezioni e si fa sostenitore del no. Il 19 giugno la situazione appare compromessa. “Maradona sfuma, tifosi in rivolta” titola il Corriere dello Sport. Il giorno dopo arriva l’ennesima sfuriata di Diego: “Un club di dittatori, qui non esiste democrazia”. La scadenza ultima per chiudere l’affare è il 30 giugno, data di chiusura del mercato straniero. Il 22 giugno il Napoli invia 5 miliardi a Barcellona, mentre il 26 fa recapitare i famosi 7 miliardi del Banco di Napoli. Ora ci sono tutti. Lo stesso giorno il Barcellona invia un telex al Centro Paradiso, dove il Napoli si allena e dove si svolgono le costanti riunioni tra Ferlaino e i suoi più stretti collaboratori. Quel luogo, su cui Diego si allenerà negli anni di Napoli, è un altro simbolo di decadenza dei tempi andati. Lì dove decine di persone ogni giorno si fermavano per ammirare il Re palleggiare, oggi restano erbacce, vetri rotti, un doloroso abbandono. Mette davvero tristezza pensare a cosa era e a cosa ne è rimasto dopo il fallimento del club del 2004, un crack che si è portato via anche le coppe, i mobili e con loro migliaia di documenti, tutti spariti esattamente come è capitato al vecchio centro Paradiso.

Il telex inviato dal Barcellona a Soccavo è comunque il primo documento ufficiale dei catalani. Non è il tempo dei fax e ancora meno delle email. Ogni comunicazione fra Paesi o continenti avviene via telex. Vi mostriamo quello, importantissimo, redatto dagli uffici del Banco di Napoli il 26 giugno e determinante a sbloccare l’affare.

Napoli non molla, ci crede, nessuna città al mondo ha una confidenza altrettanto comprovata con i miracoli. E per Maradona non si risparmiano preghiere. Il 29 giugno è un venerdì, meno di 48 ore alla scadenza. Juliano litiga ferocemente con il solito Gaspart nella stanza 1717 dell’hotel Princesa Sofia. È in quell’albergo, moderno, elegante, a due passi dal Camp Nou, che si presenta anche un inferocito Maradona. All’ultimo istante, Gaspart ha aggiunto un miliardo e mezzo alla domanda, arrivando a 15. Inaccettabile, intollerabile. Ferlaino vola a Milano per depositare il telex degli spagnoli in Lega, per un eventuale ricorso alla Uefa. È l’unico documento in mano al Napoli, sebbene sia lontano da un contratto. Ferlaino vola a Barcellona mentre la situazione precipita. Sempre il Corriere dello Sport, il 30 giugno, titola sconfortato: Maradona niente Napoli.

Il destino in realtà ha deciso diversamente. L’uomo chiamato a cambiare la storia, come in tutta la sua vita, è proprio Diego Armando Maradona. Va sotto casa del presidente e comincia a gridare la sua intenzione di andarsene. Una piazzata. Nunez capisce che non può trattenere il giocatore controvoglia e convoca Ferlaino nello chalet di Sant’Andres de Lavanares, sulla Costa Brava. È lì che Maradona diventa un giocatore del Napoli nella mattina del 30 giugno. Al giocatore sono accordate le seguenti condizioni: 800mila dollari all’anno per quattro stagioni, il 15% sul valore del trasferimento, villa con vista sul Golfo, due auto - una berlina e una utilitaria - dieci biglietti aerei e 2 viaggi all’anno in Argentina, il 50% della pubblicità col Napoli, l’80% dove è in abiti civili.

La cifra dell’ingaggio non è in realtà quella depositata da Ferlaino in Lega calcio poche ore dopo. Con un documento mai mostrato in pubblico, vi facciamo vedere il contratto firmato da Maradona, presente assieme a quello di altre centinaia di giocatori di Serie A nell’ampio, ampissimo archivio tesseramenti della Lega calcio. È da lì, grazie alla disponibilità della stessa Lega, che possiamo ritrovare date dell’accordo, firme dei protagonisti, ma anche i 200mila dollari di ingaggio annuo, una distanza netta dagli 800mila di cui si va scrivendo sui giornali.

La città esplode di gioia nella notte di sabato 30 giugno, con più 300mila persone a festeggiare in piazza del Plebiscito, via Toledo, via Chiaia, via Caracciolo, e che si risveglia il primo luglio ancora incredula della notizia. Sulla Gazzetta dello Sport compare il commento dello scrittore Luciano De Crescenzo (3 luglio):

“Ora Maradona è sicuramente un Re medievale: ha la sua corte, è dispotico e romantico quel tanto che basta per farsi amare e Napoli dovrebbe essere la sua terra ideale. Altri stranieri ci avrebbero messi in difficoltà: Rummenigge perché gelido come una spada prussiana, e Socrates perché troppo radical chic per fraternizzare con gente che ama farsi incatenare ai cancelli di uno stadio. Non conosco personalmente Maradona, ma quel poco che ho capito, credo che sia un calciatore che gioca bene solo quando sente di essere amato. Se così stanno le cose, a Napoli farà faville”.

È tutto vero. Maradona scalda i napoletani ed è arrivato in Italia con una corte reale. Dalla storica fidanzata Claudia, presto madre di due bambine, al preparatore Fernando Signorini, dall’addetto stampa Guillermo Blanco all’operatore Juan Carlos Labùru, ingaggiato per filmare ogni apparizione del giovane campione. Nessun calciatore ha mai pensato di farlo e pure in questo Diego è un figlio prediletto degli Anni 80 e del culto dell’immagine.

Tutto nasce dalla Maradona production, la società che ha creato Jorge Cysterpiller, discendente di polacchi emigrati in Argentina. Con Maradona sono amici da sempre, sin dai campi in terra battuta di Villa Fiorito. Il capelluto e visionario Cysterpiller, la cui vita si chiuderà in modo drammatico, ha portato avanti l’intera trattativa tra Barcellona e Napoli, riuscendo a spuntarla. Quando lui e Diego scendono dall’aereo a Fiumicino, alle 14.05 di mercoledì 4 luglio, con volo proveniente da Madrid, sanno che quello è il successo di tutti. Di Diego, di Jorge, del Napoli, del calcio italiano, il quale finalmente ha portato nel campionato più bello del mondo il giocatore più forte del mondo. È come se la Range Rover sulla quale si infila Maradona una volta sceso dalla scaletta, per evitare l’assalto dei tifosi giunti sino a Roma, fosse un corteo reale diretto verso Napoli.

L’euforia è ormai alle stelle. Il 4 luglio Maradona arriva a Napoli nel primo pomeriggio, pronto per l’incoronazione del giorno dopo davanti al popolo. La prima sera la passa a Capri, al ristorante La Capannina. E la prima notte nella suite dell’Hotel Vesuvio. Lui e Claudia si sposteranno nei giorni seguenti all’Hotel Royal.

Alle 7.30 del 5 luglio, la mattina del grande giorno per Napoli, fa le visite mediche in una clinica in via Manzoni. Con l’argentina ci sono il dottor Acampora e l’interprete Gil Alberti, allenatore amico di Pesaola e messo a disposizione dalla società come interprete.

Viaggiando su una mini, Maradona ha fatto un primo sopralluogo allo stadio in mattinata e per il pranzo si è spostato a Pozzuoli, al ristorante Ninfea. Sappiamo tutto, ogni passo è registrato.

Alle 5 del pomeriggio tiene la conferenza stampa fissata al San Paolo. La stessa nella quale un giornalista, il francese Alian Chaillou, verrà espulso da Ferlaino dopo un brutto accostamento fra i soldi spesi per Maradona e quelli della Camorra.

"Mi farò amare dai bambini di Napoli", dice Maradona davanti ai 200 giornalisti accreditati da tutto il mondo, persino dal Giappone. Ci sono anche 50 cameraman e 50 fotografi, assiepati davanti al tunnel degli spogliatoi. È da lì che alle 18.30 del 5 luglio 1984, orario e data da consegnare ai posteri, Diego compare in tuta sponsorizzata. Una foto, divenuta storica, riassume quell’ingresso. Diego sta per andare incontro al futuro e a quella che sarà la pagina più gloriosa del Napoli. Due scudetti, una Supercoppa italiana, una Uefa, 259 incontri e 115 gol. Il Re ha trovato il suo Regno.

Maradona fa qualche palleggio. I tifosi se lo mangiano con gli occhi, eccitati e sudati per il caldo. Al microfono, il Pibe de Oro scandisce dieci parole: "Buonasera napoletani, io sono molto felice di essere con voi". Applausi, tripudio, esaltazione. C’è il tempo di premiare i giovani campioni d’Italia degli Allievi, fra i quali compaiono Ciccio Baiano e un giovanissimo Ferrara.

È un segno del destino. Ciro è il compagno con cui Diego condividerà molti momenti dei suoi anni a Napoli. E sarà anche il suo vicino di casa: uno al primo piano, l’altro al secondo, al terzo gli uffici della Maradona Productions. L’argentino abiterà in via Scipione Capece numero 3. La villetta non è lontana dall’Hotel Paradiso, dove si concederà le evasioni, e neanche dalle case dei compagni di squadra, che a lui saranno sempre legati. Feste, divertimenti, ma anche il coraggio di rappresentare tutti nei momenti decisivi. Questo è un Re.

La casa di Maradona si trova sulla collina di Posillipo, in uno dei posti più belli che l’umanità abbia avuto in dono. Da quassù il mare e il sole sembra di toccarli, mentre laggiù in lontananza appaiono ogni mattina Ischia e Capri. È la straordinarietà di Napoli. L’unicità dei suoi posti, ma anche della sua gente. La sola che abbia capito davvero Maradona e l’unica che sia stata compresa fino in fondo da Diego. Parlano la stessa lingua, vivono la stessa sincerità, persino dolorosa se serve. Istinto, passione, trasporto, autenticità, sentimento, quello dimostrarono i 70mila che il 5 luglio 1984 - ormai più di un quarto di secolo fa - decisero di mettersi in coda, fuori dallo stadio, molte ore prima per essere testimoni di quella strana incoronazione. Sulle bancherelle comparivano le magliette di Diego, vendute a 5mila lire, i poster, gli accendini, così come le cassette musicali – uno dei must dell’epoca – coi primi inni dedicati a Maradona, per i napoletani già migliore di Pelè.

Nei quasi cento anni di vita del Napoli, non era mai accaduto e non si sarebbe più ripetuto un simile ribaltamento del potere. Un rivoluzionario sul trono. Questo regalò Diego alla città. Vi era andato vicino Vinicio negli Anni 70, così come Sarri pochi anni fa. Ma Maradona ribaltò davvero tutto. Sconfisse decenni di subalternità, rispose coi gol e lo sberleffo ai soldi degli industriali del Nord, al potere sportivo di Milano, di Roma e di Torino. Andò a vincere su ogni campo, trascinandosi la sua gente, anche quando nel Mondiale 90 ci fu da scegliere tra Italia e Argentina. Un riscatto che milioni di napoletani aspettavano da chissà quanto, forse proprio dai tempi dei Borbone. Ora era tornato il Re, un Re che sapeva comandare.

Maradona ribaltò anche il concetto più profondo del calcio. Non era mai successo che uno sport di squadra divenisse uno sport individuale. Con lui invece fu così. Ribelle, con una personalità sconosciuta a un fenomeno come Messi, vinse da solo un Mondiale e vinse da solo due scudetti, quelli che diventarono gli scudetti di Maradona. Mise la faccia su tutto, contro la Fifa, gli Stati Uniti, contro tutti, anche sui suoi tanti errori. Diego non si è nascosto. Giocò un’amichevole ad Acerra nonostante il divieto della società. Lui l’aveva promesso alle persone. Caricò i compagni, pagò tutti e alla fine si giocò, con gioia e sorrisi fra le macchine in mezzo al campo e la gente umile del posto. Svolse anche lì il ruolo di sovrano del popolo. Che non regala brioche, ma classe.

Il 5 luglio 1984, il giorno che questa città ricorda a memoria, che è ancora nel racconto di almeno tre generazioni, era semplicemente iniziato per Napoli il Regno più bello, quello di un popolo che del suo Re va ancora giustamente fiero.

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