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Antonello Piroso: politici, da me niente cioccolatini

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Fonte: L'Unit

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Televisione

Faccia da Pinocchio severo, giacca stretta e cravatta larga, è uno che stringe gli occhi quando ascolta le risposte dei suoi ospiti. Poi, in un battito, volge lo sguardo altrove, lontano dalla telecamera. Come se, in fondo, quell'occhio meccanico piantato su di lui lo imbarazzasse. Eppure, Antonello Piroso è, nel nostro paese, l'unico homo televisivus all'«americana»: non fa cicicocò con i suoi interlocutori, non fa le «interviste al bacio», conduce i tg con una certa compassata aggressività, e si prepara maniacalmente sui temi delle sue trasmissioni di approfondimento, come Niente dì personale la domenica sera e, soprattutto, come Omnibus, che dalle retrovie di La7 finisce spesso per dare il «la» alla giornata politica italiana, ogni mattina, E un vero «outsider», Piroso, epperò è uno dei pochi veri «volti nuovi» della televisione italiana degli ultimi anni. Non frequenta i bei salotti, non gira a braccetto con i politici, si alza alle sei ed esce dall'ufficio alle dieci di sera, ha «duemila fisime» (come dice lui), ma non fa mistero di un certo qual orgoglio: giustificato anche dal fatto che La 7 deve molto del suo carattere peculiare alla sua faccia e alle sue idee, che hanno fatto diventare il suo Tg un'alternativa abbastanza autorevole ai telegiornali Rai. e Mediasct. Oggi va in onda la puntata numero mille di Omnibus: trasmissione che, pur iniziando alle 7 del mattino, è diventata una delle tribune politiche più frequentate (e seguite) della tv italiana.

Piroso, sono tante mille puntate...
«Pensi che quando mi hanno affidato il programma si tirava a campare. Mi dissero «tu vai un avanti per un po', poi si chiude». Io pensai: vabbé, allora scelgo io come morire. In quel segmento del mattino si vedevano solo programmi di cucina o di diete, oppure i consigli degli stilisti. E io allora ho pensato che valesse la pena rivolgersi a quel pubblico che vuole essere aggiornato sul tema del giorno dell'attualità politica prima di andare a lavorare. Mi hanno guadato come un demente e ora siamo a mille puntate. Non è stato facile, perché La 7 è una rete piccola, ma ha funzionato il tam-tam: i politici che venivano qui poi magari si incontravamo in Transatlantico e si dicevano "sai, sono stato da quei tale a La 7, come sì chiama". Intanto, qui ci sono passati tutti, da Prodi, Berlusconi, D'Alema, tutti: ospiti da prima serata, per così dire. E il programma va avanti bene anche senza di me, È una bella eredità, questa, che resta anche se un giorno non fossi più a La7».

È d'accordo con chi dice che lei propone un modello di conduzione diverso da quello dei suoi colleghi su altri canali?
«Io cerco di essere rispettoso dei mio interlocutore, ma il rispetto non vuole dire che lo blandisco né che lo aggredisco. Penso che se ti sei documentato bene, e se dimostri che non te ne frega niente dell'appartenenza politica di chi ti sta di fronte, ci si concentra molto di più sui fatti che vuoi tirare fuori. Mi dicono che studio troppo, ma prepararsi è un modo per non farsi fottere da chi hai di fronte. Io non scendo in campo, per così dire, non sento il bisogno di dire al mio interlocutore cosa ne penso dei Pacs. È lui che lo deve dire a me. Quello devo garantire io è che ci sia uno scambio di idee vero».

Però a vedere per esempio i suoi "televoti» su certi temi d'attualità, si ha la sensazione che il pubblico di La7 sia prevalentemente di sinistra.
«Assolutamente sì. Il pubblico ci percepisce come un'emittente di sinistra, ma non ci chiede di essere militanti: vuole che gli raccontiamo le cose».

Beh, e Ferrara...?
«Diciamo Lemer, Ferrara, Bignardi: alla fine dentro si tiene, di tutto. Certo, Giuliano dice spesso e con chiarezza quel che pensa, ma conosce bene, per sua storia, il suo interlocutore di sinistra. Sa, anch'io a quindici anni sono transitato dalla Fgci, di cui all'epoca il segretario era D'Alema. Io però entrai perché ero un grande fan di Berlinguer».

I malevoli dicono che il difetto del suo talk show, «Niente di personale», è che mette troppa carne al fuoco... L'altra volta, la puntata sulle vittime del terrorismo, era una sorta di maratona..
«In effetti è una macchina che va ancora tarata. Dipende dal fatto che io temo sempre che si dica che ho un'impostazione parziale, E allora tendo all'eccesso opposto, quasi una forma di enciclopedismo. Comunque ieri sera avevo Gherardo Colombo. Minoli ci fa un'intera puntata su Colombo, per me è un segmento di trasmissione».

Senza fare nomi, ci dica cosa le piace e cosa non sopporta del modo di fare dei suoi colleghi anchormen delle altre reti.
«Non mi piacciono quelli che salgono in cattedra, quelli che danno l'impressione di dire "ora vi spiego io come funziona", quelli che danno la linea, insomma. Poi non mi piace il tipo del pubblico accusatore, l'indignato in servizio permanente, E non sopporto il genere "si faccia una domanda e si dia una risposta", e guardi che non sto parlando di Marzullo. Voglio dire che esistono certi intervistatori o certe conduttrid che ti invitano nel loro salottino e ti di dicono "ci prendiamo un passerino, onorevole?" Tremendo
».

Roberto Brunelli
per "L'Unità"

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