La situazione della Raì è traducibile in una sola immagine: tanti uccellini che beccano le briciole. Triste, no?»:
Oliviero Beha è insieme amaro e sarcastico. Marnai rassegnato. A 58 anni il giornalista fiorentino si ritrova con un contratto Rai da vice-direttore, ma di fatto senza un lavoro.
Come Carmen Lasorella, Beha è uno dei tanti dirigenti che Viale Mazzini preferisce pagare lautamente pur di tenere lontano dagli schermi.
Beha, quali sono i suoi rapporti attuali con la rete pubblica?
«Nell'aprile 2007 il giudice ha imposto in maniera definitiva all'azienda di utilizzarmi in maniera adeguata alla mia carica di vice-direttore».
Il risultato?
«Nessuno. Dopo tre cause civili vinte, non mi è rimasto che intentarne una penale, per mancato adempimento della sentenza».
Quando sono cominciati i suoi "screzi' con la Rai?
«Il mio ultimo programma Rai per la tv è stato 'Video Zorro", nel '95. Poi tanta radio. Il problema è che, da conduttore di "Radio a colori", le ingiustizie non mi andavano giù...».
Si riferisce al caso Francia-Maffei?
«Esatto: nel dicembre 2003, da vicedirettore di Rai Sport, chiedo a Cattaneo (direttore generale Rai, ndr) qualche dettaglio sulla nomina del nuovo direttore di Rai Sport, affidata secondo alcuni in modo poco trasparente a Fabrizio Maffei».
La risposta?
«Cattaneo, senza scomporsi, mi dice: "Beha, ma che le importa? Mica ce l'hanno con lei! Non corre nessun rischio". Il guaio è che, come dicevo, con "Radio a colori" combattevo ingiustizie e soprusi. E quindi protesto in modo deciso. Nel maggio 2004 il mio programma entra in pausa estiva: non è più ricominciato».
Le solite pressioni politiche?
«È proprio una questione culturale, un modo di intendere la professione del giornalista. Se hai alle spalle uno sponsor politico, il posto è garantito.Conta poco il colore di appartenenza, l'importante è ritagliarsi un piccolo posto al sole, sia pure con appoggi "di minoranza". Solo così si può sperare di racimolare qualcosa, come uccelli che beccano le briciole.
Come si può invertire rotta?
«Occorre cambiare la mentalità subpolitica dei giornalisti Rai. È come un bavaglio. Nel 2005, alla vigilia delle elezioni, alcuni dirigenti mi dissero: "Hai finito di soffrire. Adesso vince la sinistra e potrai tornare al lavorare". È deprimente: se il mio lavoro dipende da chi vince, non posso più considerarmi un giornalista. Per fortuna sono ancora un uomo libero.»
Libero, ma senza lavoro. Che le dicono gli altri dirigenti?
«In privato complimenti e pacche sulle spalle, come allaLasorellao a Freccero. Ma in pubblico nulla. Il mio ultimo impiego è stato come commentatore dei Mondiali di calcio del 2006, per il Tg3. Un miracolo. Evidentemente, la Rai mi vuole molto bene: preferisce tenermi lontano dagli schermi per evitare che io macchi la mia immagine...»
Scherzi a parte, non ha mai pensato di andarsene da Viale Mazzini?
«E dove? Come spiego nel mio libro "Italiopoli", il duopolio televisivo è lo scandalo sottovalutato di questa nazione: chi si fa nemicauna parte, si brucia. E poi non fuggo per non dare un messaggio di resa, bisogna sottolineare con forza questa ingiustizia»
Ma in Rai sono in tanti nella sua situazione: Carmen Lasorella, chiaramente, e anche Carlo Freccero. Perché non unite le forze?
«La situazione di Carmen e Carlo è grave, ma ogni storia è a sé. Potremmo assistere a casi francamente imbarazzanti Gente entrata in Rai grazie a padrini politici che, una volta caduti in disgrazia questi ultimi, si lamentano per riottenere il maltolto. Meglio proteste individuali. L'idea di una fondazione che sottragga l'informazione al controllo della politica è lodevole, ma serve una rivoluzione di pensiero: la Rai deve tornare a considerare i giornalisti come risorse, non come quote da assegnare. Ed i giornalisti devono abbandonare ogni "padrinato", non compatibile con il senso ultimo di questo mestiere».
Beha, non si sente solo in questa lotta al sistema?
«Certo. Ma continuo a sperare nel buon senso e nell'intelligenza dei futuri dirigenti Rai Nell'attesa, sono un po' come Leonida alle Termopili».
Claudio Brigliadori
per "Libero Quotidiano"