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Ci sono tante tv, il telespettatore si fa il palinsesto da s

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Fonte: Il Giornale

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Televisione

TelecomandoDiscutere oggi di televisione è più complesso rispetto a solo pochi anni fa. È mutato il panorama dei media con l'evoluzione di Internet, della free-press, dei primi tentativi di editoria mobile...

In definitiva, stiamo assistendo a un incremento dell'offerta di prodotti di intrattenimento e di informazione che non ha eguali rispetto al passato.

È mutato anche il rapporto che il pubblico ha con questi strumenti: la rappresentazione della televisione come nuovo focolare domestico e quella della casalinga di Voghera come idealtipo della telespettatrice, appartengono anch'esse alla preistoria. Non si può più parlare di pubblico e di televisione, ma di pubblici e di televisioni.

Affronto alcune delle questioni in discussione.

- Lo sviluppo delle piattaforme distributive ha permesso la moltiplicazione dell?offerta. Se con l'analogico ogni famiglia poteva vedere circa dieci canali nazionali e diverse emittenti locali, satellite e digitale terrestre hanno aumentato in maniera quasi esponenziale, questo numero. Il processo ineluttabile di switch-off dall'analogico al digitale terrestre (previsto per il 2012 ovvero tra cinque anni, non decenni) consoliderà questa situazione, rendendo tra l'altro preistoria anche le vecchie polemiche sulla impossibilità di accesso in tv di nuovi editori. La questione si è spostata ormai dall'aspetto tecnologico a quello dei contenuti.

- E infatti l'ampliamento dell'offerta è impressionante. Un esempio freschissimo. L'altroieri, mercoledì 23 gennaio, la serata televisiva in Italia offriva: Inter-Juventus su Raiuno, Atalanta-Milan in pay tv (Premium Calcio e Sky Sport), due film in free tv (Monna Lisa smile Raidue, La sonnambula su Iris), più di dieci film in pay (sul satellite: Effetti collaterali, The sentinel, Intrigo a Parigi, Pirati dei carabi; su Premium Gallery: Al cuore non si comanda e Mr nice guy).

E ancora: tre prodotti di informazione (Raitre Speciale Ballarò sugli anni di piombo, Rete4 Top Secret dedicato alla cronaca nera, L'Infedele di La 7 sulla crisi italiana), un programma di intrattenimento su Canale 5 (Aldo Giovanni e Giacomo), tre telefilm in free (Csi su Italia 1, Kebab for breakfast su Mtv, The flying doctor su Sat2000) e quasi una decina in pay (da Dr. House su Joy di Premium Gallery a Desperate Housewife su Fox Life). Un mix incredibile di generi, piattaforme distributive, modalità di accesso.

- Eppure ancor oggi, e immaginiamo per lungo tempo, la televisione generalista rimarrà al centro dell'ascolto, quasi come collante delle varie esperienze personali. Non è un caso infatti che a fronte della proliferazione dei canali, la produzione di materiale originale per la televisione generalista sia in aumento rispetto al passato. Si potrà discutere della qualità di questa produzione (il velinismo...) ma non certo della quantità. E se la quantità è oggettivamente misurabile, la qualità è soggettiva. Mi limito a sottolineare che il successo di un programma dipende dalla quantità di «veline» più o meno vestite o dai decibel delle urla: esistono programmi «urlati» di scarso successo ma anche programmi di qualità e di successo, giudizio personale naturalmente, con parecchie urla (Ballarò di martedì scorso).

Queste considerazioni sulla qualità sono ribaltabili anche alla questione format diventata oramai quasi una parolaccia. Ricordo solo che il mitico Lascia o raddoppia si rifaceva a un format francese: Quitte ou double.

- Un serio discorso sulla televisione dovrebbe liberarsi da una quantità di false tesi ripetute con tanta ostinazione da diventare verità. Un esempio: il rapporto tra calcio e televisione. Cito testualmente: «Secondo i dirigenti sportivi sono le trasmissioni televisive delle partite a far spopolare gli stadi. Calano gli spettatori negli stadi, diminuiscono le entrate, crescono le spese». Nessuno si sorprenderebbe di leggere queste considerazioni su un quotidiano di oggi, invece si tratta di un articolo della Domenica del Corriere del 1967. Dunque: o i mali vengono da lontano (e allora la tv di oggi quantomeno non ne è responsabile) o, tutti questi mali, forse, non esistono.

Marco Paolini
Direttore Marketing strategico Rti
per "Il Giornale"

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