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Storie di Matteo Marani su Sky Sport «1969, Il rosso e il nero»

News inserita da: Simone Rossi (Satred)

Fonte: Digital-News (com.stampa)

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Sky Italia

Storie di Matteo Marani su Sky Sport «1969, Il rosso e il nero»Dal 17 giugno torna su Sky l’appuntamento con il programma d’inchiesta e approfondimento storico “Storie di Matteo Marani”: la nuova puntata della produzione originale Sky Sport, dal titolo “Il rosso e il nero, 1969”, in onda da giovedì 17 giugno alle ore 23 su Sky Sport Uno e in streaming su NOW, è dedicata al Milan che salì sul tetto del mondo, un anno dopo l’unico successo azzurro agli Europei di Roma del ’68.

In due anni quel Diavolo vinse tutto: Coppa Italia, Scudetto, Coppa delle Coppe, Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale. Se quella successiva degli olandesi avrebbe stregato il mondo cambiando la storia stessa del calcio, questa di Rivera e Rocco non era stata meno bella o meno entusiasmante. Una squadra dal gioco spumeggiante, tecnica e concreta, elegante e pragmatica, sorretta da cuore e dal talento immenso di un campione come Rivera, il più grande regista mai posseduto dall’Italia.

Il destino del Milan è sempre quello di scrivere la storia conquistando il mondo, come fece allora e come ha continuato a fare dopo, l’ha sempre ottenuto con una cifra specifica dettata dalla bellezza del gioco. Il Milan ha scelto ogni volta la strada dello spettacolo, anche in quella notte in cui dall’altra parte avevano adottato la guerra, quella stessa guerra che era giunta in quel 1969 nelle strade e nelle piazze d’Italia. La battaglia della Bombonera fu una pagina piena del rosso del sangue e del nero della notte, ma in cui a dominare fu solo il rossonero di una formazione leggendaria.

La programmazione su Sky Sport di "Storie di Matteo Marani - Il rosso e il nero, 1969". Disponibile anche in streaming su NOW, on demand su Sky e su Sky Go.

Giovedì 17 giugno

  • Ore 23: Sky Sport Uno
  • Ore 00.45: Sky Sport Football

Venerdì 18 giugno

  • Ore 12.30: Sky Sport Football
  • Ore 13.45: Sky Sport Uno
  • Ore 22: canale 202

Sabato 19 giugno

  • Ore 12.30: canale 202
  • Ore 23: canale 202

Domenica 20 giugno

  • Ore 10: canale 202
  • Ore 16: Sky Sport Football
  • Ore 22: Sky Sport Uno

 #SkyStoriediMatteoMarani - 1969, IL ROSSO E IL NERO

Il 23 ottobre del ‘69, al fischio finale dell’arbitro cileno Massaro, Milano si riversò per le strade in piena notte, orario insolito per gente abituata a pensare al lavoro del giorno dopo. Fu una sorta di vacanza collettiva: migliaia di milanisti festeggiarono la Coppa Intercontinentale fino all’alba in piazza del Duomo, in Galleria Vittorio Emanuele, in piazza Fontana, scenario tra pochi giorni della più grande tragedia nella storia della Repubblica.

Il Milan era campione del mondo per la prima volta nella storia. Dopo lo scudetto del ‘68 e la Coppa Campioni del ‘69, il Triplete era completato. A Buenos Aires, a 12 ore di volo da qui e a 10mila chilometri di distanza, il Diavolo di Nereo Rocco - guidato in campo dal grandissimo Gianni Rivera – aveva scalato il tetto del mondo, evento straordinario che si sarebbe ripetuto solo vent’anni più tardi con Arrigo Sacchi in panchina.

Fu una notte romantica, tra bandiere e clacson impazziti, in un autunno caldo per le lotte sindacali e riscaldato dall’amore per il Milan, la squadra popolare della città, quella dell’hinterland e degli operai dell’Alfa Romeo o della Pirelli, opposti da sempre ai borghesi tifosi dell’Inter. Il successo sull’Estudiantes giunse al termine di una battaglia accompagnata da tre gol e dal sangue in campo. Più rosso che nero. Pugni, calci, minacce, insulti e l’arresto finale del milanista Combin.

La Coppa insanguinata chiudeva gli Anni 60 del Milan, tra i più belli della sua epopea, un trofeo che era un inno alla qualità degli interpreti e alla resistenza mostrata alla Bombonera, la casa del Boca, teatro di quella furiosa battaglia. Si chiudeva il decennio rossonero arricchito da due scudetti, due Coppe dei Campioni e da un’Intercontinentale che entrava – data la durezza in campo – nella leggenda nera del calcio. Il rosso restava invece sulla pelle dei protagonisti. 

Nel 1969 non ci sono ancora progetti di Superlega, ma c’è un campionato vivo, aperto, combattuto. In Serie A ha appena vinta la Fiorentina di Bruno Pesaola, detto il Petisso. La chiamano Fiorentina ye-ye perché – col capitano De Sisti – ci sono Esposito, Merlo e Chiarugi, per tutti cavallo pazzo. Passerà al Milan nel 1972.

Pochi mesi e vincerà il Cagliari di Scopigno, trascinato dai gol di Gigi Riva, Rombo di tuono secondo conio di Gianni Brera. Quella squadra, che gioca nel mitico Amsicora, segna il riscatto del calcio più lontano, come quello meridionale che ha in Anastasi il proprio simbolo.

I giornali vendono milioni di copie, l’entusiasmo è alle stelle, gli stadi sono pieni e ogni stagione si parte con la speranza che tutti possano vincere. Altro che Superlega. Dal ‘64 al ‘74 esultano 7 club diversi: Bologna, Fiorentina, Inter, Milan, Cagliari, Juventus, Lazio. Un calcio italiano che si sfida all’interno e che sta per conquistare il mondo con il Milan. 

  ha molte spaccature. La Milano del ’69 è la sintesi migliore dei sentimenti che tagliano in due il Paese. Da un lato si rincorre una felicità che la fine del boom si sta portando via, dall’altro si fanno i conti con i primi cali della produzione industriale, -8% solo nell’ultimo anno. Il 1969 funge così da spartiacque: l’ebbrezza dei consumi dell’ultimo decennio lascia il passo a una società delusa e più cruda. I mesi precedenti sono stati quelli delle proteste nelle Università, passati alla storia come Sessantotto. Il primo marzo, la polizia ha caricato gli studenti per sgomberare la facoltà romana di Architettura a Valle Giulia. Pier Paolo Pasolini si è schierato con i primi e contro i secondi, in una poesia che suona eretica a sinistra. "Voi eravate i ricchi, mentre i poveri erano i poliziotti" ha scritto sull’Espresso.

Con l’occupazione parigina della Sorbona, in maggio, si è toccato il picco di una rivolta destinata a trasformarsi in altro. Non è stata solo lotta politica, ma di costume. Nelle assemblee studentesche, guidate da nuovi leader come Mario Capanna e assorbite da una mistica di fanatismo e violenza, si è respirata un’aria diversa: nell’abbigliamento, nei riti collettivi, nell’emancipazione femminile. Le ragazze del ‘69 cancellano i timori delle madri e hanno il cuore da Zingara cantato da Iva Zanicchi a Sanremo, vincitrice in coppia con Bobby Solo del Festival. Pure i maschi sono in lotta con i padri, simboli di autorità al pari di Stato, Scuola e di una Chiesa che vive il trauma del Concilio. 

Anche il calcio, nel suo piccolo, presenta contrasti e rivalità di sempre, alcune affascinanti. La più bella è quella che va in scena a San Siro. Questo impianto, sorto negli Anni 20 nella periferia nord, ampliato nel ’55 con un secondo anello, è più di uno stadio: è un mito. L’Inter ha vinto qui la sua seconda Coppa Campioni nel ‘65, battendo in finale 1-0 il Benfica e bissando così il successo della stagione precedente a Vienna contro il Real di Puskas. Entrambe le Coppe le ha sollevate al cielo il capitano Armando Picchi. Sempre a San Siro, due anni prima, il Milan aveva posto le basi – contro Galatasaray ai quarti e Dundee in semifinale – per la Coppa Campioni conquistata il 22 maggio ‘63 a Wembley, in un’indimenticabile finale col Benfica. Sulla prima pagina della Gazzetta, l’impresa era stata rimarcata così: "Il Real… Milan". Dopo il gol del campione portoghese Eusebio, José Altafini aveva firmato una prima rete con un tiro dal limite dell’area e una seconda, decisiva, al termine di una potente progressione e di una respinta del portiere Costa Pereira.

I duelli tra Inter e Milan appassionano la città, coinvolgono bar, uffici, fabbriche. Ma valgono anche lo scudetto: 5 in 10 anni, soprattutto 4 Coppe Campioni nello stesso arco di tempo. È un dominio che mette in ombra la Juve e le altre rivali europee. Nelle vie del centro, nei viali larghi e razionali, Milano si contende il tricolore, che i capitani Rivera e Mazzola si scuciono dalle rispettive maglie fra i sorrisi di chi sa di detenere il comando. Se la sfida è elettrizzante, e ogni volta più sentita, i due protagonisti siedono in panchina. Su quella nerazzurra c’è Helenio Herrera, argentino istrionico e un po’ esoterico, che viaggia tra slogan nello spogliatoio e lo yoga. Seguace di Ignazio di Loyola, il Mago mischia sacro e profano con la lingua tagliente che gli viene dall’adolescenza a Casablanca. Sull’altra sponda, a tenergli abbondantemente testa, c’è Nereo Rocco, non meno capace nell’arte dialettica, grazie all’ironia imbevuta nel dialetto triestino. “A tuto quel che se movi su l’erba, daghe. Se xe’l balon, no importa". A tutto ciò che si muove sull’erba, dagli, se è il pallone non importa. Che poi non è dialetto, direbbe lui, ma lingua. Quella del padre Giusto, macellaio, e della Trieste dove il Paron corre ogni lunedì, salvo rientrare subito a Milano divorato dalla nostalgia. La metropoli è casa sua, come lo è per le migliaia di immigrati del Sud che guardano con occhi rapiti al Pirellone, simbolo di modernità.

Rocco ha costruito un ingranaggio perfetto sin dal ritorno al Milan nel ’67, dopo gli anni di esilio forzato al Toro, dovuti all’incompatibilità con lo Sceriffo Gipo Viani: due personalità troppo forti. Luigi Carraro, industriale padovano che ha salvato il Milan dalla disastrosa presidenza di Felice Riva, nella primavera ’67 ha deciso di riportare a casa l’unico allenatore in grado di interrompere il quadriennio d’oro nerazzurro. Sarà l’ultimo atto da presidente, prima di morire il 7 luglio mentre il figlio Franco, futuro presidente di Federcalcio e Coni, sta guidando il consiglio di amministrazione. Vi mostriamo, ripreso dalle telecamere, lo statuto che Carraro junior ha fatto approvare nel 1968. Il capitale sociale, come si legge nel documento, sale a 193 milioni di lire, suddiviso in 19mila azioni. È un Milan sano e solido.

Più che di un piano strategico, la rosa rossonera è figlia delle opportunità. A coglierle è il general manager Bruno Passalacqua, uomo mercato. Persona mite, motorino instancabile, ha lo scomodo raffronto - sull’altra sponda del Naviglio - con l’ammagliante e disinvolto Italo Allodi. In estate, alla vigilia della stagione che lo ricondurrà a vincere lo scudetto dopo sei anni, il Diavolo si assicura il portiere Fabio Cudicini, proprietà della Roma, finito in prestito al Brescia. Pare un ripiego, invece sarà uno degli eroi del ciclo, diventando il Ragno Nero nella magistrale partita coi Celtic Glasgow nel ritorno dei quarti di Coppa dei Campioni del 69. Questa la prima pagina a ricordo di quella notte scozzese.

Con lui, in difesa, ci sono lo stopper Roberto Rosato, lasciato partire troppo in fretta dal Torino, e il libero Saul Malatrasi, ex interista ripescato dal Lecco, dove è stato girato dai cugini – proprietari del cartellino – per scelta di Herrera. Sulle fasce si muovono Anquiletti e Schnellinger, tedesco adottato da Milano, città nella quale continuerà a vivere finita la carriera con il resto della sua bella famiglia. Il centrocampo ha in Giovanni Trapattoni, il mitico Trap, l’architrave dell’edificio e in Lodetti la mezzala di lotta e di governo, pronto a spremersi i polmoni per assistere il più grande calciatore del pianeta con Pelé. 

Gianni Rivera, il Golden Boy giunto sedicenne dall’Alessandria, sfugge a ogni categoria. Esistono dieci giocatori in campo e poi c’è lui, come spiega Nereo Rocco. Ha una regia magnifica, un tocco vellutato, un controllo di palla da manuale, una classe difficile da condensare in un unico giocatore. Alla fine dell’anno si aggiudicherà il Pallone d’oro, primo italiano nella storia. È il numero 10 per antonomasia. Rivera è genio e bellezza.

A destra agisce Hamrin, uccellino che da Firenze è volato a Milano per vincere campionato e Coppa dei Campioni. Andrà al Napoli in novembre, lasciando la maglia – presto insanguinata – al francese Combin, mossa che porta Sormani all’ala. A sinistra c’è un figlio ideale degli Anni 60 e di Cinisello Balsamo, periferia in cui è nato. Pierino Prati è per tutti “Pierino la peste”: ciuffo ribelle, andatura dinoccolata e uno sviluppato fiuto del gol. Ha le caratteristiche giuste per stregare i tifosi: alternare i gol con uno spirito libertario che conserverà per l’intera vita. Al centro, agisce il suo opposto, ossia il brasiliano Angelo Sormani, goleador scintillante con un aspetto da bancario. 

È questa la squadra che si prepara a sbarcare alla Bombonera per sfidare l’Estudiantes, in una sfida che i giornali argentini hanno caricato al massimo. Si vuole infatti creare un clima di intimidazione per consentire agli argentini di tentare la rimonta dopo il 3-0 rossonero all’andata. "Milan: il 3-0 che può bastare" hanno titolato con ottimismo i giornali italiani dopo l’8 ottobre. A San Siro ha svettato Sormani, autore di un primo gol di testa un traversone di Prati e di un secondo chiuso di destro, tagliando la difesa avversaria. In mezzo c’è stata la rete di Combin, il nuovo acquisto della stagione. È forte, potente, stazzato. In 55 partite col Toro, ha segnato 27 gol, di cui tre nel derby contro la Juve all’indomani della morte di Gigi Meroni. Per l’Estudiantes la rivincita è scadenza prioritaria, vitale, perché è campione in carica dopo aver battuto il Manchester United l’anno prima e perché nelle nove edizioni della Intercontinentale sin lì disputate, solo Inter e Real sono riuscite a sconfiggere la vincitrice della Coppa Libertadores. Più che un confronto tra Europa e Sudamerica, è sempre un regolamento di conti.

Il Milan vive la vigilia di ottobre nella sua casa, cercando il sonno che gli argentini gli toglieranno. Il centro sportivo di Milanello si trova in provincia di Varese, è sorto nel ‘63 fra Carnago e Cairate. I campi sono curati, lucenti, con una rigogliosa vegetazione a circondarli. Da qui passeranno Liedholm, Sacchi, Capello e Ancelotti. Più che Italia, fra gli alberi e la bella foresteria in cui riposa la squadra, sembra di essere in Svizzera. Rocco porta in ritiro i giocatori al venerdì sera, scrutando, da fine psicologo, le loro anime. Per lui lo spogliatoio dura 24 ore al giorno. Si fa colazione insieme al bar, si pranza in gruppo, ci si allena al pomeriggio all’Arena, riservando Milanello al weekend. Soprattutto, si cena all’Assassino. Quando si apre il Barbaresco, il tavolo diventa un cenacolo, guidato dal Paron e rinforzato da Gianni Brera, il principe del giornalismo. Con Nereo si stimano, si piacciono, hanno in comune la difesa ideologica del calcio all’italiana, con il libero e il contropiede. Ripescato dalle teche, vi mostriamo una meravigliosa testimonianza di un pranzo fra i due a casa di Rocco a Trieste.

Non si può raccontare questi anni di Milano senza passare dalla stampa.

C’è una battaglia giornalistica che è personale. La scuola napoletana contro quella lombarda. Della prima fanno parte Antonio Ghirelli, direttore Tuttosport e Corriere dello Sport, e Gino Palumbo, capo dei servizi sportivi del Corriere della Sera. È l’uomo che ha inventato lo spogliatoio, nel senso che per primo ha dato spazio alle parole dei calciatori. Palumbo e Ghirelli sostengono un calcio di attacco, bello e spettacolare, Brera difende catenaccio e contropiede. Risultatisti contro giochisti, già allora.

Giuanbrerafucarlo, come si firma il grande giornalista di San Zenone Po, ha una rubrica sul Guerin Sportivo: l’Arcimatto. Quel giornale nasce in piazza Duca d’aosta, di fronte alla stazione centrale. Diretto da Alberto Rognoni, ci scrivono in tanti, tra cui Luciano Bianciardi. Ha scritto un libro, “La Vita agra”, che diventa un film famoso con Tognazzi, mentre gli italiani ridono con Alberto Sordi, dottor Terzilli nel medico della mutua. È l’ennesima contraddizione del 1969. 

Milano è una volta di più lo specchio di ciò che accade in scala estesa nel Paese. Il 1969 segna lo scoccare dell’autunno caldo, come sarà definito nei testi di storia. Passata l’estate, in settembre la protesta degli studenti incontra quella ben più dura degli operai, in lotta per il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, a partire da quello dei metalmeccanici. Il conflitto porterà, tra un anno esatto, allo Statuto dei lavoratori, spartiacque nelle relazioni industriali. 

Milano è la città delle fabbriche, che costituiscono una sorta di corona che circonda il centro storico destinato al terziario. Migliaia di persone sono impegnate ogni mattina alla catena di montaggio, da Sesto San Giovanni al resto delle periferie. Il ’69, inaugurato dalla tragica contestazione davanti alla Bussola in Versilia, è una stagione di battaglie e di rivendicazioni: per il salario mensile, per il diritto allo studio, per l’abitazione, il problema principale per chi è giunto dal Sud. 

In novembre, mentre il Milan si prepara al ritorno con l’Estudiantes, i sindacati milanesi proclamano lo sciopero per l’alloggio. Chiedono investimenti nell’edilizia pubblica, l’equo canone, garanzie per chi lavora nelle costruzioni. Cgil, Cisl e Uil, confederati in un unico fronte dal ‘69, sono i veri protagonisti di questa stagione. Guidano le agitazioni delle tute blu, premono sul governo monocolore di Rumor, occupano le piazze e ottengono in cambio Consigli di fabbrica e propri delegati. Dietro le riforme, fallite in precedenza dai governi di centrosinistra, si nasconde tuttavia un estremismo che porterà al terrorismo degli Anni 70. Il 19 novembre, negli scontri di piazza a Milano, viene ucciso l’agente di Polizia Antonio Annarumma. È una tappa tragica di un’escalation irrefrenabile.

Visto che i contrasti non mancano mai, Milano mostra più facce. Piange i morti da una parte, ride dall’altra nelle serate di evasione. Da qualche anno, accanto a locali storici come il Bar Giamaica in cui si incontrano artisti e comuni perditempo, ha aperto il Derby, santuario dello spettacolo leggero, che terrà a battesimo negli Anni 70 un’intera generazione di comici per le tv nazionali. Tra questi c’è Diego Abatantuono, diventato milanista per una foto di Gianni Rivera nel portafogli del nonno, e più tardi ultrà rossonero al cinema. Nel locale di via Monterosa, oggigiorno non più utilizzato ma il cui passato è rintracciabile nelle insegne esterne, due giovani Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, coppia fissa del cabaret milanese e presto nazionale, assistono alla finale di Coppa Intercontinentale contro l’Estudiantes. 

Come loro, ogni tifoso del Milan è religiosamente davanti alla tv all’una di notte di quel 23 ottobre ’69. Sembra di assistere alle immagini di luglio, quando milioni di italiani sono rimasti svegli fino a tardi per assistere in diretta allo sbarco degli astronauti americani dell’Apollo XI sulla luna, il più grande avvenimento del secolo, raccontato negli studi Rai dal giornalista Tito Stagno.

Quella della Bombonera è una seconda luna, è la gara che tutti attendono. La partita delle partite. È dal 1963 che il Diavolo aspetta di vendicarsi, dall’altra parte dell’Oceano, del precedente contro il Santos di 6 anni prima. Non era stata sfida sportiva, quella contro i brasiliani, bensì la solita caccia all’uomo messa in scena come in ogni appuntamento contro gli europei. L’Intercontinentale, nata nel ‘60, è più sentita sulle Ande che negli Appennini. "Il Milan cede al Santos. Ha vinto l’intimidazione” titolavano i giornali.

Nell’andata disputata in casa, i rossoneri si erano imposti 4-2, con Trapattoni incollato al prodigio Pelé. I brasiliani avevano vinto al ritorno e si erano ripetuti con un 1-0 nello spareggio giocato due giorni dopo. “Un Santos ancora mundial”, ma con asprezze e scorrettezza in campo.

 Per arrivare alla sfida alla Bombonera del '69, il Milan ha percorso un lungo cammino. Nel 1967-68, al rientro, Rocco si è imposto in campionato. La partita che ha regalato lo scudetto numero 9, come ricorda la Gazzetta, è stata quella contro il Brescia, chiudendo in testa - con quattro giornate di anticipo – davanti a Napoli, Juventus e Fiorentina. Il mese successivo, a Malmo, il Milan ha vinto anche la Coppa delle Coppe nella finale con l’Amburgo: due reti di Hamrin in un match indirizzato dalla tempra di Trapattoni e Lodetti. 

Dopo i quarti con il Celtic in Coppa dei Campioni, nella già ricordata serata di Cudicini, c’è stata la semifinale col Manchester United. Il Milan ha vinto 2-0 in casa, quindi ha sofferto a denti stretti nel ritorno all’Old Trafford contro Best e compagni, difendendo i gol di Sormani e Hamrin all’andata. Una vittoria che ha spinto il Diavolo alla finale di Madrid contro il giovane Ajax di Joahn Cruijff, nuovo Dio del Pallone. La sfida al Bernabeu, contro la squadra che conquisterà tutto e che cambierà l’essenza del gioco, ha avuto molti tifosi al seguito. In un documento originale, ecco il programma di viaggio – con indicazioni di spostamenti e pranzo – formulato per i supporter del Diavolo al seguito dall’Italia.

Rimane una delle notti più grandi della storia del Milan, scandita dalla classe dei campioni rossoneri. Dopo una splendida discesa sulla fascia sinistra di Sormani, è Prati a segnare l’1-0. Sempre lui, assistito da Rivera, trova il 2-0 con tiro dalla distanza. Dopo il rigore dell’Ajax, è una staffilata da lontano, stavolta firmata da Sormani di sinistro, a rimettere sereno il Diavolo, che chiude ogni discorso a un quarto d’ora dal termine quando Rivera inventa una giocata delle sue. Si allarga sulla fascia e mette in mezzo per la testa di Prati, che sigilla la notte più bella della vita. "Il Milan trionfa 4-1 nella coppa" titolano i quotidiani, mentre Forza Milan, in edicola da pochi anni, celebra a suo modo il successo.

La forza del Milan si traduce in Nazionale, dove il rossonero è protagonista. Il calcio azzurro cerca di ripartire dopo il flop del Mondiale 1966 e si è affidato a Ferruccio Valcareggi. È l’allenatore che porta l’Italia a vincere l’Europeo nei giorni in cui gli studenti contestano nelle piazze. Campioni d’Europa per la prima e sin qui unica volta. A Roma, il 10 giugno 1968, Riva e Anastasi ci permettono di battere la Jugoslavia nella finale bis e l’Olimpico si illumina con le fiaccolate.

Il Milan è rappresentato da Gianni Rivera, che per Brera è un abatino come Bulgarelli e Mazzola. Il suo 4-3 al Mondiale del 70 diventa il gol più famoso del secolo, nella partita in cui ha segnato anche Schnellinger. Nel giro azzurro di quegli anni – oltre a Rivera - ci sono Roberto Rosato, migliore difensore in Messico, Giovanni Lodetti, lasciato a casa all’ultimo in una polemica che durerà per anni, Malatrasi, Anquilletti e lui: Pierino la peste Prati.

L’Estudiantes è cosa diversa dall’Ajax, non è interessato al calcio totale. Gioca duro e sporco. Per le vie di Milano l’attesa cresce moltissimo. È come se in ogni strada, in ogni angolo di questa città poco propensa a mostrarsi, ogni pensiero fosse rivolto al duello fissato in agenda. Tra gli avversari compaiono Carlos Biliardo, che sarà il Ct campione del mondo con l’Argentina nel 1986, e Juan Ramon Veron, padre di Sebastian, futuro giocatore della nostra Serie A. Non mancano personalità più accentuate, come il portiere Poletti, il centrocampista Manera e Aguirre Suarez, tutti in prima fila nella feroce rissa della Bombonera.

Questo stadio è un’altra pietra miliare del calcio mondiale. Inaugurato nel 1940, ha tenuto a battesimo Maradona e i più forti calciatori argentini di ogni tempo. È lo stadio del Boca Juniors, ma l’Estudiantes l’ha scelto per capienza e per mettere altra pressione sui rivali, in uno scenario più minaccioso rispetto allo stadio di La Plata in cui normalmente gioca. Ancora prima che i calciatori scendano in campo, migliaia di tifosi stanno già incitando la squadra dai tre anelli. Ma il peggio sta per avvenire con l’ingresso in campo degli atleti rossoneri, letteralmente subissati di fischi, insulti, persino da caffè bollente gettato dagli spalti.

I giocatori dell’Estudiantes non scendono in campo, entrano nella corrida. Il 3-0 dell’andata non lascia più tranquillo nessuno. A fine partita, con un volto preoccupato come non aveva mai avuto, Rocco dirà: "La prossima partita farò giocare i vivi". Il rosso del sangue, il nero della paura.

Molto del racconto passa per i giornali, che a Milano sono tanti e potenti, e che qui a Buenos Aires hanno mandato i loro migliori inviati. Nella metropoli lombarda prende vita ogni giorno il Corriere della Sera, il principale quotidiano italiano diretto da Giovanni Spadolini, sebbene la firma più nota sia Indro Montanelli, gran tifoso della Fiorentina e prossimo alla fondazione di un proprio giornale. Molte testate, tra cui il Giorno che ha rinnovato stili e linguaggi dell’informazione, hanno sede nel Palazzo della stampa, bianca e solenne architettura del ventennio. È lì dentro che molti redattori e altri corrispondenti hanno raccontato la vigilia con l’Estudiantes e che ricevono le corrispondenze dall’Argentina. Sono anni nei quali il sangue è spesso raccontato dalla popolare stampa milanese, specie da quella serale come nel caso della Notte.

Le piazze bruciano rabbia e vite, passione e voglia di rivoluzione, ispirate a quelle del Sudamerica, che evidentemente non vuole dire solo Estudiantes. A violenza risponde violenza, ai movimenti studenteschi e operai di sinistra si contrappongono quelli di destra, che hanno nel Msi di Giorgio Almirante il principale riferimento. Ma c’è anche una reazione più oscura pronta a riversarsi nella Strategia delle tensione. C’è un secondo Stato che combatte il primo, con schegge dei servizi segreti e della politica infedele che usano l’estremismo di destra per collocare ordigni nello Stivale. Sono stati 15 nel 1968, 10 in questo ’69. Ci sono ovunque caos, confusione, terrore. Il 12 dicembre ‘69, tra Roma e Milano, esplodono cinque bombe in meno di un’ora. Solo una, quella depositata alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, provocherà una strage.

A Milano è un venerdì d’inverno come tanti, ma nel clima plumbeo di quella stagione si pensa già al fine settimana, con pranzi e passeggiate familiati. Invece, nella centralissima piazza Fontana, prende forma la maggiore tragedia nella storia del Paese. Sono ormai le 5 del pomeriggio, l’istituto bancario alle spalle di piazza del Duomo sta per chiudere, ma vanno registrate le ultime operazioni, poiché quello è giorno di mercato e lì sono andati a chiudere le ultime operazioni i contadini della provincia, pregiati correntisti della Banca. Lo spazio è affollato, quasi pieno. Alle 16.37, una bomba nascosta sotto la sedia della sala centrale, esplode in un boato che si può sentire fino a chilometri di distanza. Sotto le macerie, tra i detriti, i vetri infranti e la polvere, si conteranno 13 morti, cui se ne aggiungeranno 4 in seguito, e 88 feriti. I 7 chilogrammi di tritolo infilati dentro una valigia posta appositamente in quel punto dell’Istituto, e a quell’ora, distruggono la piazza, il cuore di Milano, la giovane Repubblica.

Non è stata una caldaia a esplodere, ma una bomba, che ha messo l’Ordine nuovo padovano di Franco Freda e Giovanni Ventura. La pista anarchica, seguita dalla Questura, ha portato all’arresto dell’attore Pietro Valpreda, che un tassista giura di avere visto scendere dalla sua auto e dirigersi verso la banca, e di Giuseppe Pinelli.

Quella di Pinelli è una storia nella storia. Viene condotto in Questura, in via Fatebenefratelli, nelle ore successive alla bomba. Ci passa quasi due giorni, telefona anche a casa: il 15 dicembre precipita dal quarto piano dell’edificio senza mai scoprirne le ragioni. È stato buttato? Si è suicidato? La tesi finale del malore è la meno probabile. Quella morte brutta e tremenda si porterà dietro un’altra morte, quella di Luigi Calabresi, ritenuto responsabile dell’accaduto da Lotta Continua.

Con la compostezza e la civiltà che le è solita, Milano celebra i funerali in piazza del Duomo, con un discorso del sindaco socialista Agnasi che è di massima tenuta democratica. Un mese prima, su quel cemento, si è festeggiato il Milan. La contraddizione peggiore.

Il Milan è partito da Malpensa, alla volta di Buenos Aires, una settimana prima della partita. Milano guarda da lontano ai suoi beniamini. Per giocare l’Intercontinentale, è stato spostato pure il match di campionato contro il Bologna. La partita coi rossoblù, triste coincidenza, verrà recuperata mercoledì 10 dicembre, due giorni prima della bomba di piazza Fontana. Il Diavolo ha varcato l’Atlantico con la fiducia trasferita al gruppo dalla larga vittoria dell’andata. È stato stabilito il premio in caso di conquista del trofeo che manca nella bacheca di via Turati: 5 milioni di lire a ciascun giocatore. Il ritiro è fissato nel centro golf dell’Hindu Club, dove nel ‘78 soggiornerà pure la Nazionale di Enzo Bearzot durante il Mondiale argentino.

Il Milan schiera la migliore formazione possibile, dopo che Rivera e Malatrasi hanno recuperato dai loro piccoli infortuni. Le uniche novità, rispetto alla formazione che ha vinto la Coppa Campioni, sono Romano Fogli a centrocampo, già vincitore dello scudetto con il Bologna nel ‘64, e Combin in attacco. Per lui sono stati chiesti chiarimenti, dal momento che non ha svolto il servizio militare nel Paese d’origine, bensì in Francia, dove ha vissuto a lungo. Tutto chiarito, tutto a posto, e invece no. Le autorità argentine stanno solo aspettando il momento per poter colpire. 

L’inizio della partita è incoraggiante e dopo mezz’ora il Milan è in vantaggio. Rivera recupera il pallone su errore della difesa e si lancia verso la porta. Salta Poletti, rientra per calciare, lo dribbla un’altra volta e deposita in rete con una sicurezza che scatena la rabbia dell’Estudiantes, ormai impossibilitato a rimontare quattro gol. Inizia così una seconda partita, senza più regole. Prima del gol, Prati – che dovrà lasciare il campo - era stato già colpito alla schiena da un calcio del portiere Poletti mentre era in terra ad attendere il soccorso del medico Monti. 

La partita si trasforma in battaglia. Il pareggio di Conigliaro di testa, dopo l’intervento di Cudicini, non placa gli animi. E non vi riesce neppure il 2-1 di Aguirre Suarez, realizzato con un tiro di destro da calcio d’angolo prima dell’intervallo. Il secondo tempo è una rissa continua, un inseguimento a gambe e corpo dei milanisti. Le conseguenze peggiori le rimedia Combin, il più odiato per le origini argentine, colpito da Aguirre Suarez con gomitata e ginocchiata che provocano la frattura del setto nasale, un ematoma allo zigomo sinistro e un’emorragia destinata a macchiare vistosamente volto e maglia dell’attaccante. Quei segni rossi divengono il simbolo della guerra senza risparmio di colpi. L’aggressione costa al difensore argentino l’espulsione al minuto 69, ma la musica non cambia. 

Quando mancano cinque minuti al novantesimo, Manera sferra un pugno a Rivera, che resta a terra, altra espulsione. "Vergogna, vergogna, vergogna" scrive nel resoconto dallo stadio Renato Morino, "gli estudiantes hanno mostrato la loro spregevole natura". Il presidente della Federcalcio Artemio Franchi è lapidario: "Così non si può continuare". E Stadio, sulla prima pagina, si fa interprete del pensiero di tutti: "Onore al Milan mondiale, ma questa coppa è da sopprimere". Si dovrà attendere il 1980 per giocare in finale unica lontano dai continenti.

Quello visto alla Bombonera non è stato un atto di sport, ma un’esibizione di violenza. Costerà 30 partite di squalifiche e 5 anni di inattività internazionale ad Aguirre Suarez, 20 partite a Manera, la radiazione a vita per il portiere Poletti. "Il 22 ottobre fu una corrida" sintetizza Gualtiero Zanetti sulla Gazzetta. Ma non è finita, perché dopo i festeggiamenti in campo e nello spogliatoio, giunge la carcerazione di Combin. La squadra sta per lasciare lo stadio quando sul pullman salgono alcuni poliziotti, che prelevano il franco-argentino per caricarlo su un’auto dai vetri oscurati. Combin è ufficialmente arrestato e a nulla serve il tentativo del presidente Carraro di buttarsi sugli agenti per impedire che ciò accada. Con il volo di rientro previsto per il mezzogiorno successivo, inizia una lunga opera diplomatica portata avanti da Carraro, dal vice Sordillo e dall’Ambasciata italiana. Deve intervenire il governo per liberare il calciatore, mentre il presidente della Nazione, il generale Juan Carlos Ongania, si scusa per quanto visto in campo: "Ho osservato con grave preoccupazione il deplorevole spettacolo, contrario alle più elementari nome di etica sportiva, da parte dei giocatori dell’Estudiantes".

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  • Adagio: Il Nuovo Film di Stefano Sollima Debutta in Prima TV su Sky e NOW

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      lunedì, 13 maggio 2024
  • Svizzera vince Eurovision Song Contest 2024, Angelina 7°. Record di ascolti per la finale su Rai 1

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  • Lazio 1974: Grande e Maledetta su Sky Sport e NOW in una nuova versione integrale

    A 50 anni dal primo scudetto della Lazio, domenica 12 maggio torna la produzione originale di Sky Sport “Lazio 1974: grande e maledetta” con una nuova versione integrale. Un appuntamento unico - prodotto per la prima volta con un Club di calcio, la S.S. Lazio – che verrà proposto con nuovi contenuti e interviste dalle 19.30 su Sky Sport Calcio e dalle 23.30 su Sky Sport Uno, disponibile anche on demand su Sky e in streaming su NOW . È la storia...
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