12 persone comuni, una giungla ostile, tentazioni irresistibili che decurteranno il montepremi finale. Fabio Caressa dà il via a Money Road, il nuovo strategy game di casa Sky, al via il 29 maggio alle 21.15 su Sky Uno e in streaming su NOW in chiaro su TV8, con la conduzione di Fabio Caressa, all'esordio come presentatore di un programma di intrattenimento. Il primo adattamento italiano del format internazionale Tempting Fortune, prodotto da Blu Yazmine, si basa sulla tensione continua tra egoismo e altruismo.
I dodici partecipanti - di età e provenienza diverse - si trovano nella giungla malese, con il minimo indispensabile per affrontare un trekking di 12 giorni tra insetti, salite impervie e un caldo spesso intollerabile, che può arrivare a 40 gradi con il 98% di umidità. Lungo il percorso vengono tentati con proposte allettanti come un hotel improvviso in mezzo alla giungla, ma ogni aiuto ha un prezzo che intacca il montepremi finale, inizialmente di 300mila euro. Ogni volta che qualcuno cede, le conseguenze ricadono sull'intero gruppo, perché il costo della tentazione viene decurtato dal premio finale da dividere tra chi arriva al traguardo.
Dopo Pechino Express arriva Money Road, un’esperienza diversa ma ugualmente intensa.
«Questa volta non sono un concorrente, ma il conduttore, e devo dire che è un esperimento davvero interessante. Dodici persone, sei uomini e sei donne, provenienti da contesti molto diversi, affrontano dodici giorni di trekking nella giungla malese con temperature che sfiorano i 38 gradi e un’umidità che arriva fino al 96%, un caldo pazzesco. Partono con un montepremi iniziale di 300 mila euro che, in teoria, se arrivano tutti alla fine, viene diviso tra loro. Durante il percorso però si trovano ogni giorno davanti a tentazioni legate alla loro vita quotidiana o ai loro sogni, che possono migliorare il loro benessere o avvicinarli a qualcosa che desiderano per il futuro. Ma ogni tentazione ha un costo, molto alto, e se qualcuno cede, il premio totale viene ridotto per tutti. Questo crea inevitabilmente tensioni e discussioni tra singoli e gruppo, perché devono restare uniti per arrivare insieme al traguardo, ma allo stesso tempo c’è chi cerca di non cedere e chi invece potrebbe essere tentato. Le tentazioni sono quasi sempre individuali ma con un impatto sul gruppo intero, rendendo il gioco un vero esperimento sociale divertente e stimolante.».
Fabio, l’originalità e la semplicità fin da subito sono elementi chiave?
«È bello vedere come le persone reagiscono, perché secondo me questa cosa rappresenta un po’ la sintesi di ciò che viviamo oggi: quella continua contrapposizione tra il bisogno di emergere come individui e, allo stesso tempo, l’esigenza di far parte di un gruppo. È una dicotomia interessante, perché da un lato c’è la voglia di mantenere la propria individualità, ma dall’altro c’è la necessità di collaborare per raggiungere un obiettivo comune. E il gruppo, a sua volta, deve rispettare quella individualità, senza cercare di uniformarla. Questa dinamica secondo me racconta bene il momento che stiamo vivendo, ed è proprio questo aspetto che mi ha colpito di più. Quando Sky e Blue Jasmine mi hanno proposto di partecipare, mi sono sentito davvero onorato. Sapevano chi ero, e io ero felicissimo. Ho avuto una grande fortuna: sono stato inserito in un vero Dream Team. All’inizio, in una prima esperienza così, non è sempre facile, ma con la produzione di Sky, quella di Blue Jasmine, il team autore e la parte tecnica, ho trovato persone con una grandissima esperienza. Un vero Dream Team, appunto. Questo mi ha permesso di ambientarmi più facilmente e di affrontare il mio ruolo con sicurezza, sentendomi protetto da una squadra solida.».
Quanto può cambiare il comportamento delle persone di fronte alle tentazioni, soprattutto quando l’ambiente è così estremo e le condizioni così dure?
«Le dinamiche sociali saranno inevitabilmente tese, e sì, ci saranno sicuramente molte arrabbiature. Se il montepremi scende, le tentazioni aumentano e diventano più insidiose. Si va da cose semplici, come un caffè, un cappuccino o una brioche al mattino appena svegli, fino a situazioni ben più dure: immagina dodici persone che dormono in una tenda condivisa, si nutrono solo di riso e fagioli per giorni durante il trekking, mentre davanti a loro c’è un albergo con aria condizionata, letti comodi, colazione abbondante e vasche per lavarsi. È chiaro che in certi momenti resistere a queste tentazioni diventa davvero complicato. All'inizio hanno resistito qualche ora, ma non è una dinamica che si comprende subito. Può capitare che due persone, inizialmente agli opposti, con visioni completamente diverse, a un certo punto si ritrovino a condividere lo stesso percorso, per poi allontanarsi di nuovo. È proprio questo il bello: non c'è una direzione definita. Ogni mattina ci svegliavamo per seguirli senza sapere minimamente cosa sarebbe accaduto. A volte pensavamo che certe tentazioni sarebbero state facili da superare e invece crollavano tutti, altre volte eravamo certi che non ce l'avrebbero fatta e invece sorprendevano tutti resistendo. E poi c'era sempre qualcuno che sembrava sicuro di sé e all’improvviso cambiava completamente atteggiamento. Ecco, questa imprevedibilità è una delle cose più affascinanti: il racconto si trasforma continuamente, di puntata in puntata.».
La tentazione a cui proprio non potresti resistere?
«Ce l’ho in casa: è mia moglie. Quando si alza la mattina e decide di sperimentare un nuovo plum cake, riuscire a fare lo slalom e dire di no diventa davvero complicato. Per fortuna, però, durante il resto della giornata la sua cucina è molto più salutare, altrimenti a quest’ora avrei il colesterolo alle stelle. La mia prima vera tentazione quotidiana è proprio questa: riuscire a limitare il consumo calorico. Ma se c'è una cosa che ho imparato, anche grazie a esperienze come questa, è che non si può essere assolutisti. La rigidità non funziona. Bisogna imparare ad accettare le debolezze, soprattutto quelle degli altri, perché la tentazione, qualunque essa sia, fa parte della natura umana. E saperla riconoscere, prima ancora che combatterla, è già un primo passo per affrontarla davvero. La verità è che Money Road si affronta un po’ come si affronta la vita: con una serie di scelte improvvise, spinte da bisogni reali, emozioni e resistenze che non sempre riesci a prevedere. Se penso alla prima puntata, la tentazione a cui avrei ceduto io senza pensarci troppo è sicuramente l’albergo. Ma voi non potete immaginare il caldo che faceva in quella radura. Io già solo con lo zaino sulle spalle sudavo al pensiero. Appena mi hanno detto che dentro c’era l’aria condizionata, ho capito che per me non ci sarebbe stato scampo. Mi ricordo che eravamo ancora nei primi giorni, quindi non completamente ambientati, e già lì ho pensato: se questo è il clima, sarà durissima. Quando mi hanno detto “arrivano tra un’ora”, io ho solo risposto “chiamatemi tra un’ora” e sono entrato. Mi sono messo sotto quell’aria condizionata e ho pensato che no, in quelle condizioni non ce l’avrei mai fatta a resistere. L’hotel era davvero una tentazione irresistibile. E infatti sì, lì ho capito che ci sono scelte che si fanno con la testa… e altre che fai solo col sudore addosso».
Foresta con temperature assurde. Anche a livello ambientale, climatico, è stata complicata, dura?
«Il programma è stato girato in foresta per 12 giorni, con temperature davvero estreme. A livello ambientale e climatico è stata una sfida dura, soprattutto perché il caldo ti prosciuga completamente. Abbiamo scelto di stare con loro, li aspettavo durante alcune pause del trekking, anche se a volte si usava un espediente — lo vedrete — un altoparlante, un po’ stile Lost, perché l’ambientazione richiama proprio un esperimento degli anni ’60, come spiegato all’inizio della puntata. Il caldo ha inciso molto sulla loro resistenza, mettendo alla prova anche la loro capacità di resistere alle tentazioni. La cosa che ci ha sorpreso di più in quelle due settimane in Malaysia è stata la continua imprevedibilità delle situazioni. Ogni giorno ci svegliavamo pensando che i concorrenti avrebbero preso una direzione, come gruppo o singolarmente, e invece poi tutto cambiava. Gli equilibri si modificavano all’improvviso, anche solo per una notte passata male in una radura piena di insetti che non ti facevano dormire. E allora la mattina dopo, quando ti rimetti in cammino, è inevitabile che il tuo spirito sia diverso, che le decisioni vengano prese con un altro umore rispetto al giorno prima. Era proprio questo l’elemento più sorprendente: la variabilità continua, reale, quasi fisica».
Com’è stato per te bilanciare il coinvolgimento emotivo con la neutralità nello svolgere il ruolo di sperimentatore?
«Il rapporto con i protagonisti è nato proprio dalla scelta di stare con loro il più possibile, di condividere l’esperienza in prima persona. Passare tanto tempo negli stessi luoghi ti permette di entrare davvero in empatia con loro, di capire meglio cosa provano, le ragioni dietro le loro scelte. Questo per me è stato fondamentale. È stato bellissimo e anche molto divertente, perché il ruolo richiede un equilibrio tra empatia e distacco: devi osservare senza farti coinvolgere troppo. Tentare direttamente i partecipanti è stato un gioco interessante, ti fa vedere le loro reazioni autentiche e ti ricorda che non puoi guardare il mondo con occhiali colorati. La realtà ti costringe a cambiare opinione, atteggiamento, a evolverti. In quei 14 giorni abbiamo vissuto una sorta di sintesi della vita stessa, fatta di scelte continue che non sempre prendi nello stesso modo. Proprio per questo, ti anticipo che ci saranno molti colpi di scena nelle puntate, perché il comportamento di ciascuno cambia in base a come ti svegli o a cosa hai passato durante la giornata. In questo programma non esiste un giudizio morale. Lo vedrete nella prima puntata, ma andando avanti sarà ancora più evidente: le dinamiche cambiano, le persone si trasformano e le scelte che fanno non sono mai giuste o sbagliate in senso assoluto. Non c’è chi è moralmente superiore, c’è chi agisce in base alla propria storia, al proprio vissuto, alle emozioni del momento. Ed è proprio questo il cuore del racconto: non giudichiamo, osserviamo. E chi guarda farà lo stesso. Si emozionerà, parteciperà, si affezionerà a qualcuno, prenderà le parti di uno o dell’altro, ma senza mai poter dire davvero “questo ha fatto bene” o “questo ha fatto male”. Perché ogni scelta ha delle conseguenze, ma non una morale. È il principio che guida tutto il programma: niente giudizi, solo vite che si intrecciano, decisioni da prendere e reazioni da affrontare. Il rapporto con chi era lì è stato inevitabilmente diviso in due: da una parte c’era un trasporto emotivo, ci sono persone che ti stanno più simpatiche, altre meno, anche se poi questo non si mostra apertamente perché il ruolo dello sperimentatore richiede proprio di mantenere una certa neutralità. Però il coinvolgimento emotivo c’è ed è forte. Avendo vissuto un’esperienza simile a Pechino, soprattutto avendo fatto quel percorso con mia figlia, riuscivo a capire i momenti difficili che affrontavano, sia fisicamente che, soprattutto, psicologicamente. Pensavo a chi aveva i figli a casa e alle difficoltà che questo poteva creare, oppure a chi invece era figlio e sentiva la mancanza della famiglia. Da questo punto di vista mi sono sentito molto vicino a loro. Tutti insieme abbiamo fatto lo sforzo di restare empatici, ma allo stesso tempo di mantenere un distacco filosofico necessario per condurre l’esperimento in modo corretto. Insomma, ti lasci coinvolgere, ma senza farti travolgere dalle emozioni. Questo è il giusto equilibrio. Durante tutto il percorso ti ritrovi a chiederti continuamente: cosa avrei fatto io al loro posto? Per me questa è la chiave, perché sei chiamato in causa costantemente, è un continuo mettersi alla prova.».
Come cambia la tua percezione dello show quando ti immedesimi nei concorrenti, e in che modo trasforma questa esperienza?
«Da spettatore, l’elemento che troverei più coinvolgente è sicuramente quello dell’immedesimazione. Guardi le puntate e ti ritrovi continuamente a chiederti: io al posto suo cosa avrei fatto? E la cosa bella è che non è solo una riflessione personale, ma diventa anche un’esperienza collettiva, perché se lo stai guardando con altri si accende subito il dibattito: tu cosa avresti scelto? Avresti resistito? Avresti ceduto? Questo meccanismo crea partecipazione, discussione, e allo stesso tempo ci sono anche momenti davvero divertenti, situazioni inaspettate, leggerezza, che bilanciano il tutto. Se invece mi mettessi nei panni di un concorrente, penso che il mio rapporto con gli altri giocherebbe un ruolo fondamentale nelle mie scelte. Cercherei di essere comprensivo, di trovare un equilibrio, perché credo che il sacrificio faccia parte del gioco, ma allo stesso tempo non mi sentirei mai di giudicare chi decide di agire diversamente. Non mi piacerebbe vedere tutti cedere alla prima difficoltà, ma non sarei mai uno di quelli pronti a puntare il dito. Perché è anche così che affronto la vita: con empatia, cercando di capire le motivazioni altrui prima di giudicare. E questa è una delle cose più forti e autentiche di Money Road: il modo in cui riesce a riflettere i comportamenti umani reali, mettendo in scena relazioni, dubbi, compromessi e tutto ciò che ci rende profondamente umani.».
Come riesce un equilibrio familiare a influenzare le scelte importanti nella vita e nel lavoro, soprattutto quando il confine tra i due è così sottile?
«Sul fronte delle scelte personali, se mi guardo indietro nella mia carriera, mi rendo conto che spesso mi sono trovato davanti a decisioni importanti, e mai davvero da solo. È qui che divento un po’ sentimentale, perché la verità è che la mia fortuna più grande è stata vivere la mia vita e il mio lavoro insieme a mia moglie. Facciamo un lavoro molto simile, in certi momenti praticamente uguale, e questo ha creato un equilibrio naturale: quando lei era più presa da un impegno, io cercavo di fare un passo indietro per sostenerla, e viceversa. Questo tipo di complicità non solo ti aiuta nelle scelte, ma ti tiene con i piedi per terra, ti ancora alla realtà. Ho sempre pensato che la vita vera sia molto più interessante di quella che passa dallo schermo, e forse sì, mi piacerebbe anche che un po’ della nostra quotidianità finisse lì, in televisione, perché siamo una famiglia normale, e mi piace pensare che anche la normalità abbia un suo valore narrativo. Ho tre figli di ventitré, ventuno e sedici anni, e spesso sento che la loro generazione viene giudicata senza essere conosciuta davvero. Invece proprio loro, nel confronto quotidiano, mi hanno aiutato a crescere, a superare pregiudizi culturali che mi portavo dietro e a rimettere in discussione tante cose. Ecco, alla fine, in ogni scelta che ho fatto, c’è stato sempre un confronto, un dialogo, un legame che ha fatto la differenza.».
Che differenza c'è in quello che ci metti tra una telecronaca e altre esperienze televisive, quindi ad esempio come è stato Striscia, come ora è Money Road.
«La differenza sta tutta nell’approccio e nella posizione che occupi nel racconto. Nella telecronaca metti molto di tuo, ma lo fai su qualcosa che accade indipendentemente da te: la partita si gioca, tu la racconti, partecipi ma non la determini. È un ruolo attivo ma non creativo in senso pieno, accompagni l’evento, lo restituisci a chi ascolta. In progetti come Striscia o Money Road, invece, pur non essendo tu a “fare” tutto, entri in un processo creativo molto più articolato. È un lavoro di squadra ma con una logica completamente diversa: non più l’immediatezza della diretta, ma una preparazione autorale, produttiva, che ti obbliga a uscire dalla tua comfort zone. E lì cresci, impari, ti metti in gioco. A Striscia, per esempio, è stato quasi un allenamento teatrale: mi hanno insegnato come muovermi, come gestire una battuta, che tono usare. Tutto ciò che non sapevo, ho cercato di impararlo con umiltà. E questo è il punto: puoi avere fatto migliaia di dirette – come nel mio caso, più di 5.000 tra radio, TV, sport – ma ogni esperienza nuova ti mette di fronte a qualcosa che non conosci. E allora la differenza sta proprio lì: nel voler crescere sempre, nel non accontentarsi di quello che sai già fare, ma usare tutto il bagaglio accumulato per affrontare qualcosa di nuovo e continuare a migliorare. La fortuna, alla fine, è avere intorno persone competenti, perché è solo lavorando con i migliori che puoi davvero diventarlo anche tu.».
Stiamo per partire, vogliamo ricordare l'appuntamento?
«Partiamo con l’appuntamento: da giovedì 29 alle 21.15, tutti i giovedì per 6 puntate, Money Road. Ogni tentazione ha un prezzo e vi ritroverete spesso a chiedervi: “Io al loro posto cosa avrei fatto?” E non siate troppo sicuri della risposta.».
Articolo di Simone Rossi
per "Digital-News.it"
(twitter: @simone__rossi)
MONEY ROAD – OGNI TENTAZIONE HA UN PREZZO
Dal 29 maggio tutti i giovedì, per sei settimane,
alle 21.15 su Sky Uno e in streaming su NOW e anche in simulcast in chiaro su TV8,
sempre disponibile on demand e visibile su Sky Go
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