"Boris" è una fiction in 14 puntate che, dal 16 aprile, va in onda su Fox (canale 110 di Sky) ogni lunedì alle 23.
Non si tratta dell'ennesima stanca variazione sul tema di quel prodotto popolare e un po' stanco che chiamiamo fiction. Anche a chi, pur prendendo atto della centralità della fiction nell'economia delle politiche culturali, ha una certa diffidenza nei confronti di questo genere, "Boris" appare come qualcosa di assolutamente nuovo, per almeno due ragioni.
La prima è che si tratta della prima volta che un gruppo satellitare (Wilder per Fox Channels Italy) produce una fiction di lunga serialità . Seconda ragione è che il soggetto di "Boris" è la fiction che sfotte se stessa.
E, più propriamente, "Boris" si avvale del gioco di citazione metalinguistiche per criticare dall'interno, sia gli attuali limiti di linguaggio del genere fiction che le contraddizione di tutto quel mondo che si muove fuori campo.
Perciò, già di per sé "Boris" rappresenta una provocazione al rinnovamento della fiction, e alla ricerca di una maggiore qualità . Ne è prova il grande numero di citazioni di altre fiction disseminate nella puntate di "Boris", "Carabinieri", "Distretto di polizia", "Un medico in famiglia", "Giovanni Falcone", "L'avvocato Porta", "Ris", tanto per citarne alcune.
I personaggi, nei panni di una troupe intenta a produrre un prodotto di lunga serialità e bassa categoria, "Gli occhi del cuore", mostrano in chiave satirica "tutto quello che avreste voluto sapere su come funziona un set tv, ma non avete mai avuto l'occasione di scoprire".
"Il fenomeno che volevamo stigmatizzare - ha spiegato il regista Luca Vendruscolo - è quello tipicamente italiano del lavorare senza amore, è una troupe di persone che ha smarrito il senso del lavoro e cerca di rimanere a galla accettando orribili compromessi".
Antonio Catania, tra i protagonisti di "Boris", quanta verità c'è nella satira che mettete in scena?
Essendo tutti attori che abbiamo attraversato le fiction - io ne sto girando una in questi giorni tanto per intenderci - possiamo dire re che c'è un'identità di vedute straordinaria. In sostanza, è tutto vero, sia i ruoli, sia la leggerezza d'impegno che spesso accompagna le scelte, dalla sceneggiatura a tutto il resto. Sono tutte cose che, purtroppo, sono vere, dal raccomandato a tutto il resto. E' una provocazione ma anche una possibilità di sperimentare nuove strade. Una sorta di laboratorio che può servire anche per le tv generaliste.
Su una tv generalista, "Boris" avrebbe potuto godere della stessa libertà creativa?
No, assolutamente no. Le tv generaliste non ti danno la possibilità di fare queste operazioni. Per "Boris" c'era tutto quello che serve per queste operazioni, sceneggiature, attori giusti, regista bravo, tutto a parte i soldi.
E' vero che nella fiction c'è una "comune rassegnazione al brutto", come ha detto il regista?
Si, perché c'è questa sfiducia nei confronti del pubblico. Si parte dal presupposto che il pubblico non sia in grado si capire, e che abbia bisogno di vedere le cose molto chiare.
Chi fa le fiction deve sentire la responsabilità del messaggio che sta comunicando?
La televisione non deve seguire gli istinti più bassi e andare dietro alle cose più facili, potrebbe anche essere un po' più propositiva. Ma stiamo parlando di utopie. Per farlo ci vorrebbe gente con maggiore competenza. Dire che le fiction più brutte sono quelle che fanno più ascolti è la scusa per continuare a fare ancora il peggio del peggio. I produttori fanno spesso discorsi del genere, che sulla televisione massimalista bisogna andare sul facile. Dopodiché è tutto una mediazione.
Ha parlato anche di anima, qual è, secondo lei, l'anima che dovrebbe avere la fiction?
La realtà , l'anima fa parte di quello anche della vita di tutti i giorni. La vita la puoi vivere in maniera ovvia e scontata, come la puoi vivere in maniera interessante e approfondita.
Dmitri Sassone
per "Off"