Una cosa è certa: il pallone rotola grazie ai soldi delle tv. Altrimenti si fermerebbe. Il calcio italiano infatti vive, molto più che altrove, dei proventi dei diritti televisivi. Soprattutto pay perché il chiaro ormai è sempre più relegato ai margini. I club di serie A e B attualmente incassano poco più di 800 milioni di euro a stagione ma vogliono arrivare nel 2010 a quota un miliardo.
Il nuovo advisor, la Infront, scelto di recente dalla Lega Calcio con l’opposizione della Juventus, ne ha garantiti 900. Non bastano.
La battaglia sarà dura, soprattutto dalla prossima stagione: il vero scontro si avrà fra Sky (satellitare) e Mediaset (digitale). La Rai è tagliata fuori dai grandi giochi, con 20-22 milioncini può al massimo riprendersi uno spicchio di calcio in chiaro (Novantesimo Minuto, per capirci). Ma le partite sono, e saranno, sempre più appannaggio di chi trasmette in pay e grazie al calcio, vedi Sky, ha ascolti sino al 10%, da tv generalista.
Ma in tanti vogliono rimettere mano alla nuova legge sui diritti tv, la Melandri-Gentiloni, che va (andrebbe) a regime dal 2010. La legge che dovrebbe, nelle intenzioni, ristabilire un maggiore equilibrio fra i club e rendere quindi i campionati più avvincenti. Attualmente la forbice fra grandi e piccoli club è di 1 a 8: nel senso che le grandi società come la Juventus, o l’Inter incassano di diritti otto volte di più rispetto ad un Siena o un Cagliari.
La nuova legge, che mette ordine anche sul sommerso (cosa che non garba affatto ai grossi club...), prevede che la forbice passi da 1 a 4,08. A guidare la cordata per rimettere mano (ancora non si sa come) alla nuova legge c’è il sottosegretario allo sport, Rocco Crimi. "Bisognerebbe aprire un esame dei diritti soggettivi del calcio e degli altri sport professionistici, valutando l'apertura al libero mercato, sotto la stretta vigilanza delle authority e fatta salva la tutela dei club più deboli", ha detto in un’audizione al Senato.
E ha spiegato: "Nella passata legislatura è stata approvata una legge per la quale dal 30 giugno 2010 i diritti saranno divisi per il 40% in parti uguali, per il 30% in base alla storia dei club e per il 30% in base ai risultati ottenuti. I grandi club hanno però fatto ricorso alla Corte europea". Non è così: Crimi non è informato bene perché non sono stati i grandi club a fare ricorso a Bruxelles, ma soltanto Sky che ha contestato non tanto il ritorno alla vendita collettiva quando alcuni passaggi e paletti della nuova legge, ritenuti troppo penalizzanti da parte della pay tv di Murdoch.
Ma a voler rivedere la legge sono in effetti tanti club: il Milan in testa. Zamparini (Palermo) aveva minacciato di ricorrere alla Corte Costituzionale. Il presidente del Napoli, il produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis, che ha avuto sempre scarsa simpatia per l’ex ministro Melandri, ha detto: "Chi ha scritto la legge non ha mai giocato né gestito una società di calcio". Di sicuro, però ha interpellato più volte Antonio Matarrese, presidente della Lega, e anche i presidenti e amministratori delegati delle principali società calcistiche.
Forse dimenticando De Laurentiis. Massimo Cellino, numero 1 del Cagliari, ha così replicato al presidente del Napoli: "Capisco che i grandi club siano contrari a questa legge ma sino a quando è in vigore dobbiamo applicarla. Abbiamo lavorato sei mesi con 12 avvocati". E adesso che fare? All’interno del calcio ci sono due correnti di pensiero: la prima, al momento prevalente, spinge per modificare le quote di ripartizione (il 40-30-30, citato in precedenza) ma mantenere comunque la contrattazione collettiva. Altri vorrebbero cancellare cioè, abrogare la legge: in questo caso, ripartendo da capo.
Con una litigiosità che in Lega (Calcio) non manca mai. Intanto la stessa Ue vuole vederci chiaro: dalla direzione per la concorrenza di Bruxelles è arrivato un questionario per i club italiani. Che sono obbligati a rispondere sul mercato dei diritti tv, se pensano che sia sufficientemente aperto e se Sky deve avere meno vincoli. In molti hanno risposto che non accettano che sia lo Stato italiano ad imporre loro le regole del gioco e come devono dividersi la "torta". "Siamo società private". Bruxelles darà loro ragione?
Fulvio Bianchi
per "Repubblica Affari & Finanza"
(07-07-08)