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Sfrattata la Domenica Sportiva: la regina della tv finisce in cantina

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Fonte: La Stampa

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Sport
La «Domenica sportiva» scompare per due settimane. Non andrà in onda né questa sera né la notte del 6 aprile. La «vecchia signora» della Rai. mamma di tutti i tele-salotti, ritornerà domenica 13. Motivo: la lunga vigilia elettorale ha prodotto tribune politiche che hanno consigliato il trasloco di «X Factor» (avesse detto) alla domenica su Rai 2, all'ora, più o meno, di quella che una volta era la messa cantata dello sport e, strada facendo, si è ridotta a una prolissa vespertina per tiratardi.

 

«Mai successo», ha chiosato il direttore Massimo De Luca, contrario alla deportazione su Rai 3. All'orgoglio ferito non si comanda. E così, su detta rete, attorno a mezzanotte, gli ultimi dei Mohicani generalisti potranno consolarsi con uno «Speciale campionato» d'emergenza.

In questi casi si suole riesumare uno slogan buono per tutte le stagioni: è un segno dei tempi. Il calcio in chiaro ha le ore sempre più contate, Sky e il digitale terrestre l'hanno sequestrato a suon di milioni. La «DS», il cui battesimo ufficiale risale alle 23,15 del 3 gennaio 1954, era e rimane un pezzo di storia, aperto a uno zoccolo sempre meno duro di maniaci.

 

Va da sé che «Controcampo diritto di replica», la risposta di Mediaset/Italia 1, raddoppierà ascolti, contatti, tutto: un autogol grottesco, facile da tradurre in un omaggio - non richiesto - all'artiglieria di Silvio Berlusconi (a proposito). Resta lo sconcerto per una scelta così frustrante. Per la generazione di Internet, la «Domenica» altro non rappresenta che uno sbadiglio.

 

Per la mia, viceversa, è stata, e rimane, una compagna di viaggio che la modernità ha giustamente ridimensionato e la stupidità ingiustamente penalizzato. «90° minuto» subito dopo le partite (fiocco azzurro, il 1970); «La Domenica sportiva» a sera inoltrata. Ai piedi della montagna, uno scheletro di notiziario; al culmine della scalata, un Bi-gnami dell'agonismo.

 

Tanto per dire: il 30 marzo del 2003 ha tagliato il traguardo delle 2.500 puntate. Il programma più antico, ma non per questo più «rinco». Certo, non guida più il gruppo. Lo chiude. Altro secolo, vero. La moviola non poteva che nascere di domenica, alla «Domenica», figlia di un gol di Gianni Rivera in un derby terminato 1-1: per l'arbitro la palla era dentro, per la telecamera no.

 

Dal 1969, diventò un piatto fisso del menù, cucinato dal tono britannico di Carlo Sassi. Tono, cioè stile. D'accordo, se sei solo è più facile smorzare il primo e coltivare il secondo, ma nessuno poteva immaginare, allora, la nidiata di mostriciattoli che mamma moviola avrebbe partorito e distribuito nell'etere.

 

Per tacere della sera che Concetto Lo Bello, «papà» di Pierluigi Collina, sbirciò, controllò, soppesò un frammento di Juvehtus-Milan e ammise di aver sbagliato, proprio lui, l'arbitro più arbitro dell'epoca, il ducette di Siracusa. Aveva considerato veniale un contatto fra Morini a Bigon, le riprese lo smentirono. Sorrise. Confessò: era rigore (per il Milan). Primi anni Settanta, cominciava proprio alla «Domenica» un duello che avrebbe scorticato il calcio nella sua essenza, la pupilla indifesa del giudice contro gli occhi famelici del dittatore tecnologico, con la differenza che, a quei tempi, l'assenza di alternative rendeva il verdetto, per crudele che fosse, accettabile.

 

E poi i conduttori. Enzo Tortora, per esempio. Indimenticabile il taglio che le diede. Curata da Aldo De Martino, la formula venne rivoltata a partire dal 28 febbraio 1965. Non più Tabe del calcio, con filmati e commenti in stretto «calcese». Diventava, la «Domenica», una finestra aperta su molto, se non proprio su tutto. Il conduttore la teneva per mano. Ne era la voce, la bussola, il cuore. Tortora, affa-bulatore curioso, ne ritoccò scalette ed esigenze, soffiandoci sopra l'ironia dell'uomo colto, oltre che di spettacolo.

 

Lungi dal perdere i patiti, il programma conquistò gli incerti e le casalinghe. Troppo bravo, Tortora. Solo che siamo in Italia, e in un'intervista al settimanale «Oggi», come scritto da Aldo Grasso nell'Enciclopedia della televisione, Enzo osò criticare la Rai, paragonandola a «un jet colossale guidato da un gruppo di boy scout che si divertono a giocare con i comandi». Lo sollevarono di peso.

 

Servizio pubblico, di nome e di fatto. A guardare le formazioni, viene il magone. Vi hanno giocato Beppe Viola, Adriano De Zan, Sandro Ciotti. Vi ha tenuto cattedra Giorgio Tosatti. Lo sbarco di Berlusconi e l'avvento della pay tv l'hanno cinta d'assedio, rigandone il magistero nazional-popolare. Non potevano mancare le dorane della «Domenica», show modicamente maschilista, da Mabel Bocchi a Paola Ferrari, passando per Simona Ventura, protagonista - con il suo «X Factor» - del travagliatissimo sfratto.

 

A testimonianza che, sul set, tutto passa e tutto si tiene. Ormai la «Domenica» approfondiva temi già sviscerati, offriva sintesi by night che il maniaco aveva già memorizzato. Gli ultimi atolli di sport in chiaro, anche se non sempre chiaro, per via dell'allargamento del salotto ai comici (data l'inerzia) e a qualche coscia vagante (data l'ora). Si è arresa al progresso e allo spezzatino; era già finita su .Rai 3 e aveva provato a rialzarsi. Fa tenerezza, oggi, parlarne con il lessico familiare della sua, e nostra, giovinezza. Si arrivava digiuni e si spazzolava tutto quello che lo schermo offriva, un tunnel di Sivori, una fuga di Merckx, le curve di Berruti. Era comodo ospitarci, e facile servirci.

 

Da anni non è più lei. E allora? Da anni è l'Italia a non essere più lei, figuriamoci.

Roberto Beccantini
per "La Stampa"

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