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Mediaset e il digitale dei poveri

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Fonte: L'Opinione

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Digitale Terrestre

L'argomento è ormai di pubblico dominio, anche se non si capisce se le informazioni fatte finora filtrare ad arte, servano ad incuriosire gli investitori o a spaventare i concorrenti.

In ogni modo, quella che dovrebbe essere la futura televisione a pagamento targata Mediaset, è ormai al centro di ogni discussione riguardante i futuri assetti del mercato nazionale, i cui equilibri stanno per subire discreti scossoni, da qui a pochi mesi.

È impensabile infatti che De Agostini, ad esempio, abbia comprato Magnolia solo per i buoni rapporti tra Pelliccioli e Gori.

Nel loro futuro c'è sicuramente, uno sbocco sul mercato televisivo, approfittando magari dell'imminente riassetto di Telecom, che porterà quasi certamente alla cessione della divisione Tv, rappresentata da La7 e da MTV.

Così com'è impensabile appunto che Mediaset non faccia qualcosa di fronte alla crisi della Tv generalista, e che nello stesso tempo assista inerme all'erosione di pubblico pregiato da parte di Sky, il cui appeal su alcune fasce rilevanti per gli inserzionisti è in continua crescita.

Già, perché al di là del numero degli abbonamenti e dei dati di share dei singoli canali - la cui pubblicazione è boicottata con tutti i mezzi leciti da via Piranesi, per il timore di deludere i centri media che pianificano con lo spannometro - il miracolo riuscito a Sky in questi anni è duplice.

Da una parte ha riportato davanti alla Tv un sacco di gente - specialmente tra i 18 e i 44 anni - che del piccolo schermo ormai se ne fregava, considerandolo una forma di intrattenimento da minus habens, ed usufruendone solo per l'informazione e per lo sport.

Dall'altra - cosa molto più importante -la pay tv di Murdoch è riuscita a creare una vera e propria Way of Life, indipendentemente dai minuti che i propri spettatori passano sintonizzati sui propri canali. Sky è ormai una sorta di status symbol, un modo per ricevere in casa gli amici, un'affermazione d'indipendenza.

E tante altre cose, che qui sarebbe troppo lungo spiegare. Una volta compreso il fenomeno, si capisce anche quali e quante difficoltà incontrerà Mediaset a varare prima e a portare al successo poi, la propria piattaforma i cui otto/dieci canali previsti, difficilmente avranno connotazioni rivoluzionarie. Ma c'è di più.

Storicamente, l'azienda di Cotogno Monzese non è abituata alle "incursioni" in mercati dinamici, dove bisogna fare a spallate, avere quotidianamente un sacco di idee e combattere un centimetro alla volta per conquistarsi un posto al sole.

Il gruppo è abituato a conquistare praterie, a fortificarsi e a mantenere le posizioni. Finché non si presentano altre praterie da conquistare. L'affermazione della Tv commerciale negli anni '80 e il digitale terrestre qualche anno fa, sono figlie di questa logica.

L'insuccesso delle Pagine Utili versus Pagine Gialle, anche. Sbarcare in un territorio come quello della Tv a pagamento richiede oggi uno sforzo creativo impressionante- Servono squadre di giovani manager al lavoro 24 ore al giorno, con litri di Red Bull in corpo, con mentì e membra instancabili. Servono gruppi di lavoro che reinventino la Tv, che offrano davvero qualcosa di nuovo, di accattivante, di irrinunciabile.

Dovrebbero reclutare fior di pensatori e chiuderli in una factory per sei mesi, dalla quale far uscire qualche notizia ogni tanto, per creare curiosità, aspettative. Invece, proprio per il dna dell'azienda, il rischio è quello di sfornare un prodotto il più classico possibile, con un canale per lo sport, uno per il cinema, uno per la divulgazione scientifica, uno per le soap, uno per i telefilm americani e via dicendo. Il risultato - probabilmente proposto a condizioni economiche vantaggiosissime per gli abbonati - rischia di essere una versione cheap di Sky.

Insomma una pay tv per ceti meno abbienti. Ma l'operazione - simile - è già fallita un paio di anni fa, con il tentativo di trasformare il Digitale terrestre in un cuscinetto che impedisse a Sky di sfondare sugli amanti del calcio, ai quali il Dtt offre le singole partite a pochi euro senza bisogno di installare una parabola da qualche parte. Ora, può essere così minimalista l'obiettivo di un progetto i cui costi non si annunciano certo irrisori?

Crediamo di no. Ma come insegnano i più famosi case history studiati nelle università di tutto il mondo, cambiare pelle ad un'azienda, rivoluzionarne i modi di lavoro ed i metodi di approccio ai problemi, è un'impresa quasi impossibile. Certo, sotto la spinta del mercato e con la Gentiloni come spada di Damocle, Mediaset è costretta ad inventarsi nuove aree di businnes. Ma mentre il ventilato acquisto di Endemol non richiede particolari sforzi creativi, la creazione di una piattaforma lo impone.

Ma riuscire a coinvolgere le varie strutture, a far appassionare l'azienda, a mettere sotto contratto le menti più brillanti, e a non lesinare risorse, appare un compito improbo. Che mal si concilia con il traccheggio al quale Mediaset si è abituata in questi anni.

Shrek
per "L'Opinione"

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