Almeno un film o una fiction italiana a settimana per ogni canale tv in prime time (due per la Rai). La crescita delle quote obbligatorie di investimento per l'acquisto o la produzione di opere europee. L'aumento delle sanzioni per l'inottemperanza degli obblighi (anche se riviste al ribasso rispetto alle ipotesi circolate finora). Sono i punti salienti del decreto sulle quote tv, approvato oggi in Consiglio dei ministri con qualche modifica rispetto all'ultima bozza. Secondo il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, si tratta di «un provvedimento concreto che serve a aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane». Un'opinione condivisa da molte firme del cinema, dalle associazioni degli autori, dai produttori indipendenti, ma nient'affatto dai broadcaster che non hanno gradito l'esito della trattativa con il ministero, sostenendo che le nuove regole sono troppo stringenti e penalizzanti e mettono a forte rischio l'occupazione del settore. «Resta l'impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva», sottolineano in serata le emittenti private. Il decreto prevede una gradualità, scandita in più anni, per l'entrata a regime delle nuove quote. È prevista una moratoria per il 2018 per consentire alle emittenti di adeguarsi, mentre l'entrata a regime è fissata al 2020. Sarà l'Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni, che il decreto aumenta sensibilmente fino a un massimo di 5 milioni di euro o il 2% del fatturato (era il 3% nell'ultima bozza circolata).
Per quanto riguarda la programmazione, il nuovo impianto è mutuato dal sistema francese: viene definita una quota minima per tutte le opere europee pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% dal 2020); a decorrere dal 2019, è introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, pari per la Rai ad almeno la metà della quota prevista per le opere europee e per le altre emittenti ad almeno un terzo. Nel prime time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione deve essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni italiani: 12% per la Rai, 6% per gli altri fornitori. Si tratta di un film o fiction o documentario o animazione italiani a settimana. Per la Rai l'obbligo è di due opere italiane a settimana, di cui una cinematografica. Per quanto riguarda gli investimenti, la quota per gli operatori privati è pari ad almeno il 10% degli introiti netti annui, elevata al 12,5% dal 2019 e al 15% dal 2020 (alle opere italiane deve essere destinato a regime il 4,5%). La quota prevista per la Rai è pari ad almeno il 15% dei ricavi complessivi annui, elevata al 18,5% dal 2019 e al 20% dal 2020 (il 5% a regime per le opere italiane).
Per il 2018 le quote, per tutti i soggetti, sono riferite interamente a opere di produttori indipendenti, come oggi, mentre dal 2019 a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste. Obblighi di programmazione e investimento sono imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori on demand. Viene inoltre ridefinita l'opera di espressione originale italiana, non più collegata esclusivamente alla lingua, e la figura del produttore indipendente, inserendo tra i requisiti anche la titolarità dei diritti secondari sullo sfruttamento delle opere. Il provvedimento «mette sempre più al centro del sistema televisivo l'audiovisivo italiano dei produttori indipendenti», commenta Giancarlo Leone, presidente Apt, convinto che «la massima collaborazione con le emittenti riuscirà ad esprimere in modo proattivo quegli elementi critici che oggi vengono vissuti negativamente dai broadcaster». Plaude su Facebook al decreto Francesca Cima, presidente dei produttori Anica. Il decreto passa ora alle Commissioni competenti di Camera e Senato, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato-Regioni per i pareri. Dovrà tornare in Consiglio dei ministri per l'approvazione definitiva entro l'11 dicembre, quando scade la delega.
«Da quanto trapela sullo schema di decreto sugli obblighi di programmazione e investimento in opere europee ed italiane, approvato oggi dal Consiglio dei ministri, i broadcaster non possono che esprimere profonda delusione per aver dovuto constatare che le loro richieste costruttive, supportate da dati sugli investimenti e sulle dinamiche di mercato, non sono state accolte». È quanto precisano fonti dei broadcaster privati. «L'impostazione anacronistica, dirigistica (quasi ad personam) e punitiva del ministro Franceschini è rimasta infatti sostanzialmente immutata nel testo condiviso dal Consiglio dei ministri - proseguono -. Ad essere danneggiata sarà così l'intera produzione audiovisiva italiana, con pesanti ricadute negative sull'occupazione del settore. Spiace anche leggere nel comunicato del ministero affermazioni non veritiere relative all'accoglimento di tutte le richieste dell'Autorità e sull'applicazione in anticipo e in coerenza alla nuova direttiva europea sui servizi media audiovisivi».
«In realtà la direttiva - sottolineano ancora - per quanto riguarda l'attività di broadcasting tradizionale non ha modificato in alcun modo l'attuale regime degli obblighi di programmazione e di investimento (peraltro calcolata in maniera non cumulativa e solo su parte degli introiti), al contrario di quanto è previsto nella riforma Franceschini, che trasferisce nel nostro ordinamento solo la parte peggiore di un sistema francese che si è dimostrato inadeguato e inefficiente per la stessa Corte dei Conti di quel Paese. Le imprese di broadcasting sono in realtà quelle che, duramente penalizzate dalle nuove disposizioni oggi approvate, con i loro investimenti garantiscono lo sviluppo dell'industria creativa e difendono la cultura in ambito europeo»