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Paolo Bassetti (Endemol): La tv di domani pi snella e in 'format'

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Fonte: Famiglia Cristiana

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Televisione

Paolo Bassetti (Endemol)Cos'hanno in comune programmi come II Grande Fratello, La prova del cuoco, Affari tuoi, Chi vuol essere milionario, Che tempo che fa o Le invasioni barbariche? Sono tutti ideati dal gigante internazionale Endemol, la società di produzione indipendente di programmi tv entrata recentemente nell'orbita dell'impero Mediaset, con la sua collezione di 1.400 titoli.

Paolo Bassetti, 44 anni, a capo di Endemol Italia, assicura che nella "fabbrica dei format" si andrà avanti come prima e spiega il senso dell'acquisizione: «Endemol è un'azienda di respiro internazionale e per iMediaset rappresenta sicuramente un'opportunità interessante per tanti motivi: diversificare il business, sfruttare le sinergie per la convergenza. Inoltre Endemol è anche una società che produce utili».

- Però in teoria ora Mediaset può scegliere i programmi migliori e vigilare sui concorrenti. Per voi cosa cambia?
«Al momento nulla. Come condizione dell'accordo siamo stati i primi a chiedere un'assoluta indipendenza e abbiamo avuto in merito garanzie precise. L'ipotesi che lei espone non esiste. Ovvio che chiederemo a Mediaset uno spazio di sperimentazione per i nostri programmi».

- Mediaset risparmierà sui format..
«Beh, noi cercheremo di farglieli pagare di più...».

- I format sono uguali in tutto il mondo. I McDonald's della Tv, si dice...
«L'anima "globale" per funzionare deve sempre avere un'anima locale. I format di solito quando nascono in America e in Inghilterra hanno vantaggi maggiori rispetto agli altri Paesi, quando poi vengono esportati il più delle volte vengono riadattati. Negli Usa Affari tuoi è un programma di valigie e majorettes molto diverso da quello nostrano. Noi l'abbiamo cambiato parecchio mettendo i pacchi al posto delle valigie, le regioni, e dietro ogni regione un personaggio».

- Perché, ci si chiede in Rai, comprare format da Endemol? In Rai idee e professionalità non mancano di certo...
«Dobbiamo distinguere tra un'idea e un format. Un'idea è semplicemente un'intuizione, un format è qualcosa di molto più strutturato. Prendiamo La prova del cuoco. Magari nella cineteca Rai c'è uno spezzone di un programma in cui si assiste a una gara tra cuochi. Ma un programma basato su un format è un'altra cosa. In un'intervista a Famiglia Cristiana Giovanni Minoli racconta di aver prodotto Davvero, la docu-fiction su alcuni ragazzi di Bologna che vivono in un appartamento, con la quale, oggettivamente, aveva anticipato i tempi qualche anno prima del Grande Fratello. Ma allora perché Grande Fratello è diventato un caso mondiale e Davvero no? Perché l'idea non basta: bisogna valutare la completezza del programma, il suo successo dipende da com'è strutturato, da come sono stati messi in sequenza gli eventi, dai meccanismi, e via dicendo. Il format è uno schema originale e compiuto di un'opera audiovisiva. Lo stesso vale per La prova del cuoco, non basta dire: facciamo una gara tra due chef. Bisogna vedere anche le sequenze, il meccanismo del gioco, il contesto scenografico, il minutaggio e tante altre cose...».

- Pensa che in Rai ci siano più idee che format?
«No, assolutamente. Io penso che in Rai non debba mancare la capacità di produrre, ma penso anche che non debba vedere i produttori esterni come degli antagonisti. In Rai ci sono delle professionalità molto capaci. L'azienda deve appropriarsi di quella parte di produzione più legata all'approfondimento, ai programmi culturali, alle seconde serate. Mentre la parte legata all'intrattenimento e alla fiction è giusto che venga prodotta e sviluppata anche da produttori esterni. Nessuna Tv può prescindere dal supporto della produzione esterna se vuol essere competitiva».

- Insomma, lei propone una sorta di patto: alle società di produzione indipendenti la prima serata, alla produzione Rai la seconda...
«Non è così. Si possono fare programmi culturali e di approfondimento anche in prima serata. Direi piuttosto che bisognerebbe riflettere sul fatto che questo genere di trasmissioni dovrebbe essere finanziato dal canone mentre i programmi più commerciali dalla pubblicità. È inutile negarlo: la Rai con il solo canone non riesce a mantenersi. È vittima di un paradosso: se si mette a fare programmi culturali e televisione di servizio, viene accusata di lasciare campo libero a Mediaset, se invece si mette a fare Tv commerciale con quiz, pacchi e quant'altro, allora si dice che non fa televisione di servizio».

- Secondo lei come se ne esce?
«Come ho detto, con una distinzione per genere attraverso i canali. Un po' come è successo in Inghilterra, dove la Bbc ha deciso di perdere punti di share facendo Tv di servizio ma ha anche incrementato la Tv commerciale con un canale apposito, Channel 4, che permette di raccogliere molta pubblicità».

- Minoli nell'intervista citata dice che poiché Mediaset ha acquisito Endemol e poiché Endemol produce il 40 per cento dei programmi Rai, allora vuol dire che Mediaset controlla il 40 per cento dei palinsesti Rai...
«Non so dove Minoli abbia preso questo dato. Credo che abbia equivocato. Tempo fa dissi in un'intervista quanto produciamo noi di Endemol: il 40 per cento va alla Rai, il 40 a Mediaset e il resto ad altre emittenti. Questo non significa che noi fatturiamo il 40 per cento della produzione Rai, magari. Tra l'altro l'investimento di cui parla Minoli a conti fatti corrisponderebbe a quasi tre volte tutto quello che Endemol Italia fattura in un anno con tutti i suoi clienti. Purtroppo solo il 20 per cento della produzione Rai viene dato all'esterno ai produttori indipendenti ed è uno dei mer
cati più bassi del mondo. Inoltre alla Rai ci sono produttori di format e produttori di sola fiction che fatturano molto più di noi. Non è una polemica la mia, però bisogna smetterla di dire che Endemol controlla i palinsesti Rai, perché semplicemente non è vero».


- Siamo al tramonto dei reality?
«Credo che i reality siano destinati a vivere ancora a lungo, sono un genere. Ormai convivono nei palinsesti delle televisioni così come convivono i quiz, i people show, i game e altro. Certo, in questi anni c'è stata una grande selezione. Un po' come per i telefilm: su 30 che vengono prodotti all'anno in America, solo 4 o 5 sfondano anche in Italia. Non sono tutti Doctor House».

- Cosa vedremo nei prossimi anni?
«Più che vedere cose nuove avremo modelli di fiction e di intrattenimento diversi. In particolare cresceranno i programmi d'intrattenimento girati al di fuori del classico studio, e non saranno più lunghi di 60 minuti, con tempi e ritmi sempre più stretti. Le fiction poi vanno verso un modello di produzione di tipo industriale, in cui si conciliano meglio le esigenze del pubblico e i costi di produzione, come avviene già in altri Paesi. Ovviamente si curerà molto di più lo star system e la scrittura».

Francesco Anfossi
per "Famiglia Cristiana"

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      giovedì, 01 marzo 2012