Non siamo soli. Il disegno di legge Gentiloni sulla transizione al digitale non è un "affare" tra maggioranza e opposizione. C'è un terzo incomodo, l'Unione europea. Nel luglio 2006 la commissione di Bruxelles ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora sulla compatibilità di alcune norme nazionali sui servizi televisivi: la legge 66 del 2001, l'ultima del centro-sinistra al governo in quella legislatura; la Gasparri del 2004 e il Testo unico della radiotelevisione.
L'Italia ha accolto le riserve formulate dalla Commissione, promettendo di modificare la legislazione per renderla coerente al diritto comunitario. Nell'ottobre 2006, la Commissione chiede conto del disegno di legge "promesso". In risposta, l'Italia allega il disegno di legge Gentiloni, la «decisione criminale», come l'ha definita Silvio Berlusconi. Nell'aprile dello scorso anno, le autorità italiane comunicano alla Commissione che il dibattito in Aula sul disegno di legge si sarebbe svolto a giugno e non a marzo, come precedentemente comunicato. I pazienti membri della Commissione chiedono aggiornamenti. Con lettera del 20 giugno, l'Italia ammette difficoltà a formulare previsioni sui tempi di approvazione del Ddl Gentiloni.
La commissione, a questo punto, perde la pazienza e indirizza all'Italia, il 19 luglio 2007, un parere motivato nel quale invita a conformarsi allo stesso entro due mesi dal suo ricevimento. La proroga chiesta dall'Italia viene negata dall'Ue, con lettera del 19 ottobre 2007, nella quale si elencano cinque motivi, basati su un calendario dell'iter «non realistico e sufficientemente circostanziato». Nella richiesta di proroga si indicava una possibile approvazione «verso la fine dell'anno 2008».
A novembre il disegno di legge viene approvato, con modifiche, dalle commissioni Trasporti e Cultura della Camera. Andrà in Aula, forse, alla fine di gennaio, poi comincerà la "lotteria" della seconda lettura in Senato, con probabili modifiche e ritorno alla Camera. Ben prima arriverà il deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia europea. Se il parere della Corte collimerà con quello della Commissione, quest'ultima emanerà un altro parere motivato e, se resterà anch'esso inascoltato, scatterà una sanzione contro il nostro paese, dell'ordine dei 400mila euro al giorno.
Quali sono i "buchi neri" della nostra legislazione secondo la commissione Ue? Tra gli altri: il rinvio sine die per l'attuazione del Piano nazionale delle frequenze analogiche, la riserva ai soli operatori analogici esistenti di avviare la sperimentazione del digitale, con il rilascio delle relative licenze e autorizzazioni e di fare il trading delle frequenze (mai assegnate una prima volta, Rai esclusa), la legittimazione dei soli impianti esistenti per sperimentare il digitale, la proroga delle concessioni analogiche fino alla data del passaggio "finale" al digitale (novembre 2012). Quest'ultima, in particolare, accorda a un numero limitato di operatori «un evidente vantaggio ai danni di altre aziende, segnatamente di quelle - come Europa 7 - che pur essendo titolari di concessione analogica» non hanno frequenze disponibili.
La Commissione, inoltre, ritiene che il diritto concesso di richiedere una licenza digitale equivalga all'attribuzione di un ulteriore diritto, perché consente un'attività non permessa in precedenza. Se è un nuovo diritto, allora, serve un'autorizzazione generale, non una licenza.
La Corte di giustizia europea, infine, sta per emanare la sentenza sul caso Europa 7, ovvero la risposta alle dieci domande inoltrate dal Consiglio di Stato circa la compatibilità comunitaria di diverse norme nazionali. Una decisione che potrà condizionare le scelte future del legislatore e delle Autorità di settore, anche se sarà il Consiglio di Stato a dover poi trarre le conseguenze dalla sentenza.
per "Il Sole 24 Ore"