Dagli Europei alle Olimpiadi, quando la telecronaca diventa arte
News inserita da: Simone Rossi (Satred)
Fonte: Liberazione
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Sport
Lo sport in tv è tradizione, ma anche mito e leggenda. Tanto per dirne una, le grandi manifestazioni internazionali (Europei, Mondiali, Olimpiadi) sono stati gli ultimi monopoli Rai a cadere.
Ma se lo scippo di Murdoch e Sky non è riuscito, dipende un po' dall'abitudine e molto anche da quelle voci inconfondibili che ci raccontano le gare Sky e il digitale terrestre di Mediaset premium l'hanno capito bene: la prima ha vinto il mondiale 2006 grazie alla coppia esagitata Caressa-Bergomi («Tutti a Berlino!») e i suoi campionati con il supereroe Marianella (ama dare soprannomi "mascherati", da Batman Tagliatatela in poi).
La seconda, non potendo competere sulla professionalità dei "classici", ha pensato bene di chiamare a sé i radiocronisti storici dell'emittenza privata locale: il romanista Carlo Zampa («te possino ammazza che m'hai annullato», «so diventato gay per Montella!»), il napoletano Raffaele Auriemma («Marekiaro Hamsik, si gonfia la rete!», «Ha 43 anni, ma come fa!») e il milanista Carlo Pellegatti (i suoi soprannomi aulici sono poesia pura) fanno ormai parte della mitologia radio-telesportiva e sono tutti più o meno debitori della tradizione sudamericana, a cui si devono le definizioni di Maradona come «Dio d'Argentina» o «mano de Dios».
Lo sport è metafora del meglio e il peggio della vita, portato all'eccesso, e così l'enfasi, le espressioni di chi lo commenta hanno una ridicola e tenera nobiltà.
Lasciamo da parte le folli urla del plurimitato Giampiero Galeazzi per tennis e canottaggio, bella copia della coppia Guido Meda-Loris Reggiani («in piedi sul divano, vai Vale!») cacofonici e chiassosi commentatori del motomondiale Mediaset. Fanno rimpiangere la britannica sobrietà di Federico Urban, il Bruno Pizzul delle due ruote, erede il friulano dei mitici Carosio e Martellini, esempi brillanti del compassato stile Rai di un tempo e di cui gli attuali Civoli e Cerqueti sono diligenti discepoli che comanderanno la spedizione Rai agli Europei austro-svizzeri.
In questo momento la bistrattata tv di stato però dà il meglio nelle discipline nobili e meno danarose: Sandro Fioravanti, tra nuoto e atletica (sarà lui il mattatore di Pechino 2008), è la migliore sintesi tra modernità, passione, partecipazione e competenza. Niente male anche Failla e Pancani o Antinelli, rispettivamente per pallanuoto e pallavolo.
Ma l'arte della telecronaca, eccitata o pacata, enfatica o professionale, è difficile e molto nobile, divertente e impegnativa. E molto maschilista (pochissime le donne, spicca la mitica Lea Pericoli per il tennis). Una droga per chi la fa, un cult per chi la segue, un complemento necessario all'evento sportivo per chi ama seguirlo in poltrona. E allora il nostro Oscar va alla coppia Rino Tommasi-Gianni Clerici («circoletto rosso!»), perfetta unione di cultura (non solo sportiva) e raffinata e dissacrante ironia. Cose che allo sport multimiliardario e multinazionale di questi anni manca completamente.
Ma se lo scippo di Murdoch e Sky non è riuscito, dipende un po' dall'abitudine e molto anche da quelle voci inconfondibili che ci raccontano le gare Sky e il digitale terrestre di Mediaset premium l'hanno capito bene: la prima ha vinto il mondiale 2006 grazie alla coppia esagitata Caressa-Bergomi («Tutti a Berlino!») e i suoi campionati con il supereroe Marianella (ama dare soprannomi "mascherati", da Batman Tagliatatela in poi).
La seconda, non potendo competere sulla professionalità dei "classici", ha pensato bene di chiamare a sé i radiocronisti storici dell'emittenza privata locale: il romanista Carlo Zampa («te possino ammazza che m'hai annullato», «so diventato gay per Montella!»), il napoletano Raffaele Auriemma («Marekiaro Hamsik, si gonfia la rete!», «Ha 43 anni, ma come fa!») e il milanista Carlo Pellegatti (i suoi soprannomi aulici sono poesia pura) fanno ormai parte della mitologia radio-telesportiva e sono tutti più o meno debitori della tradizione sudamericana, a cui si devono le definizioni di Maradona come «Dio d'Argentina» o «mano de Dios».
Lo sport è metafora del meglio e il peggio della vita, portato all'eccesso, e così l'enfasi, le espressioni di chi lo commenta hanno una ridicola e tenera nobiltà.
Lasciamo da parte le folli urla del plurimitato Giampiero Galeazzi per tennis e canottaggio, bella copia della coppia Guido Meda-Loris Reggiani («in piedi sul divano, vai Vale!») cacofonici e chiassosi commentatori del motomondiale Mediaset. Fanno rimpiangere la britannica sobrietà di Federico Urban, il Bruno Pizzul delle due ruote, erede il friulano dei mitici Carosio e Martellini, esempi brillanti del compassato stile Rai di un tempo e di cui gli attuali Civoli e Cerqueti sono diligenti discepoli che comanderanno la spedizione Rai agli Europei austro-svizzeri.
In questo momento la bistrattata tv di stato però dà il meglio nelle discipline nobili e meno danarose: Sandro Fioravanti, tra nuoto e atletica (sarà lui il mattatore di Pechino 2008), è la migliore sintesi tra modernità, passione, partecipazione e competenza. Niente male anche Failla e Pancani o Antinelli, rispettivamente per pallanuoto e pallavolo.
Ma l'arte della telecronaca, eccitata o pacata, enfatica o professionale, è difficile e molto nobile, divertente e impegnativa. E molto maschilista (pochissime le donne, spicca la mitica Lea Pericoli per il tennis). Una droga per chi la fa, un cult per chi la segue, un complemento necessario all'evento sportivo per chi ama seguirlo in poltrona. E allora il nostro Oscar va alla coppia Rino Tommasi-Gianni Clerici («circoletto rosso!»), perfetta unione di cultura (non solo sportiva) e raffinata e dissacrante ironia. Cose che allo sport multimiliardario e multinazionale di questi anni manca completamente.
Boris Sollazzo
per "Liberazione"
per "Liberazione"
(03/06/08)
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