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Digitale terrestre... molto ancora da fare

News inserita da: Giorgio Cuccureddu (GIORGIO)

Fonte: Maurovergari.blogspot.com

D
Digitale Terrestre
venerdì, 28 dicembre 2007 | Ore: 00:00

Parlare e scrivere di tv digitale forse può sembrare anacronistico, almeno per gli addetti ai lavori, che tutto sanno e tutto conoscono della materia.

Dal punto di vista del consumatore finale, però, la tv digitale è ancora un argomento di piena attualità, perché non ci hanno ancora capito molto e addirittura, in tanti, pensano che sia un argomento che non li coinvolga, nonostante recentemente si sia conclusa a Torino la 3^ conferenza nazionale sul digitale terrestre e manchi poco al mese di marzo, data in cui nell’isola sarda, la tv non sarà più analogica.

Molti ancora non sanno neanche cosa si intende per tv digitale e possiamo garantire, per esperienza diretta, che non stiamo parlando di una minoranza. Il primo errore che fanno coloro che si occupano di tv e tecnologia è proprio pensare che tutti gli altri abbiamo le loro medesime conoscenze. Basta sostare nei grandi magazzini dell’elettronica, mettendosi ad ascoltare i dialoghi che avvengono fra clienti e commessi per rendersi conto di quanta ignoranza in materia circoli. D'altronde, fino ad ora, nessuno si è preoccupato di realizzare una corretta e neutrale campagna informativa che spieghi all’opinione pubblica e anche ai tantissimi rivenditori che ci troviamo in piena transizione, dalla tv analogica a quella digitale.

Chissà perché Piero Angela, grande divulgatore scientifico della Rai non ha ancora deciso di realizzare dei programmi specifici sull’argomento. Forse perché è preferibile lasciare i consumatori nell’ignoranza e permettere libertà d’azione ai broadcaster che ne traggono benefici economici.

Tutti sarete almeno convinti, che chi deve legiferare in materia, abbia le idee chiare. Dal comportamento visto in Parlamento sembrerebbe proprio di no. Il Senato, per esempio, discutendo il decreto collegato alla finanziaria 2008, ha votato contro la possibilità di programmare il calendario delle aree nelle quali effettuare la chiusura del segnale analogico televisivo a favore di quello digitale, dimostrando scarsa competenza tecnica.

Gli interessi di “bottega” hanno ,ancora una volta, prevalso su quelli dei cittadini-consumatori che così continueranno a vivere l'innovazione come un’imposizione, dovendo subire le scelte di quei governatori regionali che chiederanno al Ministero delle Comunicazioni, senza aver consultato nessuno, di far passare la propria popolazione al digitale. E’ il caso del Piemonte e del Trentino che I’ l1 dicembre hanno firmato un protocollo con il Ministero delle comunicazioni che prevede la fine delle trasmissioni televisive analogiche per il 2011. Ovviamente, anche questa volta, la decisione è stata politica e non ha coinvolto i cittadini.

Abbiamo chiesto più volte, l’ultima in commissione comunicazione di Camera e Senato, in occasione dell’audizione per esprimere un parere sula legge Gentiloni dedicata alla transizione, che il passaggio al digitale venisse regolato con norme , chiare, certe e definitive permettendo alle aziende, ai broadcaster e ai consumatori, di conoscere tutte le tappe e le modalità attuative per il raggiungimento dell'obiettivo previsto per il 2012, data prevista dalla legge per la chiusura del segnale analogico.

E’ indispensabile un calendario, concordato con tutti i componenti del Comitato Nazionale Italia Digitale, che specifichi con chiarezza i tempi e i territori dove spegnere il segnale analogico fino alla chiusura nazionale. Per caso qualcuno sta pensando che dopo il Piemonte, in un anno, si può passare al digitale in tutta Italia in un sol colpo?

Non riuscendo a far arrivare in porto una legge di sistema, la politica ha pensato di introdurre la transizione nella Finanziaria. Purtroppo sono state inserite solo alcune norme, per lo più superficiali, cercando di mettere qualche toppa qua e la, cercando di arginare la confusione. Riteniamo che la confusione non debba proprio esistere e quindi occorre introdurre tutte quelle regole che permettano la tutela dei consumatori.

Sembrerebbe che, finalmente, si sia deciso di riprendere in Parlamento a gennaio 2008, la discussione della legge che regolamenta la transizione. E’ auspicabile che ciò avvenga ma è anche necessario che tale legge non si preoccupi solo di limitare la posizione dominante di qualche broadcaster nei confronti dell’altro. La legge sulla transizione deve prima di tutto preoccuparsi di coloro che subiranno la transizione, cioè gli utenti.

Come è avvenuto ultimamente in Francia e negli altri paesi europei la legge deve preoccuparsi di normare tutti gli aspetti che interessano direttamente il consumatore, mettendolo nelle condizioni di programmare le proprie azioni e propri acquisti.

Deve essere, necessariamente, reintrodotto l'emendamento, bocciato al Senato, dando mandato al Ministero delle Comunicazioni, che, sentite le Regioni e soprattutto i consumatori, realizzi un calendario che indichi le aree e i tempi per chiudere definitivamente le trasmissioni televisive analogiche.

Non comprendiamo il significato dell’ultimo protocollo firmato che prevede la chiusura definitiva di tutto l’analogico in Piemonte e in Trentino, addirittura nel lontano 2011, cioè, appena un anno prima della chiusura nazionale. E nel frattempo in tutta Italia che si fa? Non è che per caso la data del 2012, ancora una volta verrà rinviata? Non si può giocare con le date quando si è impegnati in un percorso che porta il Paese verso l’innovazione, così facendo si mette in dubbio l’innovazione stessa che di conseguenza non verrebbe più accettata dai cittadini perché non credibile. La legge sulla transizione deve per prima cosa fugare ogni dubbio dando certezze sulle modalità e sui tempi.

Alla luce di ciò, le regole devono preoccuparsi anche di determinare le caratteristiche delle trasmissioni digitali. Per garantire un corretto acquisto dei consumatori non basta imporre dal 1° Gennaio 2009 il divieto alla vendita di apparecchi tv con sintonizzatore analogico dando il via libera solo ai televisori a schermo piatto. Neanche ci si può affidare alle iniziative, sia pur lodevoli, intraprese dai privati che appongono bollini sui televisori per far sapere al consumatore cosa potrà vedere con l’acquisto che ha fatto, come ha recentemente annunciato DGTVi, l’associazione dei broadcaster.

L’innovazione deve essere gestita da chi governa che deve scegliere e quindi decidere se le trasmissione saranno in alta definizione oppure no, se saranno in 4:3 o in 16:9. L’innovazione non può essere lasciata ad un mercato senza regole. Le conseguenze sono chiare, se si sceglie l’HD ,occorre specificare che i televisori devono dotarsi di sintonizzatori digitali, diversi da quelli oggi in vendita, capaci di ricevere programmi trasmessi in alta definizione e quindi del tipo H.264/MPEG-4; se si decide per il 16:9 occorre imporre a chi fa televisione, di utilizzare questo formato e non altri.

I costruttori dei nuovi televisori a schermo piatto, scaricando ogni responsabilità, già ci informano, attraverso i libretti di istruzione, che utilizzando per troppo tempo la visone in 4:3 si può danneggiare il pannello televisivo con guasti, addirittura non coperti da garanzia. Ecco le contraddizioni di chi ci governa. Si promuove la vendita di nuovi televisori, che sono tutti HD Ready, senza porsi il problema di decidere anche l’adeguata trasmissione. E’ come se si imponesse la macchina ad idrogeno senza preoccuparsi di rendere disponibile la distribuzione dell’idrogeno. Tutti le utilizzerebbero andando a benzina con la possibilità di danneggiare la propria auto.

Per far transitare l’intera popolazione da una tecnologia ad un'altra, bisogna pensare anche alle piccole cose, ci riferiamo a quelle abitudini ormai radicate da anni di utilizzo della televisione che è impensabile far cambiare, cioè il telecomando ed il conseguente ordinamento dei canali. Anche l’Agcom si è accorto di questo è ha approvato una delibera specifica che obbliga a rispettare l’abituale numerazione dei canali su tutte le piattaforme, dal satellite al digitale terrestre per finire all’Iptv. Peccato che questa delibera non venga rispettata, a giugno abbiamo anche denunciato SKY che con la sua numerazione a tre cifre se ne infischia della delibera, siamo ancora in attesa delle decisioni dell’Agcom che fa le delibere ma si dimentica di farle rispettare.

Cosa accadrà in Sardegna quando tutto sarà in digitale? Per trovare un canale occorrerà fare la caccia al tesoro, con un percorso a ostacoli fra un decoder satellitare e un decoder terrestre, fra Alice o Fastweb. Per il povero consumatore sarà un Babilonia. Prima di marzo occorre necessariamente prendere una decisone, concordata o imposta, ci auguriamo che l’Agcom farà il suo dovere fino in fondo.

Da tempo si parla di transizione ma nessuno si è preoccupato, fino ad ora, di regolamentare l’impiantistica legata alla ricezione del digitale. Tutto è stato sempre lasciato alla buona volontà dei singoli. Basta alzare gli occhi al cielo per vedere miriadi di antenne che solleticano le nuvole.
E’ il risultato di decenni di antenna selvaggia. Ogni cittadino si è organizzato autonomamente per vedere i programmi televisivi e le antenne e i fili si sono moltiplicati all’infinito. Ora c’è anche un’aggravante. Con l’avvento di SKY si è aggiunta anche “parabola selvaggia” presente su tutti i balconi d’Italia.

Con il digitale le piattaforme di ricezioni sono molteplici e vanno garantite tutte, nel rispetto della neutralità tecnologica, è ora, quindi, di lasciar stare il fai da te, imponendo a tutti i condomini d’Italia un’impiantistica comune per la ricezione centralizzata di tutti i segnali digitali, fatta a regola d’arte. La transizione al digitale non può ignorare questa problematica. I francesi nella loro legge hanno persino imposto che nei contratti d’affitto deve essere specificato quale tipo d’impianto di ricezione ha l’appartamento, noi non riusciamo neanche ad imporre un antenna centralizzata.

Tutti gli addetti ai lavori sanno che chiudendo i segnali analogici, in moltissimi palazzi, per continuare a vedere la televisione si dovrà aggiornare l’impianto centralizzato, con costi gravosi. Allo stato attuale, se la maggioranza dei condomini non vorrà fare i lavori, la minoranza sarà costretta ad avere il televisore nero o a dotarsi di antenna privata. E lasciando le cose al caso, sarà l’assemblea di condominio a decidere se avere la parabola o la sola antenna o tutte e due. In fase di transizione queste scelte non possono essere lasciate al caso o alla buona volontà dei singoli.

E’ urgente legiferare per dare strumenti idonei agli amministratori di condominio. I spagnoli hanno risolto questa problematica da tempo, addirittura in tempi in cui il digitale era conosciuto solo da pochi addetti ai lavori, approvando una legge specifica che obbliga l’adeguamento degli impianti i ricezione e delinea le caratteristiche tecniche da rispettare nella realizzazione dell’impianto.

In Italia l’argomento non viene neanche sfiorato e, ha dimostrazione di ciò, basti notare che nessun rappresentate della categoria degli installatori d’impianto è presente nel Comitato Nazionale Italia Digitale. Ci auguriamo che questi temi vengano trattati dalla legge dedicata alla transizione, in discussione alle camere, ma non siamo ottimisti. Il testo in discussione alle camere è più attento a regolamentare i rapporti fra i broadcaster , decidendo, per esempio le modalità per divedersi le quote pubblicitarie, piuttosto che stabilire diritti e doveri dei cittadini che sono costretti a cambiare il loro modo di guardare la televisione. Speriamo che le discussioni in aula modifichino il testo anche con la pressione delle organizzazioni sociali interessate.

Ultimo argomento da trattare , ma non ultimo per interesse è la destinazione dei fondi già previsti per la transizione, circa sessanta milioni di euro. Una buona parte vanno alle emittenti per incrementare le trasmissioni digitali. L’anno scorso ben trentatré milioni sono andati alla RAI e non si sono visti grandi miglioramenti, sul satellite ancora i programmi più importanti sono criptati, infischiandosene della neutralità tecnologica e del contratto di servizio che prevede canali Rai gratuiti e in chiaro su tutte . L’industria televisiva è la più ricca del Paese e sicuramente non avrebbe bisogno di incentivi, visto che poi sarebbe lei stessa ad ottenere i guadagni, una volta terminata la transizione.

Certamente i soldi stanziati devono servire per tutelare la popolazione, non ci riferiamo solo a chi è debole per reddito ma anche a chi è debole per affrontare un cambio di tecnologia così radicale. Deboli sono tutti quelli che abitano nei condomini e che saranno costretti, come dicevamo prima, a pagare gli aggiornamenti dei loro impianti. Deboli sono coloro che ancora non sanno cosa vuol dire trasformazione digitale. Deboli sono tutti quelli, e sono molti, che un giorno accenderanno il televisore e vedranno tutto nero, perché nessuno si è accorto di loro. Al Comitato Nazionale Italia Digitale, queste cose le abbiamo dette e anche fatte scrivere, ma dubitiamo che siano state recepite.

Abbiamo proposto una sorta di Servizio Nazionale per il Digitale che si occupi di garantire assistenza ai cittadini in tutti campi, facendo pagare chi può e assistendo gratuitamente chi non può. Il tutto dovrebbe funzionare con la collaborazione delle organizzazioni rappresentative degli installatori e dei consumatori, coordinate dal Ministero delle Comunicazioni. A dire la verità, qualcosa già si è mosso in questa direzione. Nelle aree all digital, interessate allo spegnimento in analogico di RAI 2 e Rete4 ,si sono proposti prezzi calmierati per gli interventi tecnici, si è attivato un call center, ci si è coordinati con gli enti locali per assistere le fasce sociali deboli.

Il tutto però, fino ad ora, è stato fatto con il senso della buona volontà e senza prevedere l’assistenza gratuita. Senza un supporto legislativo e cosa da non sottovalutare , senza fondi. Tutto ciò ha funzionato in Sardegna e Valle D’Aosta che sul loro territorio non hanno grossi centri metropolitani e palazzoni con centinaia di appartamenti, ma soprattutto nessuno ha sperimentato lo schermo nero, perché ancora tantissimi sono i canali trasmessi in analogico.

Ma cosa accadrà a Marzo quando tutta la tv sarà in digitale?
Cosa Accadrà in Piemonte e in metropoli come Torino? In questi territori chi governa non può e non deve fare da solo. Deve confrontarsi sistematicamente con i consumatori e con loro coordinarsi per rendere il passaggio alla tv digitale accettato e compreso dai cittadini e provocando il minor disagio possibile.

Occorre spendere i soldi e spenderli bene, soprattutto per informare, in modo capillare il maggior numero di cittadini, sia quelli delle aree “all digital” senza dimenticare quelli del resto del Paese, attraverso progetti informativi. Occorre curare l’assistenza ai cittadini utilizzando, per esempio, gli installatori in pensione, presenti nelle organizzazioni rappresentative degli artigiani, che hanno ancora professionalità e conoscenze da mettere al servizio degli altri, formando gli assistenti sociali che possono spiegare ai loro assistiti cosa fare per la transizione o andando direttamente nelle case per effettuare piccole installazioni a prezzi inferiori a quelli di mercato.
Sono necessari installatori organizzati dal Comitato Italia Digitale che possono offrire assistenza sia ai singoli che a chi vive nei palazzi, con tariffe chiare e predeterminate e gratuite, sovvenzionate dallo stato, per chi è riconosciuto non possa sostenere spese.

Il passaggio alla tv digitale non si inventa, necessita di un dibattito onesto e trasparente, completamente assente in passato. Occorre dare certezze ai cittadini attraverso leggi idonee che accelerino il passaggio al digitale, perché allungare i tempi mantenendo analogico e digitale insieme è deleterio. I cittadini cominciano ad essere danneggiati da questa lunga transizione che non permette una corretta ricezione della trasmissione televisiva, creando cittadini di serie A o di serie B in base al territorio dove vivono, che fa utilizzare parzialmente gli apparati di ricezione televisiva di ultima generazione.

Insomma in poche parole, ormai, occorre accelerare il passaggio al digitale e, per farlo, è necessario che tutti facciano un passo indietro, cercando di non pensare solo al profitto immediato ma concentrandosi al bene comune, che poi è lo scopo primario dell’innovazione. A gennaio, nel Parlamento si discuteranno due leggi importanti, quella sulla transizione e quella sulla riforma della RAI, sarà un’occasione unica di rinnovamento solo se tutti metteranno al centro della propria azione gli interessi del cittadino altrimenti faremo l’ennesimo passo indietro. Le associazioni consumatori sono pronte, come sempre, ad offrire il proprio contributo, hissà se però verrà richiesto.

Mauro Vergari
per "MauroVergari.blogsport.com"

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