Vincent Bollorè è arrivato sornione nel 'salotto buono' della finanza italiana nel lontano 2003, invitato in Mediobanca da Vincenzo Maranghi, e a braccetto di Antoine Bernheim, l'anziano presidente alsaziano delle Generali, che anni dopo messo alla porta, gliela giuro' per il voltafaccia oltraggioso. Al suo fianco, a volte come consulente, altre come consigliere di sua espressione, si è fatto apprezzare sin dalla prima ora col finanziere franco-tunisino Tarak Ben Amar, il negoziatore che nel tempo ha avvicinato a Mediaset di Silvio Berlusconi Al Waalid, Leo Kirch e persino Rupert Murdoch. Non è un caso dunque se Bollorè è sempre stato ritenuto un amico di Berlusconi.
La sua consuetudine in Francia con l'ex presidente Nicolas Sarkozy, di area politica affine, non ha fatto poi che amplificare tale idea di vicinanza. Per quasi tre lustri l'imprenditore-finanziere francese si è mosso con abilita' nelle partite finanziarie nostrane, a volte dietro le quinte, altre calando direttamente nel momento meno atteso l'asso vincente. Resta memoria di un suo solo «incidente» nella penisola quando nel 2010 tento' invano di agevolare il passaggio della Premasin dell'amico Salvatore Ligresti a Groupama, inciampando in sanzioni Consob. Chi lo conosce ne loda genio, imprevedibilita' e fiuto finanziario.
I detrattori dipingono quella lucidita' come spregiudicatezza, le partite finanziarie come 'raid' e la rete di amicizie nell'establishment e nella politica come opportunismo. Resta il fatto che in questi anni l'erede di una famiglia bretone dagli interessi anche nelle ex colonie francesi, ha saputo accrescere a dismisura il proprio impero. A volte con scalate finanziarie memorabili, altre con l'imprenditoria piu' tradizionale, ereditizia, come le piantagioni e la logistica in Africa. Col tempo ha avviato l'ascesa anche nei media, prima con la pubblicita' di Havas poi scalando l'impero francese Vivendi. Lo schema prediletto è il rastrellamento, non l'Opa. In Vivendi ha il 20%.
In Mediobanca è da oltre un decennio nel patto e da ultimo, secondo azionista con l'8%. Sfruttando la triangolazione tra Telefonica e il Brasile con tempismo e destrezza si è trovato al 24,19% di Telecom Italia. Ora getta la sfida a Mediaset di Berlusconi: la creatura televisiva del Cav, societa' icona di una storia prima imprenditoriale che politica. Piu' che un guanto di sfida è un assalto ostile, un affronto iniziato in primavera arrivando in soccorso di Mediaset su Premium, per poi rovesciare il tavolo a luglio rinnegando accordi e contratto con una battaglia legale il cui epilogo è l'inizio di scalata di oggi.