La chiamano "la raffica". Ed è una tecnica semplice. Consiste nello sparare a ripetizione i replay di uno stesso episodio ripreso da più angolazioni, nel giro di pochi secondi, proprio come farebbe una mitragliatrice. È un'invenzione di Sky. Il risultato, sul piano narrativo, è indiscutibile, descrive, suggestiona, colpisce. Su quello della comprensione effettiva, o meglio della determinazione regolamentare, però, è un po' meno efficace.
Come dimostra la storia delle immagini della manata di Adriano: le raffiche hanno crivellato il calcio italiano per ore e ore, in questi giorni, e alla fine non ci si è capito nulla, o comunque non abbastanza, come dimostra l'assoluzione del brasiliano. Sono i paradossi del calcio moderno, quello dei riflettori e delle telecamere che viaggiano a 35 all'ora lungo un filo appeso alla copertura dello stadio, quello dei bordocampisti e delle interviste al novantesimo, quello di Ronaldinho che gioca bene solo se la partita è in prime time (l'accusa è surreale ma i dati statistici parlano chiaro), quello delle mani davanti alla bocca per parlare col mister e dei cartelloni luminosi a bordo campo che se non stai attento ti spacchi contro il monitor alla fine della scivolata.
Paradossi che sono destinati ad acuirsi e a produrre effetti sempre più stravaganti nel futuro immediato, se è vero che aumenteranno i soldi sborsati dalle televisioni per aggiudicarsi il giocattolo. L'advisor della Lega Calcio, la Infront, ha garantito ai club un incasso minimo di 900 milioni di euro per i diritti tv dal 2010 al 2016. Quindi 4,6 miliardi di euro per sei anni. E con i soldi aumenteranno anche le richieste dei broadcaster, E cioé: più telecamere in campo, più presenza o, per dirla con il linguaggio in voga tra gli addetti del settore, «meno distanza tra spettatore e spettacolo».
A molti verranno i brividi ripensando all'esperimento abortito da Mediaset, "Campioni", quello in cui Ciccio Graziani guidava in diretta tv una squadra messa in piedi seguendo le logiche del Grande Fratello. Ed è forse per scongiurare questo pericolo che Marco Bogarelli presidente di Infront quasi grida quando sente parlare di Reality Calcio: «Non scherziamo, il calcio è sacro. E non sarà mai ridotto a reality», premette. Poi spiega: «Il futuro del calcio non sarà televisivo. Sarà multimediale. Il prodotto si declinerà in vari modi con l'avanzare delle tecnologie. Penso a canali dedicati, con la possibilità di avere una telecamera per un solo giocatore. Sul modello di quello che avviene oggi con le camera car per i Gran Premi di Formula 1. Si arriverà alla soglia della fantascienza, con i match trasmessi dal punto di vista soggettivo di un calciatore, come succede alla play-station». Senza dover arrivare agli eccessi della fantascienza, si potrebbe cominciare magari a spianare qualche tabù: «Penso alle telecamere negli spogliatoi. Occorre abbattere le frontiere e portare le telecamere laddove non sono mai state».
Un giudizio obiettivo non può non ammettere che, al netto dei paradossi, il dominio della tv ha fatto anche del bene, al calcio. Non solo ricoprendolo d'oro, ma raccontandolo come non era stato raccontato, awicinandolo alla gente e moltiplicandone gli eroi (oggi in Italia sono celebrati campioni stranieri come mai era accaduto). Eppure c'è ancora chi guarda all'invasione delle telecamere con diffidenza. Matarrese, ad esempio. Il presidente della Lega, ancora ieri, rabbrividiva all'idea di mettere una telecamera dentro uno spogliatoio. «Noi siamo in Italia, mica in America. Gli spogliatoi sono sacri. Ed è bene che rimangano tali. L'allenatore mentre prepara la partita non può essere disturbato, se no rischia di perdere il fìlo. E' come andare prima di una battaglia e chiedere a un comandante da che parte cercherà di cogliere di sorpresa l'avversario. Le tv si accontentino dei sottopassaggi».
Come dimostra la storia delle immagini della manata di Adriano: le raffiche hanno crivellato il calcio italiano per ore e ore, in questi giorni, e alla fine non ci si è capito nulla, o comunque non abbastanza, come dimostra l'assoluzione del brasiliano. Sono i paradossi del calcio moderno, quello dei riflettori e delle telecamere che viaggiano a 35 all'ora lungo un filo appeso alla copertura dello stadio, quello dei bordocampisti e delle interviste al novantesimo, quello di Ronaldinho che gioca bene solo se la partita è in prime time (l'accusa è surreale ma i dati statistici parlano chiaro), quello delle mani davanti alla bocca per parlare col mister e dei cartelloni luminosi a bordo campo che se non stai attento ti spacchi contro il monitor alla fine della scivolata.
Paradossi che sono destinati ad acuirsi e a produrre effetti sempre più stravaganti nel futuro immediato, se è vero che aumenteranno i soldi sborsati dalle televisioni per aggiudicarsi il giocattolo. L'advisor della Lega Calcio, la Infront, ha garantito ai club un incasso minimo di 900 milioni di euro per i diritti tv dal 2010 al 2016. Quindi 4,6 miliardi di euro per sei anni. E con i soldi aumenteranno anche le richieste dei broadcaster, E cioé: più telecamere in campo, più presenza o, per dirla con il linguaggio in voga tra gli addetti del settore, «meno distanza tra spettatore e spettacolo».
A molti verranno i brividi ripensando all'esperimento abortito da Mediaset, "Campioni", quello in cui Ciccio Graziani guidava in diretta tv una squadra messa in piedi seguendo le logiche del Grande Fratello. Ed è forse per scongiurare questo pericolo che Marco Bogarelli presidente di Infront quasi grida quando sente parlare di Reality Calcio: «Non scherziamo, il calcio è sacro. E non sarà mai ridotto a reality», premette. Poi spiega: «Il futuro del calcio non sarà televisivo. Sarà multimediale. Il prodotto si declinerà in vari modi con l'avanzare delle tecnologie. Penso a canali dedicati, con la possibilità di avere una telecamera per un solo giocatore. Sul modello di quello che avviene oggi con le camera car per i Gran Premi di Formula 1. Si arriverà alla soglia della fantascienza, con i match trasmessi dal punto di vista soggettivo di un calciatore, come succede alla play-station». Senza dover arrivare agli eccessi della fantascienza, si potrebbe cominciare magari a spianare qualche tabù: «Penso alle telecamere negli spogliatoi. Occorre abbattere le frontiere e portare le telecamere laddove non sono mai state».
Un giudizio obiettivo non può non ammettere che, al netto dei paradossi, il dominio della tv ha fatto anche del bene, al calcio. Non solo ricoprendolo d'oro, ma raccontandolo come non era stato raccontato, awicinandolo alla gente e moltiplicandone gli eroi (oggi in Italia sono celebrati campioni stranieri come mai era accaduto). Eppure c'è ancora chi guarda all'invasione delle telecamere con diffidenza. Matarrese, ad esempio. Il presidente della Lega, ancora ieri, rabbrividiva all'idea di mettere una telecamera dentro uno spogliatoio. «Noi siamo in Italia, mica in America. Gli spogliatoi sono sacri. Ed è bene che rimangano tali. L'allenatore mentre prepara la partita non può essere disturbato, se no rischia di perdere il fìlo. E' come andare prima di una battaglia e chiedere a un comandante da che parte cercherà di cogliere di sorpresa l'avversario. Le tv si accontentino dei sottopassaggi».
Marco Mensurati
per "La Repubblica"
per "La Repubblica"