«Se Provenzano e Riina in carcere si guardano in tv? Beh, spero che ripensino al percorso criminale compiuto e che sia per loro un'ulteriore punizione». Laura Toscano con Franco Marotta firma la sceneggiatura dell'«Ultimo dei Corleonesi», il tv-movie prodotto per Raifiction da Palomar e Max Gusberti, in onda domani sera su Raiuno. Una saga mafiosa, costellata di stragi, latitanze e catture clamorose, che racconta l'ascesa del clan dei Corleonesi da un piccolo centro della Sicilia rurale ai grandi affari di Palermo, fino alla caduta rovinosa.
Si parte con le immagini dell'esplosione di Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Mondilo e la scorta. Si arriva all'arresto di Bernardo Provenzano nell'aprile 2006, attraverso un itinerario che prende il via dagli scenari della Sicilia anni '50, dove ha origine la storia. Protagonisti David Coco nel ruolo di Provenzano, Stefano Dionisi è Luciano Liggio, Marcello Mazzarella interpreta Totò Riina, Franco Castellano è il procuratore antimafia Piero Grasso, con la regia di Alberto Negrin e le musiche di Ennio Morricone.
Ma è già polemica. Insorge il produttore Pietro Valsecchi che, per Mediaset, sta lavorando all'«Ultimo padrino» con Michele Placido nei panni di Provenzano, regia di Marco Risi: «La Rai ha anticipato la messa in onda per arrivare prima al traguardo. Hanno perfino cambiato il titolo quando hanno saputo il nostro: da "I Corleonesi" è diventato "L'ultimo dei Corleonesi". Anche noi avremmo potuto mettere subito in onda la nostra fiction, non l'abbiamo fatto perché il problema non è arrivare primi, ma realizzare un buon prodotto e non un "mordi e fuggi"».
Da casa Rai ribattono: «Nessun anticipo. Il film era pronto». Un film girato nei luoghi dove sono avvenuti i fatti. Spiega Negrin: «Difficile rappresentare, in un solo film, una saga che abbraccia oltre sessant'anni di storia italiana. Ma il tema centrale è "il potere". Il sottotitolo dovrebbe essere "il potere distrugge chi lo conquista": nessuno di coloro che si sono avvicendati alla guida di Cosa Nostra è riuscito a conservarlo». Sottolinea il produttore Carlo Degli Esposti: «È un'epopea tragica dei "cattivi", visti da chi li ha sconfitti».
Tra gli attori, il più avvantaggiato è Coco, siciliano di Acireale: «Per il dialetto, ma anche perché le vicende raccontate le ho vissute: ero adolescente, quando negli anni '80 scoppiò la guerra di mafia e, per sapere ciò che stava accadendo, non avevo bisogno di sentire il tg». Qualche difficoltà per il romano Dionisi: «Ho dovuto imparare il siciliano. Ma lo sforzo maggiore è stato entrare nella psicologia di un uomo che ha ucciso non so quanta gente». Aggiunge Mazzarella: «Non siamo cloni. L'importante è tirar fuori la verità psicologica dei personaggi». Ma c'è un rischio. Ammette il regista: «Di farne un'esaltazione involontaria, perché da certi personaggi si finisce per esserne in qualche modo affascinati. Noi non li abbiamo giudicati, ma raccontati: senza odio, ma anche senza indulgenza».
Emilia Costantini
per "Il Corriere della Sera"