D'accordo, gli ascolti non sono certo esaltanti, ma se si dovessero giudicare i programmi di La7 dallo share non se ne salverebbe quasi nessuno.
Tuttavia, tra le tante trasmissioni che le tv piccole e grandi dedicano al calcio parlato, uno spaÂzio più che dignitoso l'ha conquistato Le partite non finiscono mai (lunedì, ore 23,15).
Niente di rivoluzioÂnario, perché non deve essere facile rinunciare comÂpletamente al solito modo di intendere il bar sport: gettare l'osso della polemica in mezzo a un'orda di opinionisti-tifosi per poi vedere - come direbbe Jannacci - l'effetto che fa (e che è sempre uguale, impronÂtato al caos primordiale di antico stampo biscardiano).
Però la trasmissione inventata da Darwin Pastorin tenta perlomeno qualche percorso laterale, qualÂche direttrice non scontata.
Come nell'ultima puntaÂta, quando ha messo a confronto il mondo del calcio con quello del rugby, e un campione strafamoso e pagato come Gigi Buffon (ospite fisso ogni settimana) con la nostra nazionale di palla ovale dove il più fortuÂnato guadagna intorno ai 35rnila euro l'anno a fronte di allenamenti più duri e ,con l'unico vantaggio di potersi permettere pasti alÂl'insegna del «tutto dopÂpio»: doppia pastasciutta, doppia bistecca, e così via.
Altra differenza, origine di qualche divertita punzecÂchiatura in studio: chi gioÂca a rugby sa, ovviamente, quanti giocatori scendono in campo in una partita di calcio, mentre Buffon (e con lui, forse, la maggior parte dei calciatori) non sa quanti giocatori formano una squadra di rugby.
Tra i pochi a saperlo c'è senz'altro Gennaro Gattuso, calÂciatore con l'anima del rugbista, uno di quelli capaci di dare anche una spiegazione autocritica al perché il calcio risenta di un clima sovraeccitato che altri sport come il rugby non conoscono: «à anche colpa di noi giocatori, che dovremmo dare per primi il buon esempio».
Le partite non finiscono mai tenta il non facile compromesso tra l'esigenza di non rinunciare alla vivacizzazione polemica, affidata alle punzecÂchiature di Aldo Agroppi e a qualche puntura di spilÂlo di Zibi Boniek e Carolina Morace, e la ricerca di un atteggiamento dialettico più articolato e meno emotiÂvo al fenomeno calcistico.
Un discorso a parte merita Darwin Pastorin, che si è via via defilato dal ruolo di conduttore per lasciare il timone della trasmissione all'ottima Cristina Fantoni.
Non è chiaro se il passagÂgio di consegne sia stato consensuale, o frutto di una più naturale predisposizione della Fantoni a condurÂre il programma con il giusto piglio.
Fatto sta che è la prima volta che, in un mondo sostanzialmente maÂschilista a cominciare dall'ambiente calcistico, le geÂrarchle della conduzione si sono presto rovesciate a vantaggio di una donna.
Tuttavia, tra le tante trasmissioni che le tv piccole e grandi dedicano al calcio parlato, uno spaÂzio più che dignitoso l'ha conquistato Le partite non finiscono mai (lunedì, ore 23,15).
Niente di rivoluzioÂnario, perché non deve essere facile rinunciare comÂpletamente al solito modo di intendere il bar sport: gettare l'osso della polemica in mezzo a un'orda di opinionisti-tifosi per poi vedere - come direbbe Jannacci - l'effetto che fa (e che è sempre uguale, impronÂtato al caos primordiale di antico stampo biscardiano).
Però la trasmissione inventata da Darwin Pastorin tenta perlomeno qualche percorso laterale, qualÂche direttrice non scontata.
Come nell'ultima puntaÂta, quando ha messo a confronto il mondo del calcio con quello del rugby, e un campione strafamoso e pagato come Gigi Buffon (ospite fisso ogni settimana) con la nostra nazionale di palla ovale dove il più fortuÂnato guadagna intorno ai 35rnila euro l'anno a fronte di allenamenti più duri e ,con l'unico vantaggio di potersi permettere pasti alÂl'insegna del «tutto dopÂpio»: doppia pastasciutta, doppia bistecca, e così via.
Altra differenza, origine di qualche divertita punzecÂchiatura in studio: chi gioÂca a rugby sa, ovviamente, quanti giocatori scendono in campo in una partita di calcio, mentre Buffon (e con lui, forse, la maggior parte dei calciatori) non sa quanti giocatori formano una squadra di rugby.
Tra i pochi a saperlo c'è senz'altro Gennaro Gattuso, calÂciatore con l'anima del rugbista, uno di quelli capaci di dare anche una spiegazione autocritica al perché il calcio risenta di un clima sovraeccitato che altri sport come il rugby non conoscono: «à anche colpa di noi giocatori, che dovremmo dare per primi il buon esempio».
Le partite non finiscono mai tenta il non facile compromesso tra l'esigenza di non rinunciare alla vivacizzazione polemica, affidata alle punzecÂchiature di Aldo Agroppi e a qualche puntura di spilÂlo di Zibi Boniek e Carolina Morace, e la ricerca di un atteggiamento dialettico più articolato e meno emotiÂvo al fenomeno calcistico.
Un discorso a parte merita Darwin Pastorin, che si è via via defilato dal ruolo di conduttore per lasciare il timone della trasmissione all'ottima Cristina Fantoni.
Non è chiaro se il passagÂgio di consegne sia stato consensuale, o frutto di una più naturale predisposizione della Fantoni a condurÂre il programma con il giusto piglio.
Fatto sta che è la prima volta che, in un mondo sostanzialmente maÂschilista a cominciare dall'ambiente calcistico, le geÂrarchle della conduzione si sono presto rovesciate a vantaggio di una donna.
Roberto Levi
per "Il Giornale"
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