La Rai è davvero un'azienda unica. Non ce ne è un'altra. Per dimensioni (parliamo di tv pubbliche) è seconda solo alla Bbc, ma per caratteristiche non la batte nessuno.
Lo sanno bene i suoi undicimila dipendenti (e gli altrettanti collaboratori) abituati a stabilire record continui di pessimismo: in questi giorni sono alle prese con quello che viene nuovamente definito "il periodo più buio della sua storia" (per la Rai non è il primo, non sarà l'ultimo).
Chi l'avrebbe detto che si sarebbe arrivati a rimpiangere i giorni in cui, erano i tempi di Cattaneo, gli studi vennero dotati di un geniale contatore di immagini: sotto un certo tetto, via la telecamera dallo studio. Ora potrebbe essere una buona idea mettere un contatore per misurare l'attività degli studi. O, meglio, per misurare le ore di produzione appaltate all'esterno.
Non è semplice curiosità sapere, per esempio, che al Centro di produzione di Napoli si sta praticamente con le mani in mano o che lo storico Teatro delle Vittorie a Roma, è stato restaurato ed è inutilizzato.
Non è curiosità , perché la domanda che gira nei corridoi è sicuramente angosciosa: «Che fine faremo?». La paura è che la montagna incantata chiamata Rai possa franare a forza di delegare scelte alla politica e a ignorare le professionalità . «Bisogna riscoprire una via italiana per l'orgoglio aziendale» invita un veterano come Pippo Baudo, unendosi al grido di dolore lanciato da Renzo Arbore.
E, quel grido, viene raccolto , da volti noti e anonimi della tv pubblica: minacciano lo sciopero totale e chiedono che gli anchormen Santoro, Floris, Vespa ne parlino nelle loro trasmissioni.
«L'azienda non è tutta da buttare, ma la sfiducia fa apparire tutto più brutto» rivendica Baudo, decisamente più accomodante di Arbore che, contro quello che chiama «il dilagare di protagonisti squinzi nella tv» invoca ironicamente l'uso dello squinziometro, una sorta di Auditel del peggio.
Il bersaglio dell'indignazione è sì la politica, ma soprattutto lo stato di abbandono, di passività . I vertici a lambiccarsi sui giri di poltrone, a veder passare sui tavoli progetti e proposte, i dipendenti ad aspettare, a sperare. L'aria è divisa fra l'ebbrezza della vacanza e quel limbo che si crea quando si aspetta lo scompiglio prossimo venturo.
Eppure, miracolosamente, la Rai continua a conservare il primato degli ascolti, sia pure in discesa e col contributo dei flop Mediaset.
In questi giorni, fra le sventure della Ventura, quelle di Funari, i Vot'Antonio e polemiche varie, si è, comunque, pensato all'incombente prossima stagione. Con l'ingombrante carico della Endemol diventata azienda della concorrenza. Fra un mese a Cannes, il 23 giugno, i pubblicitari sono convocati per conoscere i nuovi palinsesti. Che fare?
Tanto per cominciare si è affidata la Lotteria Italia proprio a un format Endemol, Il treno dei desideri, togliendolo a Ballando sotto le stelle di Ballandi che, in ogni caso, sarà in pista.
Il prime-time di Raiuno, comunque, è in cassaforte: assicurato quanto ad Auditel dai pacchi di Affari tuoi (sempre Endemol).
Impensabile rinunciarci. Al massimo si proverà , quest'estate, a testare un format per il preserale (ricambio per l'Eredità ) dal titolo Reazioni a catena: comprato dalla Sony verrà realizzato da autori Rai e la consulenza Magnolia per i concorrenti (la Rai non possiede una banca dati per il loro reclutamento).
Ma una tendenza a ribaltare le carte in tavola c'è. Per esempio, Fenomeni con l'inedita coppia Baudo-Insinna. O il reclutamento di Benigni (deve dire sì).
Però l'invenzione, sperando che si riesca a realizzare, più cospicua per Raiuno e Raidue (che, si presenta al futuro con l'Isola dei famosi e un nuovo format, Scorie, che ricicla la vecchia idea arboriana di Tagli, ritaglie frattaglie), è quella di mettere insieme una specie di comitato d'autori (5 a rete), da mettere a disposizione dei direttori, proprio per studiare ipotesi di nuovi programmi: ci riusciranno i nostri eroi?
Marco Moledini
per "Il Messaggero"