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L'etere trova la sua mappa

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Fonte: Il Sole 24 Ore

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Digitale Terrestre
  martedì, 05 giugno 2007
L’etere radiotelevisivo italiano ha, per la prima volta, il proprio "cata­sto". È un risultato in qualche modo storico quello che hanno presentato ieri il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, e il presidente dell'Autorità per le co­municazioni, Corrado Calabro.

Un anno fa, infatti, l'Autorità non aveva praticamente nulla mentre il Ministero aveva i faldoni cartacei dell'unico censimento, risalente al 1990, ai tempi del Far-West post-legge Mammì, a parte qualche aggiornamento cartaceo dagli Ispettorati locali.
La svolta

Dal nuovo database elettroni­co emerge che in Italia, «ci sono — ha spiegato Gentiloni — 629 emittente televisive, 10 multiplex (reti digitali, ndr) e quasi 24.700 impianti-frequenza (24380 se­condo il presidente dell'Agcom, ndr.)».

Co­me dire, una situazione senza alcun metro di paragone con il resto d'Europa, con fre­quenze mai assegnate e un'etere mai piani­ficato.

Dalla mappa ottenuta incrociando i dati contenuti in due archivi, il Registro Na­zionale delle frequenze del Ministero e il Registro degli Operatori di comunicazione (Roc) dell'Autorità per le comunicazioni, emerge solo in parte la disparità esistente attualmente nell'etere nazionale.

Questo perché, in attesa delle verifiche sul campo, che saranno effettuate nei prossimi mesi, non sono stati forniti dati sulla copertura delle emittenti, in particolare di quelle na­zionali. L'unico grafico diffuso, relativo a La 7, mostra diverse zone di "sofferenza" nella ricezione.

Si tratta, tuttavia, di simu­lazioni effettuate al computer rispetto all'allineamento dei due archivi — i cui da­ti sono risultati coerenti nell'88% dei casi e nel 97% in quelli di impianti superiori ai 250 watt — che riportano il più delle volte le autodichiarazioni degli operatori.

Le verifiche sul campo porrebbero o con­fermare le zone di "sofferenza" o scoprire che la simulazione è inesatta, magari per­ché qualche operatore locale ha dichiarato un impianto che, magari, non è più in eserci­zio o che ha ceduto nel trading a qualche tv nazionale. «E l'inizio di una svolta—sotto­linea Gentiloni — il censimento delle frequenze permetterà all'Italia di allinearsi con le decisioni internazionali di Ginevra sull'uso dello spettro, di gestire le frequen­ze nella fase di transizione al digitale e d'identificare situazioni di congestione o sottoutilizzazione».

In particolare, il data­base, continuamente aggiornato, costitui­rà il presupposto di qualsiasi intervento di legge sul versante delle frequenze.

"Piano" con il Piano. «E un passaggio decisivo — ha sottolineato Calabro — per superare lo stato di "sospetto", basato sugli accordi tra privati sulla gestione delle fre­quenze, che sono patrimonio della collettivita e untene scarso dello Stato. Che andrà riassegnato ai privati dopo una pianificazio­ne delle risorse».

Sui tempi di approvazio­ne del nuovo Piano, che l'Autorità dovrà rie­laborare sulla base delle conclusioni della conferenza internazionale di Ginevra di un anno fa, si è verificato uno "scostamento" tra Calabro e Gentiloni.

Il presidente dell'Agcom, infatti, prevede verifiche sul database protratte alla fine dell'anno, per poi partire «con l'elaborazione del nuovo Piano di assegnazione digitale».

Anche se non esiste un passaggio automatico tra veri­fiche e Piano. Quest'ultimo, anzi, deve pun­tare all'ottimizzazione "ideale" delle risor­se, per poi fare i conti con la situazione di fatto, senza adeguarvisi.

Nelle conclusioni, il ministro delle Comunicazioni ha chiesto a Calabro di «dimezzare i tempi, visto che siamo all'inizio di giugno».

Il problema di Gentiloni è il "passaggio al digitale", previ­sto in Sardegna nel marzo 2008: il Piano — magari anche in versione sperimentale per l'isola — deve essere pronto prima di quel­la data, altrimenti destinata inevitabilmen­te a slittare in avanti.

Rai, Mediaset e le tv locali chiedono, al contrario, di abbreviare i tempi. Calabro annuncia per luglio la gara per assegnare il 40% della capacità trasmis­siva digitale a editori «indipendenti».
Rai, poco digitale.

Quanto ai primi risul­tati del database, si conferma quanto la Rai sia indietro con la digitalizzazione degli im­pianti.

C'è da chiedersi se davvero, quando l'Autorità effettuò la verifica richiesta dal decreto del Governo Berlusconi sulla co­pertura dei multiplex, la Rai, all'inizio del 2004, avesse quella, dichiarata, pari al 50% della popolazione.

C'è anche da chiedersi come, senza alcun database, l'Agcom abbia potuto verificare tale dichiarazione. Due anni e mezzo più tardi, in ogni caso, la Rai ha digitalizzato 143 impianti rispetto ai 975 di Mediaset.

Più avanti del servizio pubbli­co sono anche Telecom Italia Media, Pri­ma Tv (di Tarak Ben Ammar), H3G con la sua rete di tv mobile in standard Dvb-h.

Questo, nonostante sull'analogico la Rai ab­bia un numero di impianti decisamente su­periore agli altri operatori: 5.871 rispetto ai 4.523 di Mediaset.

Qui si rivela l'assetto duopolistico del sistema, nella copertura della popolazione nazionale effettuata solo dalle tre reti di Rai e Mediaset rispetto alle altre tv. Il terzo operatore, Telecom Italia Me­dia, infatti, ha solo 1.115 frequenze. Rete A (l'Espresso) solo 196.

Qualche verifica tra quanto risulta al Database e la situazione reale, per la veri­tà, è stata compiuta, anche se manca dell'ufficialità. La coincidenza — chi tra­smette da quell'impianto su quella deter­minata frequenze in quel bacino di uten­za — vi sarebbe nel 94% dei casi.

Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore"

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