Lâetere radiotelevisivo italiano ha, per la prima volta, il proprio "cataÂsto". à un risultato in qualche modo storico quello che hanno presentato ieri il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, e il presidente dell'Autorità per le coÂmunicazioni, Corrado Calabro.
Un anno fa, infatti, l'Autorità non aveva praticamente nulla mentre il Ministero aveva i faldoni cartacei dell'unico censimento, risalente al 1990, ai tempi del Far-West post-legge Mammì, a parte qualche aggiornamento cartaceo dagli Ispettorati locali.
Un anno fa, infatti, l'Autorità non aveva praticamente nulla mentre il Ministero aveva i faldoni cartacei dell'unico censimento, risalente al 1990, ai tempi del Far-West post-legge Mammì, a parte qualche aggiornamento cartaceo dagli Ispettorati locali.
La svolta
Dal nuovo database elettroniÂco emerge che in Italia, «ci sono â ha spiegato Gentiloni â 629 emittente televisive, 10 multiplex (reti digitali, ndr) e quasi 24.700 impianti-frequenza (24380 seÂcondo il presidente dell'Agcom, ndr.)».
CoÂme dire, una situazione senza alcun metro di paragone con il resto d'Europa, con freÂquenze mai assegnate e un'etere mai pianiÂficato.
Dalla mappa ottenuta incrociando i dati contenuti in due archivi, il Registro NaÂzionale delle frequenze del Ministero e il Registro degli Operatori di comunicazione (Roc) dell'Autorità per le comunicazioni, emerge solo in parte la disparità esistente attualmente nell'etere nazionale.
Questo perché, in attesa delle verifiche sul campo, che saranno effettuate nei prossimi mesi, non sono stati forniti dati sulla copertura delle emittenti, in particolare di quelle naÂzionali. L'unico grafico diffuso, relativo a La 7, mostra diverse zone di "sofferenza" nella ricezione.
Si tratta, tuttavia, di simuÂlazioni effettuate al computer rispetto all'allineamento dei due archivi â i cui daÂti sono risultati coerenti nell'88% dei casi e nel 97% in quelli di impianti superiori ai 250 watt â che riportano il più delle volte le autodichiarazioni degli operatori.
Dal nuovo database elettroniÂco emerge che in Italia, «ci sono â ha spiegato Gentiloni â 629 emittente televisive, 10 multiplex (reti digitali, ndr) e quasi 24.700 impianti-frequenza (24380 seÂcondo il presidente dell'Agcom, ndr.)».
CoÂme dire, una situazione senza alcun metro di paragone con il resto d'Europa, con freÂquenze mai assegnate e un'etere mai pianiÂficato.
Dalla mappa ottenuta incrociando i dati contenuti in due archivi, il Registro NaÂzionale delle frequenze del Ministero e il Registro degli Operatori di comunicazione (Roc) dell'Autorità per le comunicazioni, emerge solo in parte la disparità esistente attualmente nell'etere nazionale.
Questo perché, in attesa delle verifiche sul campo, che saranno effettuate nei prossimi mesi, non sono stati forniti dati sulla copertura delle emittenti, in particolare di quelle naÂzionali. L'unico grafico diffuso, relativo a La 7, mostra diverse zone di "sofferenza" nella ricezione.
Si tratta, tuttavia, di simuÂlazioni effettuate al computer rispetto all'allineamento dei due archivi â i cui daÂti sono risultati coerenti nell'88% dei casi e nel 97% in quelli di impianti superiori ai 250 watt â che riportano il più delle volte le autodichiarazioni degli operatori.
Le verifiche sul campo porrebbero o conÂfermare le zone di "sofferenza" o scoprire che la simulazione è inesatta, magari perÂché qualche operatore locale ha dichiarato un impianto che, magari, non è più in eserciÂzio o che ha ceduto nel trading a qualche tv nazionale. «E l'inizio di una svoltaâsottoÂlinea Gentiloni â il censimento delle frequenze permetterà all'Italia di allinearsi con le decisioni internazionali di Ginevra sull'uso dello spettro, di gestire le frequenÂze nella fase di transizione al digitale e d'identificare situazioni di congestione o sottoutilizzazione».
In particolare, il dataÂbase, continuamente aggiornato, costituiÂrà il presupposto di qualsiasi intervento di legge sul versante delle frequenze.
"Piano" con il Piano. «E un passaggio decisivo â ha sottolineato Calabro â per superare lo stato di "sospetto", basato sugli accordi tra privati sulla gestione delle freÂquenze, che sono patrimonio della collettivita e untene scarso dello Stato. Che andrà riassegnato ai privati dopo una pianificazioÂne delle risorse».
Sui tempi di approvazioÂne del nuovo Piano, che l'Autorità dovrà rieÂlaborare sulla base delle conclusioni della conferenza internazionale di Ginevra di un anno fa, si è verificato uno "scostamento" tra Calabro e Gentiloni.
Il presidente dell'Agcom, infatti, prevede verifiche sul database protratte alla fine dell'anno, per poi partire «con l'elaborazione del nuovo Piano di assegnazione digitale».
Anche se non esiste un passaggio automatico tra veriÂfiche e Piano. Quest'ultimo, anzi, deve punÂtare all'ottimizzazione "ideale" delle risorÂse, per poi fare i conti con la situazione di fatto, senza adeguarvisi.
Nelle conclusioni, il ministro delle Comunicazioni ha chiesto a Calabro di «dimezzare i tempi, visto che siamo all'inizio di giugno».
Il problema di Gentiloni è il "passaggio al digitale", previÂsto in Sardegna nel marzo 2008: il Piano â magari anche in versione sperimentale per l'isola â deve essere pronto prima di quelÂla data, altrimenti destinata inevitabilmenÂte a slittare in avanti.
Rai, Mediaset e le tv locali chiedono, al contrario, di abbreviare i tempi. Calabro annuncia per luglio la gara per assegnare il 40% della capacità trasmisÂsiva digitale a editori «indipendenti».
Rai, poco digitale.
Quanto ai primi risulÂtati del database, si conferma quanto la Rai sia indietro con la digitalizzazione degli imÂpianti.
C'è da chiedersi se davvero, quando l'Autorità effettuò la verifica richiesta dal decreto del Governo Berlusconi sulla coÂpertura dei multiplex, la Rai, all'inizio del 2004, avesse quella, dichiarata, pari al 50% della popolazione.
C'è anche da chiedersi come, senza alcun database, l'Agcom abbia potuto verificare tale dichiarazione. Due anni e mezzo più tardi, in ogni caso, la Rai ha digitalizzato 143 impianti rispetto ai 975 di Mediaset.
Più avanti del servizio pubbliÂco sono anche Telecom Italia Media, PriÂma Tv (di Tarak Ben Ammar), H3G con la sua rete di tv mobile in standard Dvb-h.
Questo, nonostante sull'analogico la Rai abÂbia un numero di impianti decisamente suÂperiore agli altri operatori: 5.871 rispetto ai 4.523 di Mediaset.
Qui si rivela l'assetto duopolistico del sistema, nella copertura della popolazione nazionale effettuata solo dalle tre reti di Rai e Mediaset rispetto alle altre tv. Il terzo operatore, Telecom Italia MeÂdia, infatti, ha solo 1.115 frequenze. Rete A (l'Espresso) solo 196.
Quanto ai primi risulÂtati del database, si conferma quanto la Rai sia indietro con la digitalizzazione degli imÂpianti.
C'è da chiedersi se davvero, quando l'Autorità effettuò la verifica richiesta dal decreto del Governo Berlusconi sulla coÂpertura dei multiplex, la Rai, all'inizio del 2004, avesse quella, dichiarata, pari al 50% della popolazione.
C'è anche da chiedersi come, senza alcun database, l'Agcom abbia potuto verificare tale dichiarazione. Due anni e mezzo più tardi, in ogni caso, la Rai ha digitalizzato 143 impianti rispetto ai 975 di Mediaset.
Più avanti del servizio pubbliÂco sono anche Telecom Italia Media, PriÂma Tv (di Tarak Ben Ammar), H3G con la sua rete di tv mobile in standard Dvb-h.
Questo, nonostante sull'analogico la Rai abÂbia un numero di impianti decisamente suÂperiore agli altri operatori: 5.871 rispetto ai 4.523 di Mediaset.
Qui si rivela l'assetto duopolistico del sistema, nella copertura della popolazione nazionale effettuata solo dalle tre reti di Rai e Mediaset rispetto alle altre tv. Il terzo operatore, Telecom Italia MeÂdia, infatti, ha solo 1.115 frequenze. Rete A (l'Espresso) solo 196.
Qualche verifica tra quanto risulta al Database e la situazione reale, per la veriÂtà , è stata compiuta, anche se manca dell'ufficialità . La coincidenza â chi traÂsmette da quell'impianto su quella deterÂminata frequenze in quel bacino di utenÂza â vi sarebbe nel 94% dei casi.
Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore"