Il sistema italiano anti-pirateria Piracy Shield, acclamato in patria per la sua rapidità ed efficacia nel contrastare lo streaming illegale, è giunto all'attenzione di Bruxelles, ma le notizie non sono interamente positive. La Commissione Europea (CE), pur lodando gli sforzi dell'Italia nella lotta contro la pirateria online, ha espresso significative perplessità sulla piena conformità della piattaforma al Digital Services Act (DSA) e sulla sua potenziale violazione di diritti fondamentali, come la libertà di espressione.
Cos'è Piracy Shield e il suo impatto
Introdotto nel 2023 e gestito dall'AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), Piracy Shield è una piattaforma progettata per bloccare rapidamente l'accesso a contenuti pirata, in particolare eventi sportivi in diretta, considerati "sensibili al tempo". La sua normativa permette il blocco di un sito entro soli 30 minuti dalla segnalazione di violazione. L'obiettivo primario è tutelare i diritti d'autore e arginare un fenomeno criminale che nel 2024 ha causato all'economia italiana danni stimati in circa 2 miliardi di euro, di cui 350 milioni solo per lo sport in diretta. La Commissione Europea ha riconosciuto l'importanza di tali sforzi, in linea con la Raccomandazione 2023/1018 sulla lotta alla pirateria online. L'Italia, inoltre, ha esteso l'applicazione di Piracy Shield anche ad altri contenuti "sensibili al tempo" come prime visioni di film e programmi di intrattenimento, andando oltre le raccomandazioni UE.
Le pesanti obiezioni di Bruxelles e delle associazioni
Le preoccupazioni europee non sono una novità. Già a inizio 2025, la Computer & Communications Industry Association (CCIA), una no-profit internazionale che rappresenta colossi come Apple, Amazon e Google, aveva sollevato diverse criticità in una lettera firmata anche dalla parlamentare europea Mathilde Adjutor e da Claudia Canelles Quaroni (CCIA). Queste osservazioni hanno in parte informato la posizione della Commissione Europea, formalizzata in una lettera al Ministro degli Esteri Antonio Tajani il 13 giugno 2025, firmata dal Direttore Generale Roberto Viola. Anche l'Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) ha espresso soddisfazione per i rilievi della CE, che riprendono puntualmente le criticità già sollevate dalla stessa AIIP.
Le principali obiezioni si possono riassumere in diversi punti chiave:
- Mancanza di base giuridica nel DSA e conformità agli articoli italiani: La Commissione ha evidenziato che il Digital Services Act non fornisce una base giuridica per l'emissione di ordini di blocco da parte di autorità amministrative o giudiziarie nazionali, né ne disciplina l'esecuzione. Gli articoli 8, 8-bis, 9-bis e 10 del progetto normativo italiano, che regolano gli ordini di intervento contro i contenuti illegali, non rispettano pienamente i requisiti procedurali e linguistici previsti dall'Articolo 9 del DSA. La CCIA aveva inoltre sottolineato la mancata comunicazione del sistema tramite lo strumento UE "Tris (Technical Regulation Information System)", fondamentale per prevenire la frammentazione del mercato unico.
- Compromissione dei diritti fondamentali: Il sistema, secondo la CE e le associazioni, non tiene adeguatamente conto del diritto fondamentale alla libertà di espressione e informazione, sancito dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. Il blocco a livello di DNS o indirizzo IP viene definito dalla CCIA "rozzo" e "grezzo", con il rischio di colpire contenuti leciti. Un esempio citato dalla CCIA è stato il "down" di Google Drive, la cui responsabilità era stata additata a Dazn da AGCOM, come dimostrazione di incapacità di distinguere tra contenuti leciti e non leciti. Inoltre, l'inclusione di VPN e DNS pubblici nel perimetro dei blocchi è vista come una minaccia a strumenti essenziali per la libertà d'espressione e la privacy online.
- Mancanza di proporzionalità e tutele procedurali insufficienti: Sebbene il blocco avvenga rapidamente (30 minuti), i tempi per il ricorso sono considerati troppo lunghi e sbilanciati. L'utente ha cinque giorni per presentare reclamo, mentre l'Autorità ha dieci giorni per valutarlo, e nel frattempo il blocco resta attivo. La CE e l'AIIP ritengono che ciò non offra sufficienti garanzie contro blocchi errati o sproporzionati. La possibilità di sblocco entro 24 ore in caso di errore è giudicata insufficiente dalla Commissione, che non vede "giustificazione per questo limite" e teme che possa comportare "il mantenimento ingiustificato di blocchi erronei". L'AIIP aveva proposto che i reclami potessero essere presentati in qualsiasi momento finché i blocchi sono attivi, con pieno accesso agli atti per verificarne la legittimità.
- Trasparenza e responsabilità dei segnalatori ("flagger"): La CE ha invitato l'Italia a formalizzare l'obbligo per chi ordina il blocco di allegare una relazione tecnica che giustifichi l'intervento e l'obbligo per i "flagger" di agire con la "massima diligenza nella raccolta delle prove" e di consultare preventivamente AGCOM in caso di dubbi. L'AIIP aveva proposto sanzioni per i segnalatori inattendibili e la loro esclusione dalla piattaforma, in linea con l'Articolo 22 del DSA.
- Concentrazione delle responsabilità sugli intermediari: La Commissione ha ribadito che la lotta alla pirateria non deve ricadere "esclusivamente sulle responsabilità dei fornitori di servizi di intermediazione online". È necessaria una condivisione equilibrata con tutti gli attori dell'ecosistema digitale, inclusi motori di ricerca, Content Delivery Network (CDN) e marketplace. L'AIIP ha criticato il trasferimento dei costi di enforcement sui soli Internet Service Provider (i cosiddetti "mere conduit"), ritenendolo iniquo e potenzialmente lesivo dell'efficacia delle misure.
- Conflitto di interessi e procedura accelerata: La CCIA ha sollevato dubbi su un presunto conflitto di interessi relativo alla Lega Serie A, uno dei principali beneficiari di Piracy Shield, e sulla mancanza di una supervisione imparziale. L'introduzione dello strumento tramite una "procedura accelerata" attraverso il decreto Omnibus ha anch'essa generato perplessità. Il sistema, infine, striderebbe anche con il Regolamento sull'Internet Aperto (Regolamento UE 2015/2120), intaccando il principio di neutralità della Rete, poiché il blocco avviene senza passare da alcuna autorità giudiziaria o amministrativa indipendente.
La posizione di AGCOM e i prossimi passi
Di fronte a queste osservazioni, il commissario AGCOM Massimiliano Capitanio ha minimizzato i rilievi europei, affermando che "Da una prima lettura sembrano rilievi già affrontati e risolti nelle precedenti consultazioni e recepite nel primo regolamento". Ha aggiunto che gli uffici si occuperanno di recepire questi "nuovi appunti" nel documento finale, ritenendo che non vi sia "nulla di particolarmente ostativo" e che l'Italia rimanga "all'avanguardia nel mondo nella lotta alle mafie del pezzotto e dello streaming illegale".
L'Italia è ora chiamata a includere i suggerimenti della Commissione Europea nel testo definitivo delle modifiche per adeguarsi alle normative europee. Il testo finale dovrà essere notificato a Bruxelles dopo l'approvazione, dimostrando di aver recepito i rilievi e garantendo che Piracy Shield non si trasformi in uno strumento sproporzionato che mina la libertà di espressione e informazione. Il periodo è di "lavori in corso" per Piracy Shield, con l'imminente estensione dei blocchi ai servizi di film e serie TV.
In conclusione, sebbene l'Europa riconosca gli importanti sforzi italiani contro la pirateria, il nodo centrale delle obiezioni rimane il delicato equilibrio tra la tutela del diritto d'autore e la salvaguardia dei diritti fondamentali, della proporzionalità delle misure e della trasparenza. La sfida per l'Italia sarà ora integrare queste richieste per assicurare che Piracy Shield operi in piena conformità con il quadro normativo europeo.