Niente panico: al massimo il piccolo schermo imploderà. Il peggio che può succedere, aspettando che cambi qualcosa, è che la televisione italiana muoia d´inedia. Salve a tutti, è il vostro telecomando a parlarvi: sì, quell´oggetto che doveva essere il grimaldello del futuro, lo strumento che vi avrebbe dovuto condurre verso mondi meravigliosissimi, e che invece è qui a piangere miseria, reso isterico da quel vostro saltellare senza posa da un canale all´altro, da un faccione truccato all´altro, da un reality ad un sedicente talk-show politico, dalle gommose piazze di plastica per gli anziani della programmazione mattutina ai barbosi tg della sera, passando per le cosce delle sgallettate del pomeriggio.
Dal punto di vista del vostro telecomando, è stato un anno noioso e terribile: nonostante i segnali di crisi in cui verserebbe il reality show (niente più entusiasmi per l´Isola dei famosi, tracollo degli improbabili cowboy italioti di Wild West, sfinimento anche del più coriaceo spettatore di fronte a Reality Circus, appena appena qualche sfrucuglìo ormonale dinnanzi a La Pupa e il Secchione), con un ripiegamento di marca democristiana sull´italica fiction (Capri tutta «passione pro loco & mozzarì», o le segrete emozioni proto-complottarde dinnanzi a Papa Luciani il sorriso di Dio, i sani polizieschi d´autore di Crimini, per il resto quasi solo immagini e mondi strapaesani), nonostante il ritorno di Michele Santoro con l´aggiunta di Rula Jebreal e Beatrice Borromeo, nonostante l´exploit beffardo del Dr. House, pur con tutta la buona volontàdi Fiorello e dei suoi blitz sul primo canale, il 2006 passeràalla storia come l´anno di una inutile transizione, l´anno del più soporifero immobilismo.
Per capire quanto sia malata la tv, basta pensare che la cosa più rivoluzionaria che ci sia dato immaginare per il 2007 è che un venerando signore di 86 anni, Enzo Biagi, torni a farsi vedere con le sue inchieste dopo cinque anni di epurazione (su Rai3, a partire da marzo). Oppure che nel 2006 l´unico brivido ci sia stato assicurato dagli strali vaticani nei confronti della satira di Luciana Littizzetto, Maurizio Crozza e Fiorello, colpevoli di aver garbatamente ironizzato sul Papa e sul suo segretario personale (con un duplice risultato, peraltro: molta pubblicitàai satirici, ribadita su tutti i canali svariate volte, e molte riflessioni su cosa sia rimasto, in Italia, del concetto di libertàdi espressione). Per capire quanto sia malata la tv, basta ricordare che tutti i coinvolti di Vallettopoli sono stati riciclati come icone dello spettacolo nei programmi Mediaset, da Elisabetta Gregoraci a Cristiano Malgoglio, quasi un´orgogliosa affermazione di cosa esprima oggi valore nell´Italia catodica.
La tv oggi è due volte in ostaggio: oltreché dell´incerta situazione politica, della tenaglia diabolica rappresentata da una parte dalle societàdi produzione di format, dall´altra dai superagenti di star alla Lele Mora e Lucio Presta, che fanno e disfano sia a casa Rai che a casa Mediaset, disegnando de facto i palinsesti, i programmi, i volti, il carico pubblicitario. Ecco perché abbiamo visto, in questo depresso 2006, sempre le stesse facce, le stesse trasmissioni, perfino gli stessi «sottopancia» (le scritte che scorrono nella parte bassa del vostro teleschermo).
Né, per ora, pare siano all´orizzonte grandi nuovi brividi, a parte un Fabio Fazio che forse traslocheràarmi e bagagli su Rai1, insieme a Luciana Littizzetto, per contrastare con intelligenza lo strapotere di Striscia la notizia su Canale 5 al posto di Affari Tuoi (facendo saltare, peraltro, equilibri politici antichi con un Fabrizio Del Noce disposto alla macumba piuttosto che vedersi Che tempo che fa sulla propria rete). E nemmeno si scorgono strepitose invenzioni futuribili, programmi dalla concezione inusitata, sceneggiati su Voltaire invece che su Papi, santi o regine. O magari, chissà, un decente programma di cinema, un qualche spazio per la musica. Tutto pare dirci che dovremo accontentarci forse in eterno di Paperissima, o di un´altra bambina-miss arrivata seconda che faràanche lei la signorina buonasera, o di quei pomeriggi da vuoto pneumatico spinto su tutti i canali.
E guardando indietro, il 2006 non ci ha riservato nemmeno un «caso Rockpolitik», ossia un Celentano a terremotare le limacciose acque del monopensiero televisivo dell´era berlusconiana. Quel poco di nuovo che s´è visto è stato tremendo: l´epos della rissa nel mondo del tutto amorale di Buona Domenica su Canale5, la sempiterna presenza cardinalizia di Pippo Baudo ad unica garanzia contro lo strapotere dei barbari, una fiction sull´immigrazione che sembra scitta da Suor Orsolina (Butta la luna), i dibattiti domenicali con Alba Parietti a far da unica voce progressista, l´allargamento della telepromozione a tutte le ore quasi con dignitàdi programma (i materassi vanno fortissimo quest´anno), i serial-spot dei telefonini (De Sica da una parte, Amendola dall´altra e la coppia Totti  Gattuso in mezzo)... Il risultato non è solo un eterno saltellare col telecomando da un canale all´altro, ma è soprattutto il progressivo smottamento della tv generalista nel suo insieme: ecco che nel 2006 sempre più spettatori sono corsi verso Sky e il satellite, disposti a spendere per vedere fiction decenti (gli intelligenti serial americani, come Lost, che alla tv «di tutti» sono concessi solo di risulta), calcio decente, telegiornali sopportabili (cravatte dei conduttori a parte), dibattiti umani, documentari interessanti, film belli (non i soliti film-tv di terza scelta, o i soliti filmazzi di dieci anni fa giàvisti dieci volte).
Dicono gli esperti che in un futuro non troppo lontano il risultato saràuna netta divisione classista tra una tv di qualità(satellitare) per chi può spendere e una tv da abbrutiti (generalista) per chi non può spendere. Una televisione scadente, insomma, solo bla-bla e spot, per le masse, strumento principe del populismo, antica italica passione. Ma niente panico, per favore: forse la televisione muore prima, abbandonata persino dai pensionati. Parola di telecomando.
2006, la televisione dell'abisso
News inserita da: Giorgio Scorsone (Giosco)
Fonte: L'Unità
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