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Malgara (Auditel): ''L'arma anti-crisi la pubblicit''

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Fonte: Libero

E
Economia
Giulio MalgaraGiulio Malgara ci riceve nel suo luminoso ufficio di presidente dell'Auditel: il Duomo a fare da sfondo. Lo straordinario profilo delle sue guglie.
 
Quotidiani e tv che cosa possono fare per aiutare l'Italia a rialzarsi?
«Oggi che la crisi è davvero planetaria non tocca solo a Rai e Mediaset ma a tutto il concerto dei media darsi da fare».
 
I mezzi di comunicazione protagonisti della terapia anticrisi: non è chiedere troppo?
«Tutt'altro. Sono convinto che anche giornali, radiofonia, e anche il web possano (e debbano) fare la loro parte».
 
Una chiamata di responsabilità per gli editori?
«Certamente. Credo che la politica e le imprese debbano caricarsi tutto intero il loro fardello. Ma  che sia fondamentale anche un nuovo patto fra tv e carta stampata».

Cioè?
«E' necessario un modo più responsabile di comunicare la crisi. Che non vuol dire censura o sottovalutazione. Ma vanno gestiti i toni catastrofisti se non si vuole che troppo allarmismo mediatico finisca con influenzare negativamente i consumi accelerando una pericolosa deriva sociale con ricadute gravissime sulla produzione. Una spirale pericolosa - ben noto a sociologi ed economisti - sul quale il sistema rischia di avvitarsi».
 
Dov'è finito il suo ottimismo?
«La crisi c'è e sarebbe stupido negarla. Però non tutto è nero».
 
In che senso?
«La storia ci insegna come spesso i popoli siano usciti dai momenti di difficoltà, sviluppando nuove idee e opportunità, ritrovando energie ed etica, rimuovendo vecchie scorie».
 
Perché non sia un libro dei sogni, che cosa si deve fare?
«Intanto riconoscere che il panico diffuso è il peggiore nemico. Per questo ho invocato - come prima cosa - un patto di informazione coerente, tra chi ha le chiavi della comunicazione. Forse bisognerà mettere un argine al catastrofismo dilagante».
 
Già, la comunicazione. Il settore che lei conosce meglio.
«I nodi del settore sono noti. Provo a ricordame qualcuno. Gli investimenti sono più o meno gli stessi da vent'anni. Il 20% del totale della spesa pubblicitaria è sostenuto da 16-17 aziende. L'80% degli investimenti tocca soltanto 600 aziende su 17.000. Occorre attrarre la pubblica amministrazione e le Pmi, ricordare alla finanza che decelerare nella comunicazione, in questo particolare momento, è suicida».
 
Il 2008 sarà negativo: come si fa a sperare in una ripresa?
«La pubblicità è una leva anticiclica potente. Proprio quello che ci vuole per arginare la crisi. Ora, più che mai, le aziende dovranno difendere le quote di mercato. Guai se tirano il freno».
 
Detto così sembra facile. Ma la stretta del credito e il nodo scorsoio della distribuzione riducono i margini.
«Accidenti se è così! Col puro contenimento dei costi, non solo non resta niente per la ricerca, l'innovazione, ma neppure per la comunicazione. Così si ammazzano la differenziazione e la qualità. La sfida sta proprio nell'invertire questo circolo vizioso. Ma tutto ciò ha senso solo se si tiene conto di come cambia il consumatore nell'età della crisi».
 
Probabilmente avrà solo meno soldi da spendere.
«Non è tutto qui. La domanda che ci dobbiamo porre non è come cambiano i consumi ma come cambiano i consumatori. Perché la crisi avrà effetti visibili sugli stili di vita. E' finito il tempo di essere solo belli. Le aziende nelle loro strategie di marketing e i media nei loro menù editoriali devono capire che dovranno passare dall'attenzione al bello che ha contraddistinto la TV (e la carta stampata) ad una stretta centrata sulla concretezza e i contenuti».
 
Una nuova austerity?
«No. Niente modelli pauperistici. Ma un ripensamento strategico sì. La crisi impone rigore, i conti devono tornare. Torneranno modelli tradizionali di semplicità, utilità, sobrietà contro uno stile di vita che puntava all'effimero, al piacevole, e al suo estremo, al superfluo».
 
Questo ragionamento entra bene nella ricetta anticrisi che come imprenditore, continua a proporre.
«Proprio così. Ma i media, ripeto, ci devono dare una mano. Invece di limitarsi ad allargare le onde emotive di un crisi senza uscita, occorre che il loro linguaggio, si modelli sulle esigenze strategiche del come conviverci, ripensando anche i contenuti. Gli editori hanno tra le mani leve importanti per il cambiamento del costume. Possono (e devono) guidarlo, responsabilmente».
 
Nino Sunseri
per "Libero"

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