OGGI IL PRIMO EPISODIO
ALLE 21 SU SKY SPORT UNO E A MEZZANOTTE SU SKY SPORT CALCIO
in streaming su NOW
Dal Museo Egizio di Torino
NUOVI PASSAGGI:
DOMANI ALLE 11 E ALLE 23.15 SU SKY SPORT UNO,
ALLE 12.30 E A MEZZANOTTE E MEZZA SU SKY SPORT CALCIO, ALLE 16 SU SKY SPORT ARENA.
DOMENICA ALLE 22 SU SKY SPORT UNO E ALLE 23 SU SKY SPORT CALCIO
L’uomo chiamato Scudetto, Antonio Conte, è il protagonista della prossima puntata di Federico Buffa Talks, produzione originale firmata Sky Sport, con Federico Buffa e il direttore Federico Ferri. Dare tutto, chiedere tutto, il titolo del libro scritto da Conte con Mauro Berruto (ed. Mondadori) e punto di partenza di questa nuova storia di sport, rappresenta l’essenza del ruolo dell’allenatore per Conte, l’idea con cui si modella e si ispira un gruppo vincente. È anche grazie a questa filosofia che Antonio Conte si è affermato oggi come uno dei migliori allenatori della sua generazione, capace di vincere lo Scudetto con tre squadre differenti - cinque in tutto: tre con la Juventus, uno con l’Inter e l’ultimo con il Napoli - dopo aver vinto anche in Inghilterra, un titolo e una FA Cup con il Chelsea.
Appuntamento con il primo episodio, da venerdì 13 giugno, alle 21 su Sky Sport Uno, a mezzanotte su Sky Sport Calcio, in streaming su NOW e disponibile on demand. Ulteriori passaggi ci saranno sabato (alle 11 e alle 23.15 su Sky Sport Uno, alle 12.30 e a mezzanotte e mezza su Sky Sport Calcio, alle 16 su Sky Sport Arena) e domenica (alle 9.45, alle 12.30, alle 14.45, alle 17.45, alle 22 su Sky Sport Uno; alle 23 su Sky Sport Calcio; alle 20 su Sky Sport Max
Diventare un esempio vivente di abnegazione, per essere legittimato a chiedere, ha radici profonde, che affondano nell’educazione ricevuta da mamma Ada e da papà Cosimino: “Se vuoi qualcosa – spiega infatti Federico Buffa, parafrasando l’insegnamento di Conte senior – prima devi dare. È un imprinting fortissimo, che ti porterai dietro per sempre e che ti spingerà a essere esigente prima con te stesso e poi con gli altri”.
Una volta chiusa la carriera da calciatore Conte si dedica a quella da allenatore, con la speranza di sedersi nel giro di pochi anni sulla panchina di una grande squadra. Cosa che accade nel maggio del 2011, quando Andrea Agnelli lo ingaggia come allenatore della Juventus. Conte racconta di una lunghissima chiacchierata con il presidente bianconero, durante la quale l’allenatore percepisce di non avere alcuna chance, in quel momento, di essere scelto per il futuro del club bianconero. Invece, l’esito di quel colloquio sarà diverso e inaspettato, e comincerà così un percorso costellato di successi.
Nei due episodi in onda dal 13 e dal 20 giugno, l’allenatore del Napoli ripercorre la sua carriera attraverso riflessioni, aneddoti e retroscena, fino all’ultima, straordinaria annata culminata con lo Scudetto, un racconto che mette in luce i valori e la mentalità, la determinazione e la ferocia con cui persegue i suoi obiettivi.
La prima cosa che Antonio Conte chiederebbe a chi vuole fare l’allenatore è cosa è disposto a perdere. Per lui, le vittorie sono l’unico analgesico possibile contro il dolore inflitto dalle sconfitte. E il motivo è che vincere è la sola cosa che dia un senso a tutte le rinunce e i sacrifici che un calciatore, o un allenatore, fanno per realizzare i loro sogni.
Grande spazio anche all’attualità: nell’intervista, Conte rivela come è andato davvero il finale di stagione e il colloquio con il presidente De Laurentiis, parla di Napoli e anche di Juventus, con rivelazioni che riscrivono la storia recente dell’allenatore.
FEDERICO BUFFA TALKS – ANTONIO CONTE- Dare tutto, chiedere tutto, il titolo del libro scritto da Conte con Mauro Berruto (ed. Mondadori) e punto di partenza di questa nuova storia di sport, rappresenta l’essenza del ruolo dell’allenatore per Conte, l’idea con cui si modella e si ispira un gruppo vincente. È anche grazie a questa filosofia che Antonio Conte si è affermato oggi come uno dei migliori allenatori della sua generazione, capace di vincere lo Scudetto con tre squadre differenti - cinque in tutto: tre con la Juventus, uno con l’Inter e l’ultimo con il Napoli - dopo aver vinto anche in Inghilterra, un titolo e una FA Cup con il Chelsea.
Nel corso dell’intervista, Conte ha parlato a lungo della sua storia con la Juventus (anche raccontando il suo arrivo da allenatore in bianconero) ma anche di attualità e per la prima volta ha spiegato cosa sia accaduto davvero nel finale di stagione dopo lo Scudetto a Napoli, il chiarimento con De Laurentiis e la scelta di restare sulla panchina dei Campioni d’Italia. E ancora, le voci sulla Juventus.
SKY FEDERICO BUFFA TALKS - ANTONIO CONTE 1A PARTE
Dal Museo Egizio di Torino
Ferri: Partiamo nella nostra conversazione da un libro che è appena uscito. Si chiama 'Dare tutto. Chiedere tutto', è un dialogo con Mauro Berruto dove emerge l'essenza, a mio avviso, del ruolo dell'allenatore, perlomeno nel modo in cui lo intendi tu. Ci troviamo al Museo Egizio, nella Vasoteca del Museo Egizio. Mi viene in mente il riferimento al plasmare, formare: perché sei anche uno che forma. Federico, comincio da te chiedendoti se non ti sembra curioso il fatto che dall'allenatore che si dice pretenda più di tutti, arrivi questa frase: "Dare tutto, chiedere tutto". A partire dal concetto di dare.
Buffa: Bisognerebbe che ci fosse qua il protagonista vero di quel libro, che si chiama Cosimino. Sono quei nomi di una volta: quando ti chiamavano veramente Cosimino, non era un errore all'anagrafe. Ecco, Cosimino gli dà un insegnamento di quelli che ti accompagnano per tutta la vita.
Ferri: Cosimino, cioè il papà.
Buffa: Sì, Conte senior. "Vuoi qualcosa? Sì. Prima devi dare". E se questa è la logica, comprendi che sia un imprinting fortissimo. Io non so dove siano finiti questi uomini, perché non se ne vedono in giro. Se sì, fanno i missionari in Amazzonia. Chi è che oggi dice una cosa di questo tipo? Non lo fa nessuno. Però se quello è l'imprinting, te lo porti dietro per sempre. Sarai esigente prima con te stesso e poi con gli altri.
Ferri: È nato tutto da lì, Antonio? Il rapporto con la famiglia
Conte: Beh, sicuramente l'educazione che ricevi dalla famiglia ti segna. Soprattutto chi è genitore deve sapere benissimo che noi abbiamo un compito nel momento in cui abbiamo dei figli, cioè educarli nella giusta maniera, instradarli, fare capire loro certi valori. È una cosa che mi sembra stiamo un pochettino perdendo, no? Anche l'aspetto familiare: prima si curava di più. Sicuramente l'educazione che ho avuto a livello familiare è stata molto, molto rigida: fin da bambino, se volevo qualcosa, comunque dovevo dare. Ed è lo stesso esempio che porto sul calcio. C'era un patto tra me e i miei genitori: "Vuoi giocare a calcio? Sì? Bene, vai a scuola, ottieni buoni risultati, altrimenti a calcio non giochi più". Quindi dovevo dare qualcosa per perseguire la mia passione. Che poi la passione era familiare: nello specifico di mio papà, che era il presidente tuttofare di una squadra di dilettanti, la Juventina Lecce, che si alternava tra la seconda e terza categoria. Aveva il settore giovanile. Da quando ero bambino, mi portava a vederla: aspettavo la domenica per poter passare tutta una giornata insieme a mio padre. A viverla.
Ferri: Perché durante la settimana lavorava, giusto?
Conte: Sì, andava via presto al mattino e, se poteva, tornava a pranzo. Ma era difficile. Altrimenti poi arrivava la sera, quando tante volte eravamo già a letto perché comunque il giorno dopo si doveva andare a scuola. E quindi aspettavo la domenica per vivere con lui questa nostra passione. Mi ricordo ancora quando compilavo le liste dei cartellini prima della partita.
Ferri: Le famose distinte.
Conte: Le distinte, sì. Ero molto partecipe e la vivevo veramente con grande entusiasmo. Papà al mattino preparava il tè che poi avrebbe portato alla squadra, poi si preparavano le maglie, i palloni. I calciatori mettevano un olio per scaldarsi e poi si ingrassava il pallone per far sì che potesse durare quanto più possibile. Noi preparavamo tutto. Diciamo che sicuramente la mia famiglia è stata molto, molto importante per me.
Buffa: Due osservazioni. Lui è stato ceduto per dei palloni, tra cui un paio bucati, se non sbaglio.
Conte: Sì. E 800.000 lire.
Buffa: L'altra osservazione: il tuo peggior anno per i risultati sportivi è quello in cui la tua famiglia non è stata con te, al Tottenham. Stavi in albergo e per te penso fosse emotivamente impraticabile.
Conte: Quello è stato sicuramente un anno difficile: arrivo al Tottenham a novembre, con la squadra nona in classifica, e il primo anno finiamo in Champions, superando l'Arsenal. Per il Tottenham, arrivare in Champions è praticamente come vincere...
Buffa: Soprattutto se superi loro...
Conte: Sì, c'è grande rivalità tra Tottenham e Arsenal. Arrivare in Champions era come vincere la Premier League. Mi ricordo ancora che alla fine dell'ultima partita contro il Norwich, che vinciamo, si festeggia quel traguardo nello spogliatoio. Io chiamo il mio staff e dico: "Non ci abituiamo a questo tipo di festeggiamento", nel senso che noi non dobbiamo festeggiare l'entrata in Champions League. "Noi siamo comunque abituati a festeggiare altre cose", Avevo firmato per un anno e mezzo perché volevo vedere che tipo di situazione avrei trovato, ma in quell'anno è poi capitato un po' di tutto. È morto Giampiero Ventrone per una leucemia che lo ha portato via in 15 giorni. È stata veramente una mazzata tremenda, a livello affettivo e psicologico, perché c'era un grande legame. In quello stesso periodo è morto anche Gianluca Vialli: ci eravamo visti il mese prima in un ristorante, insieme anche a mia moglie e l'avevo visto molto sereno… Stava anche bene. Però, ecco, in quella cena avevo capito che comunque c'era qualcosa che non andava. E c'è stata anche la vicenda della scomparsa di Sinisa in quel periodo.
Buffa: Una dietro l'altra...
Conte: Mi hanno portato comunque a ripensare ad alcune priorità. Io avevo la famiglia in Italia, mia moglie ha sempre fatto tanti sforzi per venire e stare quanto più vicino possibile. Però ho iniziato a chiedermi quanto ne valesse la pena: sacrificare gli amici, la famiglia, quando poi da un giorno all'altro ti ritrovi ad affrontare tragedie del genere o comunque a non esserci più. Questo non mi ha mandato in crisi, però mi ha fatto comunque cambiare un po' in quel momento alcune priorità.
Buffa: Tu non sei andato in panchina anche per un po' di tempo?
Conte: Sì. Mi sono dovuto operare urgentemente alla cistifellea, perché rischiavo di andare in pancreatite. Diciamo che sono successe un po' di cose...
Ferri: Si può dire che dopo quel periodo c'è stato in qualche modo un altro Antonio come persona?
Conte: Sicuramente quell'anno, quel periodo, mi ha portato a fare grandi riflessioni sulle priorità da dare. La passione che ho per il calcio mi porta comunque a superare un po' tutte le difficoltà. Ma dobbiamo sapere cosa siamo disposti a sacrificare, no?
Ferri: Una parte del libro mi ha incuriosito molto. Tu dici "La prima domanda che farei a un allenatore che vuole cominciare a fare seriamente questo mestiere è: 'Cosa sei disposto a perdere?'". Perché?
Conte: Vale sia per un allenatore, ma anche per un calciatore. Perché comunque io ho fatto il mio primo ritiro a 15 anni con il Lecce. Fai una scelta, perché alla fine sacrifichi le vacanze, l'estate ti dura pochissimo… Poi io sono uno che comunque ha fatto tutte le scuole, altrimenti non avrei giocato. Quindi, alla fine della scuola, iniziava poi il ritiro in montagna. Sacrificavi l'estate, l'adolescenza, il rapporto con gli amici… Poi quando cresci come calciatore, ci sono altre rinunce che devi fare. E così anche da allenatore. Mi ricordo benissimo questo: quando ho smesso di giocare a calcio, ho fatto un'intervista a un giornale sportivo e sono sembrato presuntuoso. Perché ho detto: "Se in tre anni non arrivo ad allenare la Juventus, o comunque non arrivo ad allenare a livelli alti, smetto di fare l'allenatore. Perché ho già fatto troppi sacrifici da calciatore". Col senno di poi, sì, forse ho esagerato un po', perché era un'affermazione molto forte. Però fa capire anche la ferocia nel raggiungere un obiettivo. Mi ero detto: o arrivo a certi livelli o altrimenti il sacrificio non vale la pena. Io penso che anche la voglia, l'ambizione, la ferocia con cui tu ti appresti a conquistare determinati traguardi faccia la differenza a certi livelli. Perché in tutte le cose poi ci sono i livelli.
LA VERA STORIA DEL SUO ARRIVO SULLA PANCHINA JUVE
Ferri: La chiamata della Juve peraltro arriva in un momento di difficoltà per il club: per la squadra fu una scelta diretta di Andrea Agnelli, vero?
Conte: Anche lì c'è dietro una storia particolare, perché io allenavo il Siena. Avevo fatto una promozione col Bari in Serie A, poi una piccola parentesi con l'Atalanta e poi ero ritornato di nuovo in serie B, chiamato da Giorgio Perinetti, per riportare il Siena in Serie A. Raggiungiamo l'obiettivo, ma quell'anno a Torino c'era Delneri in panchina e la Juventus non stava andando tanto bene. Io stavo rientrando a casa dal centro sportivo, mi arriva una telefonata di Silvio Baldini che adesso è allenatore del Pescara. Silvio, insieme a Lele Adani, era venuto due settimane prima a vedere un mio allenamento a Siena: non è che avessimo tutto questo rapporto, ma con lui e Lele si era creata una buonissima empatia. Baldini mi saluta e senza dirmi nient'altro mi dice: "Ma tu vuoi andare ad allenare la Juventus?". E io gli dico: "Sì, Silvio. Ma perché?". Mi dice: "Tu devi fare come Guardiola, devi andare da Agnelli e gli devi parlare. Se tu gli parli, diventi allenatore della Juventus". Non ci conoscevamo neanche tanto… Quando ho chiuso la telefonata, il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato questo: 'Ma è matto?'. Ovviamente in senso buono. Però mi aveva lasciato quel qualcosa in testa. Andrea e John Elkann erano due ragazzi appassionati di calcio: quando io giocavo a calcio, venivano nello spogliatoio, li portava l'avvocato Umberto e vivevano con noi anche il prepartita. Ho continuato a pensarci e mi è venuto in mente il dottor Giraudo. Allora l'ho chiamato: "Dottore, io avrei piacere di parlare con Andrea Agnelli. Al di là di tutto, mi piacerebbe anche salutarlo". Eravamo verso la fine del campionato. Giraudo mi aveva risposto: "Guarda, Antonio: hanno deciso comunque di confermare l'allenatore". Io avevo detto che non era per quello, ma per salutarlo visto che era diventato da poco presidente. La risposta era stata questa: "Guarda, non ti assicuro niente". Allora mi metto l'anima in pace, noi andiamo in Serie A con il Siena. Ma un giorno mentre sono a cena con mia moglie, vedo una telefonata del dottor Giraudo, esco dal ristorante e dall'altra parte del telefono c'è Andrea Agnelli. Che mi dice: "Sai, mi farebbe veramente piacere incontrarti. È da tanto tempo che non ci vediamo". Gli rispondo che alla prima occasione non avrei mancato. Mi ricordo che dopo una partita contro il Novara, torno a Torino e vado a casa sua. Ci salutiamo, lui inizia a chiedermi del Siena, come è andata la stagione, mi fa i complimenti per la Serie A e poi mi dice: "Volete comprare qualche giocatore da noi?". "Guarda ,Andrea, qui sinceramente non siamo ai livelli che…", c'era Montepaschi dietro come sponsor, però… Rimaniamo a parlare non mi ricordo quante ore…
Ferri: Cioè, eri un interlocutore e non un candidato.
Conte: Io da quella frase capisco che non sono nella sua testa come possibile allenatore della Juve. Ma restiamo lì a parlare penso 5 ore. Nel frattempo scende anche sua moglie, ci salutiamo e poi sono venuto a sapere che lei gli aveva chiesto: "Ma chi è?". La sua risposta? "Il futuro allenatore della Juve". Io sono entrato in quella casa che non ero allenatore della Juve, e sono uscito con questa frase: "Il prossimo step sarà parlare con Marotta".
Ferri: Avevi fatto come Guardiola insomma.
Conte: Sì.
Ferri: Aveva ragione Baldini.
Conte: Avevo toccato gli argomenti giusti. Quindi diciamo che se sono andato alla Juventus è grazie a Silvio Baldini. Cioè, senza la sua telefonata io non mi sarei mai e poi mai spinto a parlare con Agnelli. Né tantomeno la Juventus in quel momento stava pensando a un allenatore esordiente che aveva fatto benissimo. A volte succedono delle cose nella vita che ti possono cambiare il destino. E a me quella telefonata lo ha fatto, perché altrimenti sarei rimasto a Siena, facendo il mio primo anno in Serie A. Invece vado alla Juventus, vinciamo subito e nasce la bellissima storia dei bianconeri, che per nove anni consecutivi dominano in Serie A…
Ferri: Con i tuoi primi tre scudetti. Primi perché ce ne sono stati altri.
Conte: Quei tre anni sono stati incredibili. Nella prima stagione abbiamo vinto lo scudetto da imbattuti, che è una cosa difficilissima, nonostante, i favori del pronostico fossero totalmente diversi: il Milan aveva Ibrahimovic, Thiago Silva, era campione in carica con una squadra composta da giocatori come Cassano, Robinho, Nesta, Gattuso, Ambrosini… Cioè, stiamo parlando di una squadra di livello altissimo. Di fatto noi perdemmo solamente una partita: la finale di Coppa Italia contro il Napoli. Da lì abbiamo posto delle basi importanti. Ho anche portato a casa un campionato con i 102 punti che secondo me rappresentano qualcosa di veramente incredibile.
Ferri: Prima di parlare del presente e del futuro di Antonio, quindi di Napoli e di quello che capiterà, facciamo ancora un salto indietro. Federico, ti ha sempre affascinato tanto l'uomo che porta insieme col presidente Giampiero Boniperti, Antonio Conte alla Juventus: Giovanni Trapattoni. Il rapporto che si crea è certamente qualcosa che va raccontato.
Buffa: Ci sono tante cose, però, di quello che ha detto Antonio. Idealmente io prendo degli appunti di cose che dice che sono interessanti… La prima cosa è Siena. Perinetti mi fa venire in mente sua figlia Emanuela che è mancata l'anno scorso ed era legatissima ad Antonio e a sua moglie. E poi mi viene in mente Bari: il leccese a Bari di solito fa fatica, mentre con lui è comparso il più grande striscione di tutti i tempi. Era un lenzuolo bianco con scritta da bomboletta: "Antonio Co', Mourinho in confronto a te chi è, Platinette?". Era fantastico: scritto con la penna, con la bomboletta. Una cosa popolare, forte, non comune, scritta nel nulla. Se devo dare una definizione di Antonio io direi ritmo e cristianità. Si vede che è una persona molto credente, cioè c'è una forza che lui ha nei gesti che compie, che arriva anche da altro, non soltanto dalla sua educazione ma anche, credo, dalla sua fede religiosa. E c'è ritmo, perché non riesce a stare sotto un certo livello, il ritmo a cui gioca lui è energivoro sì, ma si autoalimenta e quindi ti costringe a qualcosa di forte. Non c'è niente da fare. Lo striscione fa ridere, ma non è casuale. Ti dà la forza lui di scrivere una cosa del genere. E poi la Juventus. Non sappiamo che cosa veramente lui abbia detto in quelle 5 ore per convincere il giovane Agnelli. Però è stato un grande capitano. E la curva, il capitano lo venera. Ci sono tanti elementi in questo puzzle e lui li prende bene. La Juve veniva da due settimi posti: uno ci può stare, due vuol dire che questa squadra non ha cultura. E quindi dobbiamo entrare con juventinità, ritmo e cristianità. Dobbiamo cambiare proprio il paradigma. E secondo me gli ha detto questo, magari non con queste parole, ma ha fatto capire questo. La mia domanda è questa. Io mi ricordo molto bene la partita, Juventus-Milan 2-0, sarà stata la sesta giornata. La Juventus andava il triplo del Milan in quella partita, proprio a livello di corsa. La partita la risolvono alla fine, ma Marchisio giocava col sangue agli occhi. Mi ricordo che c'era, a parte Buffon e la BBC, Lichtsteiner. Davanti c'era Vucinic e se non sbaglio Pepe di fianco a Vucinic a metà campo. Visto ex post era un grande centrocampo perché era composto da Pirlo, Vidal e Marchisio che giocava veramente un calcio spettacolare. Ma quando lo avevano creato, Vidal era un semisconosciuto, Andrea Pirlo era uno scarto del Milan. Addirittura, sono stato squalificato dalla televisione tematica del Milan per aver detto che non credevo più allo staff medico del Milan. Quella squadra lì andava al doppio, stava finendo 0-0 incredibilmente, ma alla fine la Juve segna due gol. Ai tempi avevo pensato a questo: 'Non sono una squadra scudetto, però hanno dentro una motivazione impressionante e te ne accorgi'. E Conte a bordo campo giocava la partita. Quando veniva ripreso, lui era come se stesse giocando: era solo formalmente seduto. Quella fu la partita della svolta.
Conte: Quella fu la partita che mi fece capire, anzi ci fece capire, che potevamo competere. E anche se la vittoria arrivò alla fine, la partita comunque fu dominata. Sai, quando affronti il più forte del campionato e fai questo tipo di partita e capisci tante cose, prendi fiducia, coscienza dei tuoi mezzi. Capisci che niente ti è precluso. E quella fu una partita veramente molto importante per noi.
Il retroscena su Pirlo...
Buffa: Ho una domanda da farti, poi chiudiamo la parte milanista della storia. Io sono convinto che la Juventus abbia preso Pirlo prima che arrivasse lui, che Marotta avesse preso lui di fatto perché tanto lo si poteva prendere con niente. E io avevo pensato: Antonio Conte è un allenatore molto interessante, però non mi sembra che Andrea sia il tipo di giocatore alla Conte...
Conte: Guarda, ti svelo anche un retroscena, un particolare. Tullio Tinti era l'agente di Pirlo. Mi aveva chiamato, sapendo che comunque io volevo giocare col 4-2-4 perché l'avevo fatto a Bari, l'avevo fatto a Siena e l'idea era quella di ripartire col 4-2-4. "Sai, Andrea è svincolato, ma cosa ne pensi? Può giocare nel tuo sistema?". E io a Tullio, con il quale anche ora ho un rapporto veramente molto stretto, tanto da andare ogni ano a casa sua a Ibiza, avevo risposto: "Sulla carta Andrea a due potrebbe far fatica. Però è un giocatore che comunque ha un qualcosa di diverso rispetto agli altri. A prescindere deve venire". Se vi ricordate, noi partiamo con quel sistema di gioco: la prima partita di campionato la facciamo con Andrea e con Marchisio, con i due del centrocampo e Vidal in panchina. Arturo poi entra nel secondo tempo, fa anche gol e inizia a crearmi dei pensieri positivi. Io penso che l'allenatore sia come un sarto. E un sarto bravo ti deve cucire il miglior abito addosso: deve vedere, prendere la stoffa, modellarla e far sì che sia un abito che calzi a pennello. Noi quell'anno siamo arrivati poi al 3-5-2 per esigenze diverse: perché Andrea a due magari faceva un po' più di fatica mentre con due a fianco esprimeva tutte le sue potenzialità. Era un giocatore che vedeva quello che non vedevano gli altri, metteva la palla dove, come e quando diceva lui. E noi giocavamo per lui. Lo stesso per Chiellini. Perché Giorgio, da terzino sinistro o da centrale andava a influire su Bonucci, che a due faceva un po' più di fatica. Diciamo che, alla fine, girando un po' di sistemi, dal 4-2-4 al 4-3-3 per arrivare poi al 3-5-2, abbiamo sviluppato quello che poi ha fatto un po' la storia della Juventus.
... e il rapporto con Del Piero
Buffa: Secondo me, dove voi vincete lo scudetto è la punizione con la Lazio di Del Piero. C'è lo sguardo tra Pirlo e Alessandro con Andrea che dice: "Dai…". C'era un clima in quello stadio molto complesso.
Conte: Ecco, di Alessandro mi preme dire anche un'altra cosa. O meglio, aggiungere qualcosa, perché ho dovuto gestire il suo ultimo anno e mi ricordo che quando capitava un pareggio la curva spingeva sempre tanto per vedere in campo Ale, pur avendo grandissimo rispetto nei miei confronti. Io ho parlato tante volte quell'anno con Del Piero, perché quando arrivi a fine carriera, fai fatica ad accettare alcune cose: Ale è stato veramente importante, perché aveva accettato il fatto di non essere comunque un titolare sempre. Però ti dico anche che nei momenti...
Buffa: con l'Inter…
Conte: in cui la palla scottava…
Buffa: che è come quella punizione con la Lazio…
Conte: Lo feci giocare. Perché era un giocatore che in quei momenti sa essere determinante ed è stato determinante per quello scudetto. Ti dico sinceramente che se fosse venuto a chiedermi: "Antonio, ma mi piacerebbe continuare a fare un altro anno con te qui alla Juve", io gliel'avrei concesso di certo. Mi sarebbe piaciuto allungargli ancora di un altro anno la carriera alla Juventus.
Ferri: Non so se Antonio avrebbe trovato grande disponibilità in società, però certamente questo è un grande riconoscimento.
Conte: Sai, Federico. Dopo che si vince uno scudetto… Ale si comportò da grande campione. E gestire gli ultimi anni di campioni come possono essere lui o Totti non è mai semplice.
Ferri: Però c'è una grande simbologia in quella tua prima stagione alla Juventus: con campioni di cui sei stato compagno, con cui hai vinto Coppe dei Campioni, scudetto, fatto veramente una carriera intera sia in Nazionale, sia alla Juve. È quella un po' dell'ammazzare il giocatore, no? L'allenatore che è stato un grande giocatore o che è stato comunque un giocatore, deve fare quel passaggio: da ex compagno ad allenatore, a guida. Tu l'hai fatto in modo anche abbastanza traumatico in quell'anno, perché avevi come giocatori i tuoi ex compagni. Hai accelerato quel percorso? Tanti non ci riescono fino in fondo.
La 'bastonata tra i denti'
Conte: Per me l'anno più importante in assoluto è stato ad Arezzo, quando prendo una squadra con nove punti di penalizzazione per il calcioscommesse, una squadra che l'anno prima era arrivata a giocarsi i playoff e che comunque aveva venduto tutti i pezzi migliori. Dopo nove partite in cui sbagliamo cinque rigori, sono stato mandato a casa da Pieroni che era il direttore sportivo. Al mio posto era arrivato Sarri. Quando mancavano dodici partite, mi hanno richiamato. Ma nel frattempo ho utilizzato quel periodo comunque per diventare allenatore. Perché io, quando arrivo ad Arezzo, pronti-via non sono allenatore, ma uno che pensa di esserlo in virtù del fatto di essere stato allenato dai più grandi tecnici di quel periodo. Escluso Capello, io sono stato allenato da Sacchi, Trapattoni, Lippi, Ancelotti, Fascetti, Mazzone… Quindi prendo questa bella mazzata nei denti. Prendo, capisco che devo studiare e cerco da chi poter imparare. Mi ricordo benissimo che andai a vedere gli allenamenti di un allenatore che poi era diventato mio collaboratore al Bari. Nel mio staff ancora adesso c'è Costantino Coratti come preparatore atletico. Avevo cominciato con lui ad Arezzo. Mi ha detto più volte: "Mister, quando sei tornato per le ultime dodici partite, eri un allenatore totalmente diverso. Un allenatore vero". Infatti, noi in quelle dodici partite abbiamo perso solamente contro la Juventus, che era venuta a vincere in casa nostra e aritmeticamente era promossa in Serie A. Siamo retrocessi all'ultima partita dopo aver recuperato dodici punti. Quando dico che ad Arezzo ho fatto cinque anni in uno, intendo questo: lì sono diventato allenatore. Ecco. E ringrazio anche il Signore di essere stato mandato via, perché se non vengo mandato via, non capisco alcune dinamiche e mi metto a studiare o mi metto a cercare chi mi può dare qualcosa di più, magari rimango Antonio Conte che pensa di essere l'allenatore ma è ancora giocatore nella testa.
il presente: il capolavoro Napoli e la scelta di restare
Buffa: Quello che ho apprezzato tantissimo quest'anno di come hai impostato la tua squadra è che tu negli ultimi anni tendevi a giocare a tre dietro. E poi, secondo me, hai visto come giocava il Napoli di Spalletti - che giocava veramente bene in difesa, perché tanto in Italia è lì che vinci i campionati - e hai cominciato a giocare sia a quattro sia a tre, alternando a situazioni. Io questa duttilità non l'avevo vista prima e, secondo me, quest'anno hai fatto un salto di qualità dal punto di vista della tua capacità di leggere la gara, invece di essere granitico.
Conte: È stato per me importante, fondamentale, l'anno in cui sono rimasto a casa. Mi sono messo a studiare veramente tanto anche col mio Subbuteo. Che a casa mia c'è sempre. Io tante situazioni le rivedo riportandole sul Subbuteo. Sia la fase offensiva, sia quella difensiva.
Ferri: Avevi l'idea che poteva arrivare un traguardo come quello dello scudetto o pensavi di dover costruire di più?
Conte: Io ho firmato un contratto di tre anni con il Napoli. L'obiettivo qual era? Quello che ho sempre detto: di costruire delle basi solide e non delle basi dove alla fine, alla prima situazione, potessero sgretolarsi. Come primo step ci siamo messi come obiettivo il ritorno in Europa, neanche la Champions League. Poi fare un altro anno di crescita, quindi prepararci per la terza stagione a provare a competere per vincere. Alla fine, ce l'abbiamo fatta con delle situazioni e delle forze che non erano da vincere lo scudetto. Il fatto che sia arrivata la vittoria del campionato, nella mia testa e nella mia visione nel mio progetto non ha portato a cambiare assolutamente niente.
Ferri: Ecco, ma finisce il campionato, vinci e nella tua testa non sai se rimarrai o se dirai al presidente che il tuo percorso è finito. Ti devi confrontare con lui. Ci dici com'è andata davvero?
Conte: Il discorso penso che sia il segreto di Pulcinella. Quello che è successo a gennaio e durante l'anno non è che mi ha reso proprio felice. Solo l'ultima settimana sono arrivati giocatori come McTominay, Gilmour, Neres, Lukaku… Arriviamo a gennaio e tutti quanti sapete benissimo cosa è successo. Io penso di essere stato molto bravo a incassare, a non dare alibi ai miei calciatori, a non dare soprattutto alibi a me stesso. Quando tu firmi ci sono oneri e onori, ok? Il primo anno di matrimonio magari poteva essere un po' più turbolento e magari poi la stabilità avrebbe portato più conoscenza e fare le cose ancora meglio per migliorarci. Nel momento in cui ho avuto rassicurazioni da questo punto di vista, abbiamo continuato. Anche perché, comunque, c'è uno scudetto da difendere, c'è un lavoro da tutelare. Quello che mi è dispiaciuto è che su una possibilità di un eventuale divorzio tra me e il Napoli, a un mese o un mese e mezzo dalla fine del campionato si sia iniziato a parlare di me alla Juventus.
Le voci sulla juve
Ferri: Tu ce l'avevi un accordo con la Juventus?
Conte: No, assolutamente io non avevo nessun accordo con la Juventus e ho rifiutato categoricamente. Io a chiunque ha provato ad avvicinarsi ho sempre detto: "Signori, non incontro niente e nessuno, non parlerò con niente e con nessuno fino a quando non avrò parlato con il Presidente".
Ferri: Questa storia in qualche modo incrinerà il tuo rapporto con la tifoseria della Juventus o con il tuo passato, con la tua storia?
Conte: Solo gli stupidi possono andare dietro a queste cose. Per me la Juventus è, era e sarà sempre la Juventus. Quindi nessuno, come ho detto, anche col Lecce, potrà mai inficiare il mio sentimento nei confronti della mia storia, di dove sono cresciuto. Mi dà fastidio perché tante volte dietro il mio personaggio tanti ci marciano. Tanti sono degli avvoltoi, perché comunque mi rendo conto che il mio nome è diverso rispetto a tanti.
Ferri: Capita a tutti i grandi.
Conte: Mi ricordo benissimo anche quest'anno alla presentazione del Napoli: noi siamo lì in piazzetta e a un certo punto i tifosi iniziano a chiedermi di saltare con loro: "Chi non salta juventino è". Io stoppo tutti e dico: "Fermiamoci un attimo. Non mi potete chiedere ciò che non potrò mai fare". Io sono sicuro che una volta che andrò via da Napoli, non mi metterò mai a saltare: "Chi non salta napoletano è". Quindi ci deve essere una forma di rispetto. Come ho sempre ribadito, ho vinto tanto, da calciatore e anche da allenatore, ma ho perso anche tanto. E credetemi, le sconfitte che io ho avuto sono state importanti. Perché perdere tre Champions League, una finale di Coppa del Mondo o una finale dei Campionati Europei all'ultimo minuto - e al Golden Goal - o altre finali di Uefa o di Coppa Italia o scudetti persi all'ultima giornata… sono cicatrici profonde che tu comunque ti porti. Ecco perché a volte io tiro fuori una cattiveria che può far paura, a volte un pochettino timore. E cerco in tutti i modi di vincere, di vincere e celebrare la vittoria. Cosa che io in passato tante volte non ho fatto. Mi sono pentito di questo.
Ferri: Lo hai fatto adesso a Napoli.
Conte: Sì, a Napoli me la sono goduta. Perché, ripeto, si fa tanto per arrivare al traguardo e vincere. Una volta che ci arrivi te la devi godere, altrimenti non ha senso. Cioè non ha senso fare il percorso e non ha senso fare tutti quei sacrifici.
Ferri: 'Dare tutto. Chiedere tutto', il libro di Antonio Conte con Mauro Berruto. Possiamo chiudere, Federico, ringraziando Antonio perché, a proposito di dare tutto, ci ha dato davvero tanto.