Tre delle sei frequenze che andranno all’asta, cioè quelle destinate all’uso televisivo a lungo termine, dovranno essere riservate a «nuovi entranti». Secondo quanto risulta al Corriere Economia, l’Unione Europea starebbe premendo perché il governo italiano vada nella direzione opposta a quella del beauty contest, con cui si volevano regalare i canali migliori a Mediaset, soprattutto, e Rai.
L’asta delle frequenze è la prima vera prova della nuova Agcom, sei mesi dopo la decisione del governo Monti di annullare il beauty contest. L’Authority di Angelo Cardani ha iniziato il percorso che dovrebbe condurre al disciplinare di gara e all’asta. Fino alle prossime due settimane, i tecnici italiani, guidati dalla responsabile della Direzione Media, Laura Aria (la stessa figura che ha ideato il concorso di bellezza), e dal collega della Direzione Reti, Vincenzo Lobianco, avranno incontri informali con i colleghi della Direzione Concorrenza dell’Ue; all’inizio di novembre l’Agcom dovrebbe essere in grado di pubblicare sul proprio sito il regolamento di gara, che sarà poi sottoposto a consultazione pubblica per un mese.
Tutti i soggetti interessati potranno dire la loro, mandando documenti scritti o spiegando le proprie ragioni in audizione. A quel punto, in caso di accordo, il testo sarà «notificato», cioè comunicato formalmente a Bruxelles, con l’obiettivo di ottenerne il via libera entro fine anno e dare tempo al Ministero dello Sviluppo economico di indire la gara a gennaio. Questa, almeno, è la road map teorica. Ma la strada è molto accidentata. Bisogna infatti dare una risposta convincente alla procedura d’infrazione aperta contro l’Italia nel luglio del 2006, quando l’Ue valutò che la legge Gasparri, nel prevedere il passaggio dall’analogico al digitale, attribuisse «ingiustificati vantaggi» agli operatori esistenti penalizzando la concorrenza: cioè dimostrare che si vuole realmente favorire il pluralismo sul piccolo schermo.
Ma non è tutto. Tra l’annullamento del beauty contest nello scorso aprile e oggi è intervenuto un secondo fatto cruciale: la decisione dell’Ue e degli organismi internazionali delle telecomunicazioni (come l’Itu e il bureau tecnico diretto da François Rancy), di trasferire dalla televisione alla telefonia mobile parte della banda di frequenza a 700 megahertz dal 2015 e di completare poi il passaggio nel 2020. Questa novità complica ulteriormente il quadro e si collega a quanto dicevamo all’inizio.
Estratto da
"Corriere Economia"
del 15/10/2012