Paolo Bassetti è presidente e amministratore delegato di Endemol Italia, una delle maggiori società di produzione tv: Grande Fratello, Che tempo che fa, Le invasioni barbariche, La prova del cuoco, Affari tuoi. Endemol International, casa madre olandese, insediata in oltre 20 paesi, collaborazioni con 40, è la maggiore creatrice e distributrice di programmi al mondo. L’80% dei format distribuiti sono stati inventati «in casa», come dice Bassetti.
Che ha 44 anni, segno della Bilancia: «Sono tra i più vecchi di un gruppo di lavoro decisamente giovane. Non ci interessa acquisire studi, macchinari, frequenze: noi investiamo in contenuti e in creatività. Solo in Italia spendiamo 3 milioni di euro l’anno».
Come fa un giovane a diventare creativo per Endemol?
«Scoprire talenti fa parte del nostro lavoro. Li cerchiamo nelle scuole, nelle università, esaminiamo i curricula e diamo possibilità ai più meritevoli. Ci piacerebbe sperimentare di più i progetti innovativi».
E invece?
«La tv italiana preferisce andare sul sicuro, sul garantito; e i budget delle reti diminuiscono. Dunque c’è poco spazio per le novità. Non così nei paesi anglosassoni dove, peraltro, la stampa non si accanisce ad enfatizzare le sperimentazioni che non decollano».
Questo sulle reti generaliste. E sulle tematiche?
«E’ più facile sperimentare. Stiamo preparando i contenuti delle nuove piattaforme, i telefonini, Internet. Abbiamo creato il primo canale broadband, Tv Bonsai. C’è un futuro magmatico davanti a noi, difficile da prevedere. Le reti generaliste anche in futuro godranno di buona salute: però è indispensabile fare programmi di prima serata più corti».
Rai e Mediaset non ascoltano ragioni?
«Non solo loro. Anche i produttori. Entrambi ne traggono benefici: una prima serata breve è più dispendiosa. Allungandola, le reti coprono anche la seconda serata e ammortizzano i costi, mentre i produttori hanno programmi con migliori performance. Però così sparisce la seconda serata, e con lei lo spazio per sperimentare. Lancio una proposta: discutiamo insieme sulla opportunità di condividere l’orario del prime time. La contraddizione è pesante soprattutto per la Rai, continuamente divisa tra spirito commerciale e quello di servizio pubblico.
Come ne potrebbe uscire?
«Finanziando un canale con la sola raccolta pubblicitaria e svincolandone uno dei tre dalla pubblicità e dall’obbligo di fare ascolti».
Giusto un anno fa Mediaset comprò Endemol: che cosa è cambiato?
«Non è cambiato niente. Mediaset non è il padrone, è un azionista. Checché ne dica Minoli che ha speso un anno del suo prezioso tempo di dirigente Rai a preoccuparsi di noi».
Abbia pazienza, un’emittente è padrona della società che vende programmi alla sua principale concorrente, e lei dice che non è cambiato niente?
«Noi siamo autonomi e indipendenti. Endemol è stata acquistata da un consorzio internazionale: in Italia, purtroppo, siamo abituati a guardare tali operazioni con un’ottica ristretta. Nel resto del mondo la convergenza tra produttori e broadcaster funziona ed è la normalità. Noi abbiamo un contratto con la Rai per l’intrattenimento e la fiction, e in questi tre anni lo abbiamo onorato con i nostri programmi. Ci sono altre società che hanno, solo per la fiction, contratti ben più redditizi. Le dirò di più: quando abbiamo sbagliato, come con Colpo di Genio, abbiamo regalato alla Rai alcune puntate di prime time di Affari Tuoi. Cosa che altri non hanno fatto quando hanno sbagliato a loro volta».
La tv italiana è piena di format, uguali in tutto il mondo: non si sente responsabile di questo «pensiero unico» televisivo?
«Da sempre si comprano i format: Lascia o Raddoppia era tratto da The 64.000 Question. Un posto al sole è un format. All’estero il mercato dei format è in continua crescita, solo in Italia viene demonizzato. Per noi è un vanto aver venduto all’estero la versione italiana di Affari Tuoi, e aver elaborato e realizzato per primi nel mondo Soliti Ignoti e 50-50. La tv però è anche informazione e approfondimento, realizzati dalle reti con il loro controllo editoriale. Su intrattenimento e fiction è giusto avvalersi anche dell’esperienza dei produttori indipendenti».
E’ appena terminato il «Grande Fratello»: si è risollevato, ma era partito male. Non sarebbe ora di chiuderlo?
«In un programma come il GF conta soprattutto il cast: quest’anno era equilibrato. La formula resta forte: siamo andati in onda di lunedì, giornata difficilissima, il pubblico è abituato al film e alle fiction, ma ce l’abbiamo fatta. Torneremo».
Bignardi, D’Urso, Marcuzzi: la conduttrice migliore?
«Ognuna ha condotto in modo coerente con il suo stile, dando un’impronta sempre diversa al programma».
I reality moriranno?
«Sono ormai un genere consolidato che non si esaurirà, così come i quiz. Dopo l’indigestione c’è stata una selezione naturale. Siamo pronti per un alleggerimento, per una sperimentazione senza lo studio. Puntate di un’ora. Mi auguro di fare presto delle prove su Italia 1».
Si sente un «signore della tv»?
«Certo che no. Mi sento un partner, un compagno di strada che cerca di aiutare i broadcaster a trovare i prodotti migliori».
E’ in grado di influenzare le scelte dei broadcaster, come li chiama lei?
«Direi proprio di no. A parte le fiction, i nostri sono tutti programmi coprodotti. Le reti hanno il controllo editoriale e noi ci occupiamo del prodotto. La scelta dei conduttori la condividiamo. Rispetto ai broadcaster, abbiamo più flessibilità ed autonomia nell’individuare il gruppo di lavoro».
«Affari tuoi»: taroccato o no?
No. Assolutamente. Il gioco ha un sistema di controllo poderoso condiviso con le principali associazioni dei consumatori. Striscia ha mandato ogni tipo di controllo con il solo obiettivo di farci chiudere, ma noi siamo ancora in onda».
Che cosa invidia a Magnolia?
«La possibilità di lavorare da anni, da sola, su Raidue, una rete che ha il budget per poter sperimentare programmi rivolti soprattutto al target dei giovani. Proprio i prodotti sui quali punta Endemol».
Alessandra Comazzi
per "La Stampa"