
La tv analogica declina, il digitale avanza, piano...
Lo scenario delineato nel Piano industriale è confermato: vi è un deterioramento di tutte le tv generaliste. La Rai ha quindi la necessità di un riposizionamento strategico nel segno della discontinuità. Mediaset ha investito nell'industria dei contenuti e offre canali pay competitivi rispetto a quelli di Sky: ha scelto la discontinuità. Per un servizio pubblico riposizionarsi però è impossibile senza che ne venga definita la missione dalla politica in modo chiaro. E che a questa facciano seguito regole e assetti coerenti con relativi finanziamenti. Se "l'offerta Rai è omologata a quella della tv commerciale", come si dice, perché proporre di abolire il canone?
La Rai sulle risorse chiede certezze alla politica?
La composizione dei finanziamenti impatta sull'offerta editoriale. In Francia si vuole abolire la pubblicità dalla tv pubblica. In Spagna non c'è canone ma se l'amministratore non raggiunge gli obiettivi viene rimosso. La Bbc ha un modello di public value, una sorta di valutazione preliminare che può cancellare un progetto. Occorrono forme di finanziamenti coerenti con gli obiettivi che ci si pongono; il modello di finanziamento "misto" resta però forte, se l'Italia ha il servizio pubblico con la più alta quota di share in Europa.
La Rai può diventare un'azienda vera e propria?
È l'altra incertezza che viene dalla politica, dopo la missione non definita. Vi è una tendenza ad attrarre la Rai nella Pubblica Amministrazione, allontanandola dal codice civile e dal diritto privato. Il tetto agli stipendi fissato dalla Finanziaria, la Corte dei Conti che controlla gli atti, la Cassazione che c'impone di fare una gara per ogni acquisto. Quando in un sistema così competitivo, vanno prese decisioni nel giro di mezz'ora. Non si può essere una Asl e un'azienda editoriale sul mercato, allo stesso tempo.
Cosa ha fatto la gestione aziendale in questo scenario?
Investire, a partire dal digitale terrestre, e intervenire sui costi. La chiusura in sostanziale pareggio del bilancio 2007 dimostra che si può fare. Partivamo da 45-50 milioni di perdite, abbiamo chiuso a meno cinque milioni. Abbiamo ridotto del 10% gli acquisti di programmi dall'estero e, allo stesso tempo, investito di più nella fiction e nel digitale. I rischi del Piano industriale restano ma il messaggio del bilancio 2007 è: la Rai ha solidità finanziaria e ampi margini di recupero.
E per il digitale terrestre?
Quando sono arrivato, la Rai non era di fatto nel digitale. Vi era un'offerta sperimentale, quasi un esercizio. Oggi abbiamo un'offerta, pur incompleta, fatta per il pubblico. In alcuni momenti si avvicina all'1% di share. Abbiamo investito in contenuti, in ascolti e nella rete.
Trattate con Mediaset per lanciare un'offerta satellitare?
Vogliamo lanciare una piattaforma satellitare integrativa al digitale terrestre con altri partner. La scelta strategica è per un servizio pubblico multicanale, presente su tutte le piattaforme in nome della neutralità tecnologica, con un'offerta tendenzialmente gratuita.
Avete proposto invano un operatore indipendente per gestire la rete trasmissiva. Per valorizzare RaiWay?
Se RaiWay è solo un'azienda che fornisce servizi alla Rai, non c'è plusvalore. Se può incorporare business autonomi e integrarsi con altre reti, allora vi è un potenziale di crescita e un maggior valore sul mercato. Per fare un'operazione del genere, però, ci vogliono partners.
La Rai vuol entrare nella pay tv?
È un modello impegnativo se sono presenti sul mercato altri operatori. La legge ce lo permette, bisogna cogliere altre opportunità offerte dall'evoluzione tecnologica nei servizi non lineari. Nel Web siamo ai primi passi. Vogliamo passare da una vetrina di quello che fa la Rai a un prodotto mirato rivolto a target determinati.
Spostare una rete Rai a Milano. È favorevole?
La Rai ha bisogno di snellimento ed efficienza. In tutta Europa solo i servizi pubblici sviluppano le potenzialità locali. La Bbc, ad esempio, sta spostando alcuni centri di Londra a Manchester per avere rapporti più stretti con il territorio. Anche noi nel Nord dovremo fare di più...
Vi sono pochi film italiani sulle reti Rai?
Vogliamo valorizzare la produzione audiovisiva europea e abbiamo obblighi di legge. Se questi ultimi, però, sono solo per la tv pubblica, quando le piattaforme che distribuiscono i film si moltiplicano, si rischia di affondare servizio pubblico e industria audiovisiva.
Vendere una rete Rai è possibile?
È legittimo discutere il numero delle reti tv, come in tutta Europa. Ogni rete Rai, però, non è un'azienda autonoma. I diritti, ad esempio, si comprano in comune: come si dividono? Questo tanto per fare un esempio sulla complessità di un eventuale "spacchettamento".
Il Piano editoriale suscita resistenze interne...
In autunno avremo le prime novità nell'articolazione del palinsesto. Palinsesto che era inchiodato, una replica che prosegue da una quindicina d'anni. Il nuovo schema vuol superare le rendite di posizione. La digitalizzazione delle news è un'altra forma di discontinuità. Il modo di fare informazione cambia: tutti devono rimettersi in gioco, con un'organizzazione del lavoro che richiede nuove competenze.
La Rai è autonoma nella sua politica informativa?
Vi è una tendenza alla gestione amministrativa dell'informazione. La par condicio, ad esempio: una cosa è il pluralismo, un'altra non poter fare una cosa se non se ne fa un'altra. Il palinsesto non può essere dettato dall'esterno.
Marco Mele
per "Il Sole 24 Ore"
per "Il Sole 24 Ore"