
Quella di
Minoli su
Calabresi per "
La storia siamo noi", a cura di Annalisa Bruchi e Silvia Tortora, può ben considerarsi una lezione, innanzitutto di stile, e poi di inchiesta "storica". Lo stile è tutto quando si affrontano temi brucianti e ferite ancora aperte. Informazione completa, interviste esurienti, fatti e non fronzoli, rispetto dei soggetti, approfondimento delle atmosfere.
Per dire, invece, di Mediaset, certe puntate - rare - di "
Terra!" hanno una loro fisionomia, un certo stile. Altre, come quella ricordata ieri su Moro di Sandro Provvisionato o, peggio quell'altra ancora su Bettino Craxi nell'ottavo anniversario, indicavano una approccio distratto e omissivo, avviluppato nei luoghi comuni, privo di scoop e di illuminazioni che sono il sale della "terra".
Questione di scuole, questione di stile. Quella di Giovanni Minoli, sperimentato e brillante innovatore, non avrebbe mai potuto dare alle stampe o alla Tv quel "
Misteri d'Italia" di un Sandro Provisionato ed. Laterza onde riscrivere la storia in chiave del grande complotto, alla scoperta delle "complicità, le trame, i giochi dei potenti che di volta in volta hanno coperto chi, quasi sempre su commissione, ha usato il tritolo o il T4 per uccidere, mutilare, devastare, scioccare, bloccare, impedire". E' questa, semmai, una scuola politica di una sinistra, che da decenni cerca di riscrivere la nostra storia per adattarla alla propria, costi quel che costi, anche lo scalpellamento dei nomi, come si fece all'indomani del 25 aprile, e in questi anni con Bettino Craxi.
Anche Minoli ha trattato i retroscena del sequestro Moro, ma non ha peccato d'omissione e di scalpellamenti di nomi, al contrario ha dato vita ad un concerto pluralistico di voci, di fatti, di protagonisti, di storie e di tentativi nobili, spiegandone la serietà oltre che il coraggio davanti ad un fronte vasto e compatto di non trattativisti (molti dei quali oggi pentiti) che interpretarono la fermezza alla lettera: stare fermi, così Moro moriva.

Riepilogando l'altra sera su Rai Due
il delitto Calabresi (14 maggio 1972), ancora una volta lo stile Rai, la scuola Minoli, il rinnovamento della memoria, l'omaggio commosso e documentato alla prima vittima mirata del terrorismo in Italia, hanno offerto un affrésco mosso e drammatico di quel delitto che rimarrà inciso a fuoco nella galleria delle infamie. Perchè Calabresi, che noi conoscevamo e stimavamo, fu ucciso ancor prima di quell'agguato sotto casa il 14 maggio 1972. Furono quei fiumi di parole, articoli, libri, vignette, satire, film, ben orchestrati e orientati da una campagna d'odio senza precedenti, ossessiva e terrificante, a metterlo nel mirino e farne un dead man walking. Da fedele servitore, credeva nello Stato, e da questi s'attendeva una difesa, una protezione, un'alleanza. Era diventato, per l'intellettualità gauchista, il commissario Finestra, l'assassino di Pinelii, il protagonista della piece colpevolista di Dario Fo. Si batteva per uno Stato che non c'era e, se c'era, guardava altrove. Dormivano le coscienze civili del giornalismo e della cultura democratiche. E quando si svegliavano, moltissime firmavano appelli di odio, infami e vergognosi, come ha ricordato con un j'accuse acuminato e dolente Giampiero Mughini. E intanto la vedova e il figlio Mario enumeravano le tappe di un dolore solitario ma dignitoso, in un trentennio di inchieste, proscioglimenti (1975) ma con Calabresi ormai morto. E ancora processi, condanne, assoluzioni, di nuovo condanne per quelli di "Lotta continua". La campagna di odio fu interrotta dal Presidente Ciampi, con la consegna ai familiari di Luigi Calabresi della medaglia d'oro. Dopo trentadue anni...
Paolo Pillitteri
per "Il Campanile"
(16/05/08)