
Roberto, domani sera andrà in onda su Rete4 alle 21.10 il quarto e ultimo appuntamento con “Vieni avanti cretino”: come nasce questo progetto televisivo?
Il punto di partenza è lo spettacolo che abbiamo portato nei teatri due anni fa e che si intitolava allo stesso modo “Vieni avanti cretino”, una riproposizione dell’avanspettacolo visto con i nostri occhi: io e Pino non abbiamo vissuto quel tipo di comicità da spettatori, ma abbiamo lavorato con personaggi come Gino Bramieri e Walter Chiari. Questa rivisitazione è piaciuta tanto al pubblico a testimonianza di come l’avanspettacolo non sia un genere dimenticato, ma al contrario sia molto apprezzato!
Quanto è difficile fare comicità in versione televisiva?
In generale non è facile trovare uno spunto che possa far sorridere la gente e in particolar modo argomenti nuovi. Quando poi uno spettacolo deve essere adattato alla televisione il tutto si complica: i tempi televisivi sono rapidissimi e ormai il pubblico si è abituato ad un solo tipo di costruzione comica, il monologo.
Molti dei tuoi lavori televisivi sono stati realizzati con la Premiata Ditta: quando vi rivedremo in onda con una nuova produzione?
Francamente non lo so, perché è da molto tempo che Mediaset ripropone lavori registrati anni fa e visto che queste repliche ottengono sempre un ottimo risultato a livello di ascolti non ci è stato ancora richiesto di girare nuovi scheth. Personalmente mi dispiace molto perché penso che il nostro gruppo possa ancora dare qualcosa.
Il grande pubblico ti conosce principalmente in veste comica, ma tu sei anche un bravissimo attore drammatico: perché spesso si viene etichettati in un certo modo, senza poi avere la possibilità di far conoscere le proprie capacità?
Questo accade più per l’atteggiamento da parte degli addetti ai lavori che del pubblico: produttori, editori e autori sono sempre più scettici e diffidenti rispetto alla gente che invece è incuriosita dai cambi di registro e ti giudica solo dopo averti visto all’opera! Magari all’inizio lo spettatore ti segue con un po’ di diffidenza, ma se sei convincente non ti fa mancare il proprio affetto e sostegno.
Però questo accade solo in Italia, non di certo negli Stati Uniti o in altri paesi europei...
Da noi c’è un atteggiamento molto più provinciale e soprattutto non c’è il coraggio di portare avanti le proprie scelte: all’estero un attore è un professionista a 360° gradi ed è normale che si proponga in varie vesti.
Qualche anno fa hai partecipato ad un reality show, “La Talpa”. Sono ormai in molti a ritenere che questo genere di programma sia tramontato: sei d’accordo?
Forse si, diciamo che i reality hanno perso molto di fascino. Possono ancora esistere, ma devono cambiare veste ed evitare l’omologazione del genere: devono rispettare quelle che sono le premesse di partenza, attenersi alla realtà ed evidenziare quello che veramente accade durante la produzione.
Che ricordo conservi di quell’esperienza?
Comunque positivo, è stata un’avventura divertente. Ovviamente la ripeterei più da conduttore o inviato che da concorrente!
Cosa pensi invece dei talent show come “Amici” e “X Factor”: sono davvero l’unica occasione valida per i giovani che vogliono farsi conoscere e apprezzare nel mondo dello spettacolo?
Si tratta sempre di un’occasione da non perdere, ma da sfruttare al volo. Quello che non mi piace sono le strategie e certe logiche che vengono messe in atto in questi programmi. Pur rimanendo degli ottimi trampolini di lancio, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta a questo mondo, trovo che sia scorretta la promessa di fama e successo che viene garantita con la semplice partecipazione. Mi piacerebbe che fosse così, ma la realtà è molto diversa. Lavorare nello spettacolo è sempre più difficile: se una volta si trattava di un settore incerto ora è davvero precario!
Paola Cambiaghi
per "L'Opinione"
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