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La nuova stagione della tv locale secondo Aldo Grasso

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Fonte: Avanti.it

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Televisione
  sabato, 13 gennaio 2007

Le tv locali sembrano giocare un nuovo ruolo. Non sono più imitazione dei network nazionali, ma si avviano a diventare vere e proprie “comunità virtuali”. A sostenerlo è Aldo Grasso, critico televisivo e attento studioso dei media, nell’inchiesta “La tv del sommerso. Viaggio nell’Italia delle tv locali” (Mondadori editore, 189 pp., 9,40 euro). “Le tv locali - afferma Grasso - fanno oggi quello che in passato avrebbero dovuto fare le sedi regionali della Rai e che invece non hanno mai fatto”. Qualche anno fa il destino dell’emittenza locale pareva avviato a un inesorabile declino, a causa dei costi di gestione crescenti, alle scarse entrate pubblicitarie e alle difficoltà nell’acquisire frequenze.

L’avvento della tv satellitare era vista come la pietra tombale del localismo. Invece, quasi per contrasto, “per una sorta di paura della globalizzazione, le tv locali hanno tratto nuova linfa da questa inaspettata contrapposizione”. Anzi, mentre la tv generalista vive una fase di stagnazione, l’emittenza locale ha raddoppiato, in un decennio, il suo fatturato pubblicitario. Il valore in termini di quota d’ascolto delle tv locali è intorno al 6,6% nel giorno medio (un milione e mezzo di spettatori in valori assoluti). E ora si apprestano ad affrontare la nuova avventura del digitale terrestre. Come si spiega il prepotente ritorno alla tradizione, al dialetto, alle canzoni popolari, tipico delle tv locali? Una prima ragione è commerciale: c’è un pubblico interessato a un simile repertorio. Una seconda e più profonda ragione è che “le tv locali sono la risposta alla paura del globale”. Inoltre, la programmazione di feste patronali, sagre, fiere paesane, offrono ricostruzioni fittizie del tempo andato ad uso degli anziani, nelle case di riposo e negli ospedali, e delle persone sole. Da questo punto di vista, osserva Grasso, “svolgono un’importante funzione sociale”. Due i generi dominanti: in prima serata il talk show che affronta grandi temi politici, dopo mezzanotte il pornosoft. I talk show di provincia sono molto frequentati dai politici della zona perché spesso coprono esattamente l’area del loro collegio elettorale. L’immaginario televisivo delle tv locali non teme il ridicolo. Prosperano imbonitori in lotta con la lingua italiana, maghi e indovine che promettono miracoli, cantanti ben oltre il viale del tramonto, danzatrici dall’abbondante cellulite. Il giornalismo locale è la grande occasione mancata. Oggi si tenta con la “street tv” un recupero della dimensione informativa. Povere di mezzi, basate sulla buona volontà, le tv di strada (o tv di quartiere) nascono per rappresentare piccole comunità: ciascun cittadino dovrebbe rivestire un ruolo propositivo e creativo. Una promessa analoga viene dalla tv via internet. Aldo Grasso è graffiante quando rileva che i palinsesti delle tv locali sono affini a quelli dei network nazionali. Il che ovviamente “è occasione di disdoro per Rai e Mediaset”. E se Mediaset ha la scusante d’essere un’impresa commerciale; la Rai è ancora un servizio pubblico, “lo strumento attraverso cui uno Stato moderno esprime un progetto editoriale e non rincorre solo il peggio dell’Auditel”. L’affermazione delle tv locali (circa 600 in Italia) si deve ad almeno due ragioni, una sociologica e l’altra linguistica. La tv locale assicura legami “umani” in una società sempre più fluida (ci si riconosce nei protagonisti “della porta accanto”, si impara da loro a condividere problemi e a negoziare i confini tra pubblico e privato). Inoltre, grazie al reality show, genere dominante dell’attuale programmazione, “si cerca di traghettare storie di gente comune dall’anonimato, dove vivacchiano, alla ribalta del video, dove esplodono”. Il reality, commenta Grasso, “è un genere ‘global’ che nasce dal basso, cioè dal ‘local’, e al locale tutto riconduce”. Per questo, paradossalmente, il satellite e la globalizzazione hanno rimesso in gioco le tv locali: senza il locale non c’è il globale. Infatti, molte tv locali puntano ormai sul satellite per conquistare le comunità di emigranti, degli italofoni di seconda e terza generazione.

Pasquale Rotunno
per "Avanti.it"

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