Nessuna evoluzione: Pechino rischia di essere la morte per la Rai
News inserita da: Simone Rossi (Satred)
Fonte: Il Corriere della Sera
La Rai è nata con Roma 1960 e rischia di morire con Pechino 2008. Anche se l'anno di nascita della Rai è il 1954 (in concomitanza con i Mondiali, di calcio in Svizzera) è il 1960 il suo anno cruciale: per la prima volta il pubblico può seguire in diretta l'Olimpiade di Roma.
La Rai fa le cose in grande: investe sui trasmettitori per «illuminare» tutta l'Italia, mette in campo 4 studi, 100 postazioni televisive, una centrale video, 450 tecnici, garantendo così il servizio a 21 paesi di 3 continenti con 106 ore di trasmissione di cui 96 in Europa.
Uno sforzo di tali proporzioni spinge l'azienda a un ammodernamento della dotazione tecnica che ne accresce le potenzialità editoriali. Pechino 2008 doveva rappresentare qualcosa di analogo per il digitale terrestre.
Anzi, l'ex ministro Maurizio Gasparri aveva fissato proprio per il 2008 l'anno dello switch-off, il passaggio definitivo dalla vecchia aUa nuova tecnologia. E invece niente. Il Servizio pubblico è venuto meno proprio in uno dei suoi compiti principali: anticipare e favorire l'evoluzione tecnologica per non lasciare i propri spettatori in una condizione di «povertà» televisiva.
Per fortuna, le medaglie vinte dagli atleti italiani riescono ad assopire le molte polemiche che accompagnano la spedizione Rai in Cina: le faraoniche spese per le trasferte de luxe di telecronisti e commentatori, l'oscuramento della diretta calcio per far posto alla scherma, la miseria delle discussioni in studio guidate dal duo «Sangue romagnolo» (Italo Cucci e Marino Bartoìetti), gli strafalcioni linguistici dei cosiddetti esperti, la copertura parziale delle gare.
Nonostante tre reti analogiche e tre digitali, la Rai ha deciso di usare «solo» Raidue (che però sottrae spazi con i suoi tg e agli altri obblighi istituzionali) e Rai Sport Piu. Le due reti spesso trasmettono lo stesso avvenimento e a volte si differenziano.
L'Olimpiade di Pechino (l'investimento per i diritti e il mancato investimento nelle nuove tecnologie) era il momento non solo simbolico per cogliere il grande cambiamento in atto: la personalizzazione del consumo televisivo, cioè la progressiva sostituzione del palinsesto con il video on demand.
Le tre-quattro discipline più importanti dovrebbero avere un canale a disposizione. È la digitalizzazione che lo esige. Non a caso, sta funzionando bene l'offerta simulcast dei canali Rai su Internet In esclusiva per il web Rai, sono on line sei flussi video che permetteranno di vivere 24 ore su 24 le gare, con dirette in streaming trasmesse dai singoli campi.
Ma la tv, per ora, è un'altra cosa. Con il digitale è in atto un mutamento epocale, una ttasformazione totale. Nello sport sta cambiando il punto di vista. Nell'affrontare il fenomeno (ma anche i discorsi, le discussioni, le polemiche) non è più dominante il punto di vista dello stadio ma quello della tv. E siccome sappiamo che solo dal punto di vista discende l'interpretazione delle cose, sarebbe stato fondamentale per la Rai investire in tecnologie e non in soap opere. Con Sky, l'Olimpiade avrebbe assunto un altro volto, un'altra «vita».
La politica considera la Rai una cosa sua e se la Rai rischia il tracollo, fatalmente la colpa è dei partiti, dell'inutile commissione di Vigilanza, dei tanti consiglieri di amministrazione che in questi ultimi anni si sono succeduti in viale Mazzini
Aldo Grasso
per "Il Corriere della Sera"