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Videofonino, la rivoluzione può attendere

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Fonte: Corriere Economia

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Mobile Tv
  lunedì, 18 giugno 2007

Più Grande Fratello o più YouTube? Ovvero: più Tv o più Internet? È questa una delle tante domande su cui si arrovellano gli analisti alla vigilia della grande rivoluzione della media mobility di massa.

Lo sviluppo del mercato della mobile-Tv sembra sempre più alle porte. Ma in pochi sono in grado di prer vedere esattamente come sarà: quali contenuti, quali modelli di business, quali tecnologie, quali abitudini di fruizione e, soprattutto, quali operatori prevarranno.

Il paradosso è tutto nelle cifre. La televisione resta il principale mezzo di intrattenimento e informazione e ci sono più di due miliardi di telefoni cellulari nel mondo (saranno tre nel 2010). Il connubio sembra naturale, specialmente quando tutto pare dover diventare mobile, portatile, personale.

Entro il 2009 una persona su tre avrà un telefonino: di questa enorme massa, più del 10% spenderà almeno dieci euro al mese per servizi audiovisivi in mobilità. Il che significa un sacco di soldi.

Il passaggio dalla fase dominata dagli «early adopters», i fanatici della tecnologia, a quella di un mercato di massa è previsto per il triennio 2007-2010. Eppure il panorama è tutt'altro che chiaro: come emerge dalle molte questioni aperte durante il Mobile Tv World Forum, che settimana scorsa ha riunito a Londra molti operatori del mercato europeo e mondiale.

Il dilemma più rilevante riguarda i contenuti. «Mentre su tutte le piattaforme, cioè satellite, cavo, IpTv, gli operatori televisivi stanno introducendo varietà e scelta, gli operatori mobili si muovono nella direzione opposta, proponendo agli utenti un numero limitato di programmi lineari — osserva Matt Hatton, analista di Yankee Group, che ha seguito lo sviluppo del mercato wireless in Europa — ma gli apparecchi portatili diventeranno sempre più personali e interattivi: assomiglieranno a un Pc piuttosto che una televisione».

Il modello è più YouTube che il tradizionale broadcasting. O meglio: invece che di mobile-Tv, dobbiamo ragionare in termini di «mobile media landscape», di ambiente  mediale mobile, di cui il «live broadcasting», la cara vecchia Tv, non è che una parte. La mobilità di massa nasce sotto il segno dell'ibrido.

Ibridi saranno innanzitutto i contenuti: in parte lineari e live (per sentirsi sempre «connessi col mondo») e in parte on demand, o nella forma del catch up (che mi permette di recuperare quello che ho perso in Tv e di rivederlo sul cellulare); in parte prodotti professionalmente e in parte scambiati e diffusi dagli utenti; in parte comuni alle altre piattaforme e in parte sviluppati appositamente per il mobile (nella forma snack, breve: la permanenza media consecutiva di uno spettatore mobile non va finora oltre i cinque minuti).

Ma ibridi saranno anche i modelli di business, destinati ad affiancare il sistema della sottoscrizione (rispetto al quale una buona porzione di utenti sembra disposto a spendere non più di dieci euro al mese per un fiat) e quello della pubblicità.

E molteplici sono già ora gli standard tecnici di trasmissione: al dvb-h (che non è che un digitale terrestre in mobilità) si sono affiancati altri sistemi, come il MediaFlo sviluppato negli Usa e recentemente messo alla prova niente meno che da BSkyB, il gigante della Tv a pagamento in Gran Bretagna.

Se c'è qualcosa di chiaro, però, a proposito dei destini della mobile-Tv è che finora i numeri degli utenti non sono esaltanti. Nessuna delle grandi società di telecomunicazioni si sbilancia sul numero di sottoscrittori, mostrando un qualche imbarazzo.

L'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo ad avere sviluppato un servizio commerciale pienamente operativo, con tre operatori attivi sul dvb-h (Tre, Tim, Vodafone).

Al momento del lancio, Tre prevedeva mezzo milione di spettatori entro il 2006. Poi ha smesso di dare cifre. La rivoluzione può attendere.

Massimo Scaglioni
per "Corriere Economia"

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