Max Tortora: ''Ezio Masetti e il mio grande amico Pippo''
News inserita da: Simone Rossi (Satred)
Fonte: Il Messaggero
E’ alto una quaresima (un metro e novantasette), ma sarebbe riuscito a farsi notare anche se fosse stato nano.
Comico, ama definirlo la stampa, però comico è riduttivo. Nonostante sia nato e abbia frequentato la tv del varietà alternativo, da Superconvenscion a Quelli che il calcio..., a La grande notte del lunedì, e nonostante sia diventato popolare imitando Luciano Rispoli, Adriano Celentano, Michele Santoro, Franco Califano, Sandro Bondi, per poi cedere alla vecchia tv generalista (anche gli artisti mangiano...), Max Tortora è sì un one man show, ma ha anche dimostrato di essere un bravo attore, uno di quelli di serie a. Non solo in teatro, o nel cinema in cui ha fatto qualche incursione.
E’ lui la vera sorpresa della fiction dell’anno, I Cesaroni (Canale 5), ricca di un cast di professionisti collaudautissimi (da Claudio Amendola a Elena Sofia Ricci passando per Antonello Fassari).
Nel ruolo del meccanico Ezio Masetti, lo stesso ruolo della prima serie, ampliato (sempre troppo poco) nella seconda, Tortora è riuscito (come in pochi sanno fare) a creare un personaggio nel personaggio. Il suo Masetti, amico di famiglia de I Cesaroni, credulone, vago e anche scansafatiche, illuminato però da guizzi geniali come quelli della lampadina Edy di Paperopoli, è una pertica di meccanico che, all’officina, preferisce una bella passeggiata fra le nuvole.
E pensare che Tortora, laureato in Architettura ma mai architetto, avrebbe voluto entrare al Conservatorio: «Mi chiedo ancora», dice, «se non sarebbe stato meglio diventare direttore d’orchestra. Comunque, il pianoforte, lo suono, e non troppo male...».
Tortora e “I Cesaroni”
«Prima che il produttore mi mandasse la sceneggiatura, ne avevo avute diverse, di offerte di fiction. Ma erano storie che non mi avevano convinto, insomma, mi erano piaciute poco. E poi, un ruolo, o lo senti o non lo senti, capisci subito se rientra nelle tue corde. Quando invece ho letto I Cesaroni, ho subito pensato: simpatico ’sto Ezio, lo voglio fa’. Senza contare che mi ha regalato una tregua».
In che senso?
«I tanti mesi sul set mi impediscono di lambiccarmi il cervello inventando sketch e - che so? - altri Bondi e Califano».
Tortora e il suo personaggio, che è tornato a interpretare da un mese e più sul set della Garbatella.
«Per Ezio mi sono ispirato a Pippo, il migliore amico di Topolino, buono, affidabile, un po’ rintronato, con sprazzi di antica saggezza cagnolare.
Il terzo capitolo?
«Situazioni nuove, colpi di scena, ma non voglio togliere agli spettatori il gusto di seguirli...».
La prossima stagione tornerà in tv anche con la deliziosa sit-com Piloti, su Raidue...
«Carina e faticosa. Girare in fretta - per risparmiare - facendo molta attenzione a non perdere i tempi giusti, il ritmo delle battute, non è uno scherzo. Tutti pensano che Enrico Bertolino e io ci divertiamo come due matti e basta. Che poi, un po’ ci divertiamo anche».
Perché la Laurea?
«Perché sono nato in una tipica famiglia borghese. Una di quelle che credono nell’università, nella laurea, in una professione. E per loro professione è quanto di più lontano da cinema, teatro, televisione. Già alle Medie sapevo che mi sarei iscritto a una facoltà».
Perché Architettura?
«Perché mi sembrava quella più artistica... Solo vivendola mi sono reso conto che non era così».
Però è arrivato fino in fondo.
«Non so se sia un bene o un male, ma non riesco mai a lasciare le cose a metà».
Che tipo di ragazzo era?
«Normale, strano, non lo so. So che volevo fare l’attore, ma so anche che desideravo diventare un direttore d’orchestra. Soprattutto sognavo».
Il cinema?
«Mi ci infilavo quasi tutti i giorni. Abitavo a Corso Francia e, me lo ricordo come fosse ora, prendevo il tram, scendevo a piazzale Flaminio e andavo in una sala che non esiste più, l’Aurora. E lì, al buio, divoravo western, commedie, gialli».
Quali ricordi ha di quegli anni?
«Gli Anni 70 era fantastici, la musica era bellissima, e le donne erano bellissime. Per carità, oggi anche. Ma rivedendo le fotografie di allora, mi sembra sempre che quelle avessero qualcosa in più. O forse, ero e sono io a guardarle con altri occhi. Io che ero giovanissimo. Ma che, me so rimbambito? Non è ancora tempo di amarcord».
Micaela Urbano
per "Il Messaggero"