Caro Direttore,
ho letto con attenzione l'articolo di Aldo Grasso «La Rai ha fatto una scelta di campo». Pur trattando temi, non di stretta competenza del governo, sento di dover intervenire, non per vocazione dirigistica, ma perché ritengo il ruolo della Rai fondamentale per il patrimonio di professionalità e competenze nel contesto radiotelevisivo del nostro Paese.
L'articolo parte, a mio avviso, da un presupposto sbagliato, quello di una scelta di campo della Rai volta a favorire il suo tradizionale competitor Mediaset. La presenza sul mercato, che ovviamente valuto positivamente, di una nuova offerta satellitare a pagamento da parte di un soggetto, economicamente forte sul mercato internazionale e di fatto monopolista di una piattaforma, ha radicalmente modificato i trentennali assetti del sistema imponendo nuove strategie agli operatori tradizionali.
Al di là dell'ineludibilità della conversione tecnologica al digitale (concetto peraltro sottolineato e sostenuto anche dal precedente ministro alle Comunicazioni, Paolo Gentilonì), in questo articolato processo di transizione non è da escludersi che, pur in una logica concorrenziale, su alcuni aspetti tecnologici, ma anche di mercato, possano crearsi una serie di sinergie fra operatori. Un passaggio, quello al digitale, definito «forzato», ricordando subito dopo che si tratta di una scelta europea ben motivata dalla possibilità di liberare frequenze, di offrire più programmi e di migliore qualità e di aprire il sistema a nuovi operatori.
E' sì vero che digitale vuol dire anche satellite, cavo, Iptv, ma nella realtà italiana la rete distributiva è attualmente analogica, facilmente convertìbile nel Dtt.
Più che una scelta politica, come sostiene Grasso, mi sembra un'ovvia strategia industriale che tiene conto degli investimenti economici. Inoltre il terrestre oltre ad essere il sistema di trasmissione è anche il sistema di ricezione più diffuso ed economico. Né si può sostenere che il Dtt sia volto a favorire Mediaset Premium. La pay tv è un mercato in pieno sviluppo e dove anche la Rai potrà e dovrà essere presente. L'attuale contratto di servizio (art. 29) consentirebbe alla Rai, a livello sperimentale e sotto il controllo del Ministero, di sviluppare la pay tv, senza però ridurre il servizio pubblico.
Ciò sarà possibile grazie alle maggiori capacità trasmissive del digitale e con il nuovo contratto di servizio, seguendo quella che è la tendenza europea. Stiamo ponendo le basi di un mercato sempre più concorrenziale, anche fra diverse piattaforme, a vantaggio degli utenti che potranno accedere a maggiori servizi a costi inferiori. Del tutto errato è poi parlare di «potenziamento del Dtt con soldi pubblici»: l'attività del governo è tesa alla diffusione della tv digitale, in piena neutralità tecnologica.
Sono stato già chiamato in causa più volte sull'argomento TivùSat, una sola legittimamente, quando mi è stata richiesta un'interpretazione dell'art. 26, che ribadisco: la Rai è tenuta a trasmettere su tutte le piattaforme tecnologiche, non è tenuta a essere presente all'interno dì tutte le offerte commerciali presenti sulle diverse piattaforme.
Ritengo fosse un passo dovuto da parte del servizio pubblico offrire la propria programmazione interamente e gratuitamente sul satellite per coloro che non hanno la copertura del segnale terrestre. In quest'ottica, la nascita di TivùSat, pur non essendo stata in alcun modo favorita dal governo, non può che vedere il mio giudizio favorevole. L'eventuale discesa da Sky si basa su scelte aziendali, che non intendo commentare e che ha spiegato ampiamente il d.g. Rai, Masi. La permanenza sulla piattaforma pay di Sky e l'offerta gratuita della propria programmazione su TivùSat non sono assolutamente due concetti che si autoesdudono.
Del tutto fuori luogo è l'assunto finale secondo cui sarebbe stato il servizio pubblico a cedere proprie frequenze a Europa 7. Il canale assegnato a Europa 7 è frutto di un processo di ricanalizzazione europea, che ha coinvolto tutti gli operatori, imposta dalla Conferenza internazionale di Ginevra del 2006. Un obbligo in base al quale il precedente governo avrebbe dovuto intervenire subito e al quale ci siamo adeguati nel novembre scorso modificando il piano nazionale di ripartizione delle frequenze.
Tale ricanalizzazione, sopprimendo gli intercanali, ha consentito di residuare un canale aggiuntivo, assegnato poi a Europa 7, chiudendo definitivamente, anche in sede giudiziaria, una questione che si era politicamente trascinata per oltre un decennio. Il patrimonio frequenzale Rai è rimasto dunque intatto.
Paolo Romani
viceministro allo Sviluppo economico
(a.g.) A parte alcuni dettagli tecnici relativi alle frequenze di Europa 7, non mi sembra che il viceministro Romani abbia molti argomenti contro l'impianto del mio articolo: le sue conclusioni potrebbero essere accettate a una sola condizione, che la Rai non venga più considerata Servizio Pubblico.