Un codice di autoregolamentazione da seguire durante le trasmissioni di commento degli avvenimenti sportivi
Prevede anche questo il decreto â convertito in legge lo scorso 4 aprile â per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza legati allo sport.
Un testo cui lavoreranno esperti dei ministeri delle Comunicazioni e delle Politiche giovanili e attività sportive, dell'Authority delle Comunicazioni, dei principali canali televisivi italiani, delle associazioni televisive e radiofoniche, dei rappresentanti della stampa e degli editori.
Un apposito comitato vigilerà affinché le norme redatte vengano rispettate: una sorta di occhio critico, puntato su radio e televisioni, pronto a difendere i valori di competizione sportiva leale e rispettosa dell'avversario.
Il settore non era però privo di regolamentazione. Il testo unico della radiotelevisione (Dlgs n.177/2005) prevedeva già l'adozione di specifiche misure, in particolare nei programmi di commento di avvenimenti calcistici.
Per la tutela degli utenti più deboli, poi, le imprese televisive pubbliche e private avevano aderito al codice di autoregolamentazione tv e minori, testo approvato nel 2002 e ribadito anche dalla legge Gasparri del 2004.
Ma l'attenta vigilanza su toni e parole di chi commenta lo sport può in qualche misura ridurre o prevenire la guerriglia fuori e dentro gli stadi? E ancora, il testo unico della radiotelevisione è conosciuto dagli addetti ai lavori? La risposta dei diretti interessati alla seconda domanda è no .
Dalla redazione sportiva della Rai a quella di Mediaset, proseguendo per radio e tv minori, nessuna delle persone interpellate si è mai confrontata con le misure indicate dal testo. «à il senso di responsabilità che guida il mio lavoro â commenta Marco Civoli, giornalista e telecronista di Rai sportâ non certo un" codice"».
«Non vedo come commenti, anche "accesi", possano indurre alla violenza negli stadi»,pun-ruahzza Alberto Brandi, caporedattore della redazione sportiva di Mediaset. «In Francia, Inghilterra e Germania non mancano le violenze tra le tifoserie e non esistono i programmi di commento sportivo», aggiunge Fabio Ravezzani, giornalista e conduttore di Telelombardia.
Le maggiori contestazioni per toni e linguaggio sono dirette soprattutto alle radio. «Voglio sentirmi libero di commentare quello che voglio âconclude Mario Corsi (per tutti Marione), storico capo della tifoseria della Roma e conduttore radiofonico â altrimenti sarebbe come vivere sotto una dittatura».
«Ben venga un codice di autoregolamentazione â commenta Gigi Garanzini, giornalista e conduttore di Radio 24 â. Credo però che la cultura sportiva in Italia si debba fare dal basso piuttosto che dall'alto».
Rosalba Reggio
per "Il Sole 24 Ore"