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E così il 'Commissario De Luca', prima creatura letteraria dello scrittore Carlo Lucarelli  impersonata appunto da Preziosi, ancor prima di arrivare sugli schermi della televisione, è incappato in guai giudiziari. Guai tutt'altro che fittizi, ma assolutamente reali, visto che la Procura, su segnalazione del presidente vicario del tribunale, Bruno Berlettano, ha aperto un'inchiesta contro ignoti per «interruzione di servizio giudiziario». Il procuratore aggiunto Luigi Persico ha già delegato a svolgere le indagini la polizia amministrativa, che dovrà far luce sull'accaduto.
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I fatti risalgono a sabato scorso: alle 7.30 troupe e cast della fiction, che andrà in onda il marzo prossimo su Raiuno, si sono presentati a Palazzo Baciocchi, in piazza dei Tribunali, sede della Corte d'Appello. Dovevano girare la scena finale del primo film della serie (ne sono previsti quattro), quella in cui Preziosi e la Rea, il cui amore nasce e si svilunna nelle scene precedenti, si salutano con calore. La produzione (si tratta di una coproduzione fra la società romana 'Ager 3' e Raiuno) aveva chiesto mesi fa l'autorizzazione per girare a Palazzo Baciocchi, in passato location di tanti altri film, fra i quali, indimenticabile, quello sul processo Murri interpretato da Catherine Deneuve.
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Piccolo particolare: l'autorizzazione, secondo i giudici, era sì stata concessa dal primo presidente della Corte d'Appello, Giuliano Lucentini, e dal procuratore generale Francesco Pintor, ma solo per effettuare riprese dall'esterno del palazzo, nell'atrio e nello scalone nobile. Invece la produzione, secondo gli impiegati, avrebbe 'preso possesso' anche di alcuni uffici e dell'ingresso, impedendo alle persone di entrare e intralciando, oltre al normale lavoro, persino lo svolgimento dei processi per direttissima previsti per quella mattina.
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Una versione contestata dalla produzione, che respinge ogni accusa. Fatto sta che protagonisti e comparse, con i loro bei costumi di epoca fascista, hanno cominciato a girare, agli ordini del regista Antonio Frassi. Prima nell'altrio, poi sullo scalone, posizionando anche un riflettore in un ufficio la cui porta si trova sotto le scale, a un passo dal cortile interno. Proprio a quel punto un'impiegata ha protestato, perché quelli non erano spazi autorizzati, dando inizio alla lite.
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La discussione è andata avanti per diversi minuti, mentre gli attori e la troupe (50 persone in tutto) continuavano il loro lavoro, sotto gli occhi incuriositi di fan e curiosi. Al termine, il bel Preziosi e la Rea hanno coronato il loro amore, mente dalla fiction si passava alla dura realtà a suon di carte bollate.
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«Sono senza parole. Ma quale occupazione di uffici. Noi non abbiamo fatto nulla, abbiamo solo girato alcune scene negli spazi del tribunale che ci erano stati concessi con regolare autorizzazione. Non capisco proprio il motivo di questo polverone». Emanulea Zaccherini, direttore di produzione, non credeva alle proprie orecchie quando lunedì l'hanno informata dell'inchiesta aperta in Procura.
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«Ho già mandato una lettera sia alla Corte d'Appello che in Procura â spiega â per chiarire l'accaduto. Noi, con regolare autorizzazione chiesta a marzo, abbiamo girato le scene finali del film nell'atrio e sullo scalone, come da accordi. Sotto le scale, poi, c'era una porta aperta e il direttore della fotografia ha voluto posizionarvi dentro un riflettore, così che uscisse la luce. Ecco tutto. L'impiegata è arrivata come una furia accusandoci di aver aperto la porta ed essere entrati nell'ufficio reperti. Ma quella porta era aperta. Forse hanno voluto scaricare su di noi le colpe di chi non l'aveva chiusa. Io sono prontamente intervenuta per calmare la signora, spiegando che, pur avendo commesso un errore ad entrare, eravamo in buona fede. Quanto poi all'interruzione dei servizi, è falso. Non abbiamo bloccato l'ingresso, ma solo fermato i passanti nei pochi minuti in cui si girava. Poi il passaggio era libero. Tutto si è svolto senza problemi. Ora invece stanno facendo tanta confusione, sarebbe meglio si occupassero di celebrare i veri processi».
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«Ho già mandato una lettera sia alla Corte d'Appello che in Procura â spiega â per chiarire l'accaduto. Noi, con regolare autorizzazione chiesta a marzo, abbiamo girato le scene finali del film nell'atrio e sullo scalone, come da accordi. Sotto le scale, poi, c'era una porta aperta e il direttore della fotografia ha voluto posizionarvi dentro un riflettore, così che uscisse la luce. Ecco tutto. L'impiegata è arrivata come una furia accusandoci di aver aperto la porta ed essere entrati nell'ufficio reperti. Ma quella porta era aperta. Forse hanno voluto scaricare su di noi le colpe di chi non l'aveva chiusa. Io sono prontamente intervenuta per calmare la signora, spiegando che, pur avendo commesso un errore ad entrare, eravamo in buona fede. Quanto poi all'interruzione dei servizi, è falso. Non abbiamo bloccato l'ingresso, ma solo fermato i passanti nei pochi minuti in cui si girava. Poi il passaggio era libero. Tutto si è svolto senza problemi. Ora invece stanno facendo tanta confusione, sarebbe meglio si occupassero di celebrare i veri processi».
 Gilberto Dondi
per "Il Resto del Carlino - Bologna"
per "Il Resto del Carlino - Bologna"