Sulla Rai incombe il tetto agli ingaggi. Un emendamento alla Finanziaria stabilisce che dipendenti, artisti, consulenti della tv di Stato non potranno guadagnare oltre i 274 mila euro l'anno. Barriera valida anche per i contratti già in vigore.
Claudio Cappon, direttore generale della Rai è in allarme per la novità . Perché -dice - «sembra violare le norme europee sulla concorrenza». Perché «apre una prateria a Mediaset e Sky». Perché condanna la tv di Stato alla non-qualità e forse al declino industriale.
Quanto pessimismo
«Due premesse: stiamo studiando bene l'emendamento approvato; e rispetteremo in ogni caso la sovranità del Parlamento. Ma la prima impressione è che le conseguenze siamo pericolose per l'azienda».
Il tetto non tocca solo voi, ma tutte le aziende statali non quotate.
«La Rai è a proprietà pubblica, ma è anche una grande impresa industriale che compete su molteplici fronti: con le altre emittenti; con i produttori di programmi che hanno ormai dimensione globale; con editori emergenti che operano su nuove piattaforme».
La vecchia storia della specificità Rai
«E' così, scusi: la tv non si fa con i mattoni e le lamiere, ma con la tecnologia e i talenti. Vincoli amministrativi alla gestione delle risorse umane producono effetti devastanti».
Quali?
«Sulla qualità , intanto. Il Paese ci chiede più qualità . E noi - all'interno del Piano Industriale appena approvato - promettiamo una svolta. Ma la qualità costa perché è affidata a donne e uomini di valore. Un esempio concreto: noi offriamo Benigni e Celentano. Ma artisti del genere ci saranno preclusi, se il tetto sarà confermato».
A volte si puòanche puntare su volti nuovi.
«Ne abbiamo lanciati tanti. I giovani bravi, però, crescono e ricevono offerte da altri soggetti. Noi vogliamo trattenerli, per non scoprirci un giorno un semplice vivaio di talenti».
Questo tetto, lei dice, avvantaggia i concorrenti. Perché?
«Regole per un solo attore del mercato, la Rai, spalancano praterie a tutti gli altri. Potranno strapparci le migliori risorse pagando un solo euro in più rispetto a noi. I maggiori risparmi quindi non si realizzeranno in Rai, ma nei bilanci delle tv avversarie. Prende corpo un regalo, aggiungo, ai produttori esterni di format».
Gli esterni?
«Nostri autori e registi ci lasciano spesso per andare in società private di produzione perché già oggi noi paghiamo meno del mercato. L'esodo, che contrastiamo con fatica, si accentuerebbe».
Insomma: nessun taglio agli ingaggi dei suoi artisti.
«Anzi: li abbiamo già contenuti. Lorenza Lei, capo delle Risorse Tv, ha imposto riduzioni fino al 30%. E il bilancio 2007 si chiuderà con un taglio di 10 milioni ai costi generali di produzione, rispetto ai trend che si profilavano. Noi pratichiamo un'austerità gestionale».
Sì ai risparmi, dunque. No al tetto. Ma il teorema funziona?
«Abbiamo appena varato un Piano Industriale difficile e ambizioso. E' il Piano del cambiamento. Ma la stagione di Internet, della tv digitale, delle innovazioni gestionali va vissuta dentro una logica di impresa industriale. Sele affronteremo con vincoli burocratici, le sfide saranno tutte perse; la domanda di qualità sarà irricevibile; il Piano, irrealizzabile. Potremmo sopravvivere, ma senza lavorare allo sviluppo. Sarebbe il declino, per noi. Inesorabile».
Aldo Fontanarosa
per "La Repubblica"